Ieri ho visto il seguente video The Harder You Try, The Worse It Gets | Law of Reversed Effort e l’ho trovato molto interessante: mi ha perfino convinto ad abbandonare (momentaneamente!) la scrittura del nuovo racconto di Strabuccino (v. il corto Stop and Go) per dedicarmi alla nuova versione dell’Epitome!
In realtà il video non descrive un’unica teoria ma, mi pare, diverse che si sovrappongono fortemente: insomma vengono presentate numerose idee e principi affini, anche di studiosi diversi, ma che chiaramente hanno molte analogie l’un con l’altro.
Siccome voglio memorizzare bene il contenuto del video ci scrivo questo pezzo che, spero, possa anche essere interessante per il lettore.
Il video inizia con degli esempi tratti dall’esperienza comune in cui l’impegnarsi intensamente nell’ottenere qualcosa non porta a niente mentre il disinteressarsene ottiene l’effetto opposto.
Questo alla nostra mentalità occidentale appare controintuitivo perché siamo abituati ad associare lo sforzo al successo e l’inattività all’insuccesso. Parlo di mentalità occidentale perché in oriente, nella filosofia del Tao, lo yin (passività) e lo yang (azione) hanno uguale importanza: è normale pensare che anche l’inazione possa portare un risultato utile.
La “legge dello sforzo controproducente” dice invece che in alcune situazioni (non sempre ovviamente!) l’impegnarsi strenuamente in un’attività ci può allontanare del conseguimento del suo obiettivo. Il problema è capire quando si debba agire e quando invece aspettare o dedicarsi ad altro.
La “legge dello sforzo controproducente” è stata anche studiata da Mark Manson che l’ha chiamata “La legge dell’incontrario”. Il suo punta di vista è più filosofico: quando il nostro obiettivo è cercare di ottenere un qualcosa che poi facciamo coincidere con la nostra felicità finiamo per concentrarci troppo sull’idea di sperimentare un’emozione precludendoci (spesso) la possibilità di provarla realmente e, anzi, sperimentando così un’esperienza negativa. Al contrario bisognerebbe accettare l’esperienza così come si presenta.
Cito: “Volere un’esperienza positiva è un’esperienza negativa; accettare un’esperienza negativa è un’esperienza positiva”.
Più si vuole essere felici e meno lo si è perché ci focalizziamo sulla nostra mancanza di felicità. Al contrario accettare la propria situazione porta alla felicità. Si tratta di un concetto comune nella filosofia antica (stoici come Seneca) ma anche di Osho o Tolle.
Ma il video si concentrerà invece sugli aspetti più concreti e meno filosofici della legge dello sforzo controproducente.
Questa legge fu formulata da Aldous Huxley (scrittore e filosofo inglese) secondo il quale possiamo raggiungere la massima competenza combinando insieme attività e riposo. Non possiamo capire semplicemente volendolo: al massimo possiamo raggiungere uno stato mentale che favorisca l’apprendimento.
L’esempio è quello dell’insonne: più si sforza di dormire e più diventa vigile e cosciente di essere sveglio; solo quando smette di sforzarsi di dormire, perché esausto e rassegnato, ecco che immediatamente si addormenta. Tutto questo lo posso confermare per esperienza personale.
In effetti il sonno è l’estrema forma di riposo e quindi fare uno sforzo attivo e cosciente per ottenerlo è di per sé contraddittorio.
Un altro esempio tipico è cercare di farsi piacere qualcuno o qualcosa: non si può decidere cosa ci piace! Questo vale anche nell’attrazione fra persone: il detto che bisogna farsi inseguire piuttosto che seguire è verissimo. C'è anche un proverbio inglese: “Absence makes the heart grow fonder”.
Sforzarsi troppo spesso peggiora la situazione secondo il filosofo Viktor Frankl (neurologo, psicologo e filosofo austriaco). Lo sforzarsi troppo per ottenere un qualcosa può portare ad “ansietà del risultato” che ha un effetto controproducente se è eccessiva. Per esempio sforzarsi di non tartagliare fa tartagliare maggiormente; oppure cercare troppo di divertirsi a una festa può portare all’effetto opposto; oppure la difficoltà maschile di raggiungere l’orgasmo.
Frankl propone una tecnica per superare questo problema chiamata “intenzione paradossale” che consiste nel cercare di volere proprio ciò che si teme e si vorrebbe evitare: per esempio volere tartagliare o volere rimanere svegli può ridurre sensibilmente l’ansietà da risultato che spesso è la prima causa che ci impedisce di raggiungere tali obiettivi.
Questo è vero soprattutto per tutte quelle cose che non sono sotto il nostro diretto controllo conscio.
Guidare per esempio è un’attività mentale molto difficile (l’uso dei pedali, il controllare sia la macchina che la situazione esterna contemporaneamente) fino a quando non si è imparato e diventa inconscia. Il punto è che la nostra mente cosciente, il concentrarsi su un fine invece di lasciar scorrere l’azione, può essere un ostacolo al raggiungimento di un obiettivo.
I taoisti dicono che la mente cosciente è un ostacolo al raggiungimento del “wu-wei” noto anche come “flusso”: uno stato mentale in cui siamo totalmente immersi in un’attività che così ci viene naturale. Se però ci rendiamo conto, ovvero diventiamo coscienti, di questo particolare stato mentale ecco che allora lo perdiamo.
Molte nostre azioni e capacità non provengono dalla nostra mente cosciente ma da quella inconscia. Secondo Carl Jung la coscienza è solo la punta dell’iceberg della mente: è l'inconscio che costituisce la gran parte di noi. È quindi naturale pensare che molte capacità e processi mentali siano generati dall’inconscio e di cui la nostra consapevolezza neppure si rende conto.
Secondo Huxley la persona rilassata lascia maggiore spazio al proprio inconscio di prendere l’iniziativa.
Quando i giornalisti chiedevano allo scrittore Charles Bukowski com’è che scriveva, come trovava l’ispirazione e le idee, egli rispondeva: “Non la cerchi. Questo è molto importante: non provi a cercarla e questo vale per le Cadillacs, la creatività o l’immortalità. Devi aspettare e, se non succede niente, aspetti un po’ di più. È come uno scarafaggio in alto sul muro. Aspetti che scenda verso di te. Quando è abbastanza vicino lo uccidi. O se ti piace il suo aspetto lo trasformi in un animale da compagnia.”
Come già detto la difficoltà è trovare il giusto equilibrio fra azione e inazione. Uno sforzo attivo è necessario per imparare nuove abilità ma poi la mente cosciente deve ritirarsi per fare emergere quanto si è appreso. Un esempio illuminante è imparare a suonare uno strumento: apprendere un nuovo pezzo richiede un notevole sforzo cosciente ma poi la coscienza deve ritirarsi affinché il suonare divenga spontaneo e naturale. Cosa che a me, mi rendo conto ora, non riusciva: ero sempre concentratissimo sui movimenti che doveva fare e questo rallentava i miei gesti. Ero troppo focalizzato, mi sforzavo troppo: avrei dovuto suonare più rilassato, a orecchio, senza preoccuparmi delle singole note.
Il giusto equilibrio fra attività e rilassamento è ciò che ci fa entrare “nella zona”, nel flusso cioè. Il punto è che per ottenere una prestazione ottimale in ciò che stiamo facendo dobbiamo lasciare dello spazio anche alla pausa, al riposo, al rilassamento: solo in questa maniera il risultato verrà automaticamente e sarà di ottima qualità. Come insegna Lao Tzu bisogna cercare di rimanere rilassati fino a quando l’azione giusta non avviene spontaneamente.
E qui finisce il video…
Aggiungo che, secondo me, questa legge dello sforzo controproducente è tanto più vera quanto l’obiettivo che ci prefiggiamo non è sotto il nostro controllo cosciente.
Se si deve risolvere una pagina di calcoli ed esercizi meccanici basta lo sforzo perché logica e razionalità sono sotto il controllo cosciente; se però cerchiamo ispirazione e fantasia allora dobbiamo lasciare spazio all’inconscio di emergere e “dire la sua”.
Per questo non aveva senso che continuassi a sforzarmi di terminare controvoglia il mio racconto su Strabuccino: stava diventando sempre più arido e faticoso per me. Probabilmente è per questo che stavo divenendo lento e prolisso.
In misura minore lo stesso vale per l’Epitome: non mi limito a riportare idee preesistenti ma vi è una sostanziale dose di creatività necessaria per legare i vati elementi insieme, per notare le analogie, per estrapolare regole e leggi. Questo fa sì che non posso semplicemente impormi di scrivere se voglio ottenere un buon risultato: devo aspettare il momento giusto, quando ho “digerito” ovvero quando il mio inconscio ha assimilato nuove idee e diventa quindi capace di rielaborarle in forme nuove.
Io credo che una buona regola approssimativa per tentare attività che richiedano un coinvolgimento inconscio sia quella di aspettare di aver oglia di farle, quando ci si sente dell’umore giusto.
Un’immagine che mi è venuta adesso in mente: la sensazione di voler fare qualcosa ce la dà l’inconscio quando “vuole correre in bagno” per liberarsi di un "peso"!
Conclusione: un video molto interessante perché, come spesso mi accade, formalizza delle intuizioni che avevo già avuto ma su cui non avevo avuto voglia/tempo di fermarmi a riflettere.
alla prima stazione
1 ora fa
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