Oggi voglio scrivere di un tema che prevedo già mi porterà a divagare.
Fra i vari libri che leggo ogni tanto mi piace “pescare” ciò che colpisce la mia fantasia nella pletora di possibilità fornita da ProjectGutenberg.org
In questi giorni sto infatti leggendo “A Fleece of Gold - Five Lessons from the Fable of Jason and the Golden Fleece” di Charles Stewart Given scritto nel 1905.
Un libriccino che ho scelto solo per il titolo, il fascino che esercita la leggenda degli argonauti, e una vaga curiosità per quelle che potevano essere queste fantomatiche “cinque lezioni”.
La prima lezione è il potenziale della gioventù di cambiare il mondo. Anche su questo ci sarebbe molto da dire: all’epoca dello scrittore anche nel mondo occidentale la gioventù rappresentava la fetta numericamente maggiore della popolazione. Oggi, in occidente, non è più così: ne deduco che la forza rigenerativa della gioventù ne è molto ridotta. L’inizio del XX secolo fu in occidente un periodo di grande crescita economica: le possibilità per i giovani erano quindi relativamente numerose. L’emigrazione negli USA era enorme (a memoria sui 15 milioni di immigrati europei): altre opportunità di costruirsi un proprio futuro. Come detto, già su questo primo punto ci sarebbe da scrivere parecchio…
Ma è la seconda lezione che ha attirato maggiormente la mia attenzione: essa infatti ha il non banale scopo di indicarci il significato della vita.
La vita non deve essere misurata dal successo economico: esso è un falso obiettivo, un qualcosa di vano e fine a se stesso. Al contrario si devono cercare di realizzare i propri ideali più alti.
Copio e incollo abbastanza a caso (nel senso che l’autore reitera più volte questo concetto!) un paragrafo illustrativo:
«"Success is essentially the accomplishment of one's desires and purposes, the realization of one's ideals. But this definition does not necessarily imply a high state of being. As I sit by my window writing, the hoarse cry of a rag-man and the mournful strains of a hand-organ come to my ears. That able-bodied Greek, who is so lavish with his 'music,' and the rag-man, who is buying what the other is distributing freely, both are in quest of the same thing--'success.'"
Alas! the world too often measures success by false standards--worships the Golden Fleece, forgetting the high purpose it might be made to serve; so dazzled by means that ends become oblivious. The spirit of the age is to pay homage to great riches. The finely attired custodian of a money bag too often is regarded as an exponent of success.»
Faccio notare che il testo è del 1905 e, mi è parso di leggere fra le righe (su Wikipedia non ho trovato niente), che l’autore fosse statunitense.
Questo significa che all’inizio del XX secolo, ancora negli USA, sebbene minoritaria vi era una percentuale di popolazione che anteponeva altri valori al denaro come unica misura del successo. È importante perché nel torno di una generazione, ovvero dopo la seconda guerra mondiale, la prima globalizzazione ([E] 12.2) avrebbe esportato dagli USA nel resto del mondo nuovi principi che, pur senza dichiararlo esplicitamente, hanno gettato le premesse per un cambiamento dell’etica che sostituirà al suo centro l’essere umano con il denaro e il profitto. Un processo lungo, che si è sviluppato nel corso di almeno altre due forse tre generazioni, e che solo recentemente si è concretizzato in quello che io chiamo il “profittismo” ([E] 14.4).
Sarebbe interessante sapere chi per primo abbia notato questa tendenza: vabbè, già nel medioevo (e forse anche in epoca romana, non so!) si parlava di Mammone, il diavolo che personificava la venerazione della ricchezza. Insomma il rapporto fra morale e ricchezza non è mai stato facile: ai precetti di Cristo che esaltava la povertà si contrapponeva la necessità della Chiesa, almeno dal IV secolo in poi, di confrontarsi con i potenti (e ricchi) della società (v. Clemente Alessandrino in La Chiesa fra ricchezza e potere). Oppure le varie sette eretiche pauperistiche del medioevo. Per non parlare della Riforma luterana. Insomma la religione da una parte strizzava l’occhio alla ricchezza, ma da un altro la considerava con sospetto.
Ma dei filosofi più recenti mi viene in mente Nietzsche: forse non è un caso che egli si sia accorto della decadenza della religione (“Dio è morto”) sostituita da una scienza acefala le cui risposte erano (e sono) solo apparenti. Non so se la mia interpretazione è corretta ma ho la sensazione che il nichilismo di Nietzsche possa essere interpretato con la consapevolezza che il mondo “moderno” (quello di fine XIX secolo cioè) stava adottando dei falsi valori, dei principi vuoti e per questo intrinsecamente vani.
E quando è che la nuova visione del mondo, almeno fra le classi ricche (ovvero nei loro epomiti locali) (*1), ha definitivamente preso il sopravvento?
Ebbene al riguardo ho un vago ricordo: sfortunatamente in questo caso la memoria (si tratta di qualcosa che lessi 30 o più anni fa!) mi tradisce e ho un po’ di incertezza sull’aneddoto in questione.
Chiaramente non può esistere alcuna data assoluta che segni il trionfo di un nuovo modo di sentire e intendere la vita rispetto al precedente ma, almeno, posso proporre una data simbolica: il 15 aprile del 1912.
È la data in cui affondò il Titanic. Nel suo viaggio inaugurale vi erano a bordo sia esponenti dell’aristocrazia (chiaramente più legati ai vecchi valori) che esponenti dell’industria e della finanza. Secondo la mia memoria, non essendoci posti per tutti sulle scialuppe, gli uomini dell’aristocrazia lasciarono il proprio posto alle donne e in questo furono imitati anche dagli industriali e finanzieri che si ritenevano (giustamente) la nuova nobiltà. In questo caso insomma i valori che anteponevano l’uomo al denaro ebbero la precedenza.
La mia incertezza riguarda il comportamento dei ricchi americani: non ricordo se seguirono l’esempio dei loro omologhi inglesi o se cercarono di salvarsi a ogni costo (*2).
Di sicuro poi la crisi economica che seguì la prima guerra mondiale e che culminò con la crisi del ‘29 dovette rafforzare gli ideali sulla centralità dell’economia e del denaro nella società umana.
Forse non è un caso che l’attuale degenerazione della morale abbia subito un’improvvisa accelerazione proprio dopo la crisi del 2007…
Potrebbe essere che il terrore della povertà spinga i parapoteri economici ad attivarsi per tutelare e incrementare con maggiore determinazione la propria ricchezza? Plausibile…
Conclusione: la storia che si studia a scuola, sempre più nozionistica, si concentra sulle battaglie, sulle date, sui nomi di politici e monarchi ma in realtà ciò che veramente sarebbe importante imparare sono le tendenze nella società: come cambiano le idee (i protomiti), i desideri, gli obiettivi, le aspettative di ricchi e poveri. È questo che alla fine determina l’evoluzione della storia.
Da questo punto di vista mi sembra che sia scritto molto bene “Il secolo breve” di Hobsbwam che, come sapete, mi sto centellinando per darmi tempo di assorbirne tutti i concetti senza rischiare di sovrapporli e mischiarli insieme. Egli pone infatti grande attenzione nell’illustrare queste tendenze culturali in corrispondenza di grandi eventi: la guerra, la rivoluzione russa, la crisi economica. Questa è storia.
Nota (*1): le classi povere era invece bene che amassero la propria povertà in maniera che non si ribellassero contro le sperequazioni economiche che dividevano (e che, dopo un temporaneo riavvicinamento seguito alla seconda guerra mondiale, stanno tornando a separare ancor di più) la società.
Nota (*2): scrivendo mi è tornato in mente il vago ricordo di aver letto questo aneddoto in dei libretti di mio zio che raccoglievano e “romanzavano” storie reali arricchendole di molti dettagli suggestivi. Insomma c’è la concreta possibilità che l’aneddoto da me riportato non sia vero! Ma, se non lo fosse, è comunque significativo che si sia immaginata una fantasia del genere come plausibile. In altre parole la data simbolica del 15 aprile 1912 è comunque credibile.
alla prima stazione
1 ora fa
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