Oggi un pezzo di “servizio”: voglio semplicemente riportare un paio di riflessioni su un capitoletto che ho letto ieri del “Secolo breve”.
Si tratta di un capitolo sulle conseguenze della rivoluzione russa: dal mio punto di vista è utile per capire l’evoluzione o, meglio, l’altalena dei protomiti ([E] 3.5).
Dopo la rivoluzione russa ci fu in tutto il mondo la sensazione che il futuro potesse essere nel comunismo sul modello sovietico: per un quattro-cinque anni ci furono concreti tentativi in tutto il mondo di attuare una rivoluzione sul modello russo. Nessuno ebbe successo ma l’impressione nell’opinione pubblica del “pericolo rosso” fu grande.
I protomiti del comunismo erano fortissimi e nel giro di qualche anno (più o meno un decennio) ci fu il sorpasso sul socialismo mentre l’anarchismo scomparve quasi del tutto.
Importante poi il passaggio di potere fra Lenin a Stalin: Lenin morì nel 1924 e Stalin consolidò il proprio potere negli anni successivi. Agli inizi degli anni ‘30 l’URSS divenne una dittatura guidata da Stalin.
Stalin centralizzò il proprio potere e contemporaneamente eliminò sistematicamente qualsiasi corrente comunista alternativa.
Notevoli sono poi i parallelismi fra religione e comunismo: la convinzione “storica”, spacciata per verità scientifica, dell’inevitabile successo del comunismo che avrebbe dovuto soppiantare il capitalismo (*1) sembra un dogma. La rivoluzione coincide con aspettative millenaristiche, una palingenesi per un nuovo ciclo con una nuova società.
Da questo punto di vista l’eliminazione delle varie correnti di comunismo equivale all’eliminazione delle sette eretiche: anche il cristianesimo si è sempre dato un gran da fare in tale senso (*2).
Il comunismo di Mosca a guida sovietica divenne quindi l’unico punto di riferimento del comunismo internazionale con tutto ciò che ne consegue (*2). Solo con la morte di Stalin nel 1953 il comunismo si riapre a più pensieri: il problema è il ritardo di sviluppo accumulato in un mondo che evolve più rapidamente che mai.
Anche la glorificazione di Lenin e Stalin, con tutte le loro icone, mi sembra significativa e molto "religiosa".
Comunque fino agli anni ‘60 l’opinione comune era che il comunismo avrebbe trionfato sul capitalismo grazie alla ricchezza che avrebbe prodotto per la propria popolazione.
Se fate i conti. Se aggiungete una generazione (25 anni) alla fine della seconda guerra mondiale, ottenete il 1970: è in quel decennio che l’illusione (protomiti rilanciati dalla vittoria sul nazifascismo) inizia a sgretolarsi.
«Nel lungo crepuscolo dell’era brezneviana perfino Chruščëv [Krusciov] credette sinceramente che il socialismo avrebbe “sepolto” il capitalismo grazie al venir meno della superiorità economica occidentale. Può essere che l’erosione conclusiva di questa fede nella missione universale del sistema sovietico spieghi perché, alla fine, si sia disintegrato senza resistenza.» (*3)
Sottolineo il “credere sinceramente” che equivale alla condizione di convincimento della legge della rappresentanza ([E] 5.4) e idem per “missione universale”.
Anche l’accenno alla “fede” è tipico della sovrapposizione fra religione e comunismo.
Probabilmente è in questa ottica che dovrei inquadrare “Miserie dello storicismo” di Popper: una fiacca e sgangherata denuncia del dogma “religioso” sull’inevitabile successo del comunismo.
Molto utile per l’accettazione internazionale e sociale del comunismo fu la sua ferma opposizione al nazifascismo: di nuovo nella mia Epitome spiego che grandi eventi che coinvolgono una parte significativa della popolazione possono fortificare i protomiti su cui sono basati per circa una generazione.
Interessante poi l’accenno al ‘68 che, mi pare, secondo l’autore abbia prodotto dei frutti sterili. Giudicate voi: «[…] il 1968 produsse una gran moda intellettuale per il marxismo teorico – generalmente per versioni del marxismo che avrebbero lasciato di stucco Marx – e per una varietà di conventicole e di gruppuscoli “marxisti-leninisti”, uniti dal rifiuto di Mosca e dei vecchi partiti comunisti, giudicati poco rivoluzionari e poco leninisti.» (*4)
Di nuovo pongo l’accento sul carattere di “moda”: io ci vedo una prefigurazione dei comunisti da salotto, poi socialisti e infine democratici: la fuffa teorica si è concretizzata così nella vacuità del politicamente corretto.
E significativo è che si riparta da una teoria ormai vecchia (quella di Marx di cento anni e quella di Lenin di cinquanta) e avulsa dalla realtà occidentale e, quindi, incapace di confrontarsi con le problematiche odierne ([E] appendice D).
Conclusione: niente di che: volevo solo memorizzare questi accenni all’evoluzione dei protomiti che, mi sembra, siano in piena sintonia con la teoria della mia Epitome.
Nota (*1): e per questo la rivoluzione russa sembrava un’anomalia in quanto era stata saltata la fase in cui si sviluppa il capitalismo!
Nota (*2): e al riguardo nell’appendice D.5 scrivo:
«Paradossalmente l’apparente successo sovietico ha bloccato quella che sarebbe stata la normale evoluzione del comunismo: esso è rimasto legato a paradigmi sociali ed economici del XIX secolo e non ha saputo cogliere l’essenza dell’evoluzione del mondo occidentale capitalista a guida statunitense e, conseguentemente, non ha creato risposte concrete e attuali alla globalizzazione economica e alla pervasività delle multinazionali in ogni ambito sociale e politico.»
Mi chiedo cosa sarebbe successo se fosse stato permesso alle varie correnti di sopravvivere ed evolversi: la mia sensazione è che ci sarebbe stata un’evoluzione del pensiero che avrebbe permesso di rimanere al passo con i tempi invece di fossilizzarsi.
Nota (*3): tratto da “Il secolo breve” di Hobsbawm, (E.) BURExploit, 2009, trad. Brunello Lotti, pag. 91-92.
Nota (*4): ibidem, pag. 95.
alla prima stazione
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