Oggi volevo scrivere di un passaggio de “Gli ultimi giorni dell’umanità” di Karl Kraus (v. Ultimi giorni) che mi ha colpito.
Il libro in sé è molto piacevole: nonostante sia una traduzione si riesce comunque a percepire l’ironia di Kraus. Sono a poche pagine dalla fine del primo atto e la situazione militare non è drammatica anzi la Germania, alleata dell’impero asburgico, ha conseguito importanti successi iniziali.
Nella lunghissima scena in questione dialogano insieme un ottimista e un “criticone”. Il criticone è chiaramente l’alter ego dell’autore e le sue parole ne esprimono il pensiero senza troppi filtri del personaggio. Interessante che non si chiami “pessimista” come mi sarebbe parso naturale ma in realtà il suo pensiero è più specifico: non si preoccupa tanto della conseguenze di un fatto ma del fatto stesso. Un esempio: per la guerra non si preoccupa di chi vinca o perda ma la critica come atto in sé. Il pessimista tende a preoccuparsi di un risultato ma, in genere non discute ciò che lo provoca.
Un esempio attuale: il pessimista non vota perché, dice, chiunque vinca governerà male; il criticone non vota perché, dice, il meccanismo democratico si è inceppato o, peggio, corrotto.
Come detto si tratta di una scena lunghissima (ben 29 pagine mentre in genere le precedenti erano state molto brevi, tipo 2 o 3 pagine) e i concetti interessanti sono proporzionalmente numerosi ma preferisco concentrarmi su solo uno di questi. Poi vediamo: se mi viene un pezzo estremamente corto magari amplio un po’ la discussione includendo altri spunti.
L’ottimista chiede al criticone chi vincerà e questi gli risponde che non lo sa ma che sarà una guerra all’ultimo sangue, come la lotta di due leoni che si battono alla morte, e che vincerà chi ha più risorse, quantità di uomini e mezzi da far massacrare e distruggere.
Cito il passaggio che è divertente e introduce la parte che voglio commentare:
«OTTIMISTA. Se le quantità si diminuiscono a vicenda in modo uniforme, quand’è che si avrebbe la fine?
CRITICONE. Quando dei due leoni avanzano solo le code. […] Ma tremo ancora di più di dover temere che rimanga in vantaggio il numero maggiormente legato ai principi.
OTTIMISTA. Quale sarebbe?
CRITICONE. Il numero minore, per l’appunto. Il maggiore potrebbe indebolirsi ad opera dei resti di un genere umano che esso stesso ha tutelato; ma il minore combatte con una fede ardente in un Dio che ha voluto questo corso di eventi.» (*1) (*2)
Nella parte che non ho copiata, quella con “[…]”, come spiegato, viene semplicemente detto che vincerà chi ha più mezzi.
Il criticone è spesso criptico perché le sue critiche colpiscono sia l’Austria che, soprattutto, la Germania e, chiaramente, il personaggio non può essere troppo esplicito in tempo di guerra senza essere accusato di parteggiare per il nemico.
Ma nella frase riportata vi è una verità a mio avviso molto profonda.
Chi continua a combattere in una guerra che lo vede inferiore in uomini e mezzi? Il fanatico: chi è sicuro di avere ragione, chi crede che Dio sia dalla sua parte e che la guerra, nonostante le apparenze sfavorevoli, è destinata a essere vinta.
L’autore teme queste possibilità perché se la parte che vince è imbevuta di fanatismo allora il pericolo concreto è che questo venga imposto anche agli sconfitti che, nel caso di una guerra mondiale, equivale a tutto il mondo.
Vi risparmio le analogie con la guerra fra Ucraina e Russia. Piuttosto voglio aggiungere una mia considerazione più generale.
La guerra moderna (*3) è sempre una guerra di principi: solo così si possono motivare le masse a combatterla grazie a una propaganda che demonizza l’avversario e descrive invece la propria parte come quella dei paladini del “bene”.
Il risultato è che chi vince, chiunque vinca cioè, imporrà sempre i suoi principi: nella seconda guerra mondiale la parte fanatica era quella della Germania nazista ma anche la parte vincente, cioè gli USA (non i suoi alleati!), hanno poi imposto al resto del mondo (a buona parte di esso cioè!) la propria concezione della realtà, ovvero i propri principi: nella mia Epitome ho chiamato questo fenomeno “Prima globalizzazione” ([E] 12.2) per distinguerla da quella più marcatamente economica che comunemente viene oggi detta “globalizzazione” e che io definisco come “seconda globalizzazione” ([E] 12.3).
Kraus ha quindi ragione a temere che finisca effettivamente per vincere chi continua a combattere una guerra persa perché è (probabilmente) il più fanatico e vi è quindi il rischio concreto che imporrà il proprio fanatismo agli sconfitti. Ma il meccanismo è più generale.
Conclusione: nel loro lungo dialogo l’ottimista e il criticone toccano molti altri argomenti interessanti (per esempio l’aborto!) ma ho deciso di “regalare” ai miei lettori un pezzo un po’ più corto del solito.
Nota (*1): tratto da “Gli ultimi giorni dell’umanità” di Karl Kraus, (E.) Adelphi, 2022, trad. Ernesto Braun e Mario Carpitella, pag. 195.
Nota (*2): a un INTP come me non può certo sfuggire l’inconsistenza logica, ovvero che NON è detto che la parte più debole sia quella più fanatica. Sono sicuro che anche l’autore se ne rendesse conto ma che l’abbia mantenuta per almeno due ragioni. La prima è che voleva rimanere ambiguo e criptico: in questo caso il lettore deve infatti stabilire da solo quale sia la parte più debole senza però poterne essere sicuro; la seconda è che correggere questo paralogismo era irrilevante ai fini del concetto che l’autore voleva esprimere e, probabilmente, avrebbe reso la lettura più pesante.
Nota (*3): intendo una guerra simmetrica, fra paesi o coalizioni di forza comparabile. Non fra una superpotenza e un piccolo stato arretrato.
alla prima stazione
1 ora fa
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