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giovedì 6 ottobre 2022

Sto divenendo un ENTP?

Non credo! Però mi pare di iniziare a emularne degli aspetti.
Gli ENTP in teoria dovrebbero essere simili agli INTP con la funzione principale e secondaria invertita fra loro ed entrambi “P”. Ma la sostanziale differenza fra “E” e “I” ne cambia decisamente il comportamento.

Dove l’INTP ama la teoria, l’esperienza mentale che può essere per esempio fornita da un libro, l’ENTP preferisce invece l’esperienza diretta e fisica, il provare sulla propria pelle. L’INTP può essere felice studiando un libro sull’Egitto antico, l’ENTP preferirebbe andare a visitarlo di persona.
Un’altra differenza comportamentale è la tendenza a confrontarsi con gli altri, a dibattere le proprie idee: l’INTP è sostanzialmente indifferente alle idee altrui, le rispetta ma non è interessato a cambiarle o a metterle in discussione; l’ENTP è invece attratto dai dibattiti e dai confronti nei quali riesce particolarmente bene; è il tipo psicologico che più ama dibattere qualsiasi argomento con altre persone. Gli ENTP sono quelli che a scuola vanno benissimo all’orale mentre gli INTP si trovano meglio con lo scritto.

Ebbene già da tempo, a meno che non sia di cattivo umore, quando sono ad attendere in fila da qualche parte mi diverto a scambiare quattro chiacchiere con chi mi sta intorno. Questo è un comportamento da E, non da I. Poi, per me, vi è una grossa componente di esperimento: del capire con chi ho a che fare, magari la curiosità di scoprire opinioni specifiche su determinati argomenti. Il mio non è il cercare il contatto umano fine a se stesso e, infatti, mi manca sia l’istinto che la volontà per approfondire queste conoscenze superficiali.

Ieri ho fatto un ulteriore passo “avanti” e mi sono divertito ad argomentare con un signore che aveva avuto da ridire su alcune mie parole.
A causa dell’orario in farmacia c’era una gran coda così, dopo aver preso il mio numero, stavo valutando a voce alta (stavo già cercando di attaccare discorso con qualcuno) se fare un salto al piccolo supermercato accanto. Sempre da solo mi ero poi detto che avrei rischiato di non fare in tempo e così avevo deciso di non farne niente.
Al signore in questione era scappato detto che a lui non sarebbe stato bene se qualcuno si fosse allontanato per altre commissioni per poi ritornare e passargli avanti quando lui avrebbe invece aspettato per tutto il tempo in loco.
Aggiungo anche che non c’era coda ma persone più o meno raggruppate all’ingresso della farmacia.

Normalmente mi sarei astenuto dal confrontarmi con questa persona: se si è presa la briga di contraddirmi ha probabilmente delle idee troppo antagoniste alle mie per averci un dialogo costruttivo, ovvero che porti a qualcosa, cioè un mutamento di opinione. Questa è la logica da INTP.
Invece ieri a prevalso la curiosità: “sentiamo le sue argomentazioni”.
E così gli ho chiesto il perché del suo disappunto: in particolare insistevo a chiedergli “ma cosa le cambia se io aspetto qui con lei oppure faccio altro?”. Il tizio non aveva grandi ragioni e la sua “argomentazione” si riduceva a un generico fastidio. Ho provato per esempio a chiedergli se lui avrebbe accettato che una persona aspettasse in macchina oppure, semplicemente, a una decina di metri di distanza. Probabilmente percependo l’irrazionalità della propria posizione su queste domande ha preferito non esprimersi. Ha espresso un generico pensiero che mentre lui aspetta non è giusto che altri si “divertano”, per esempio, facendo la spesa. Faccio notare che in questo esempio ha messo in ballo, come riferimento morale o almeno comportamentale, se stesso.

Col senno di poi non ho argomentato molto bene: gli INTP sono lenti a pensare quando devono soppesare contemporaneamente molti fattori diversi. Anche il tenere sotto controllo la parte passionale, sulla quale si ha scarso controllo, non è facile. Io per primo un paio di volte gli ho ricordato “che facciamo per chiacchierare, per passare un po’ di tempo nell’attesa” ma per un 15% ero io stesso un po’ irritato col tizio.
Diciamo che se mi avesse fornito un’argomentazione logica avrei potuta smontargliela facilmente ma rimanendo su un generico “fastidio” non era facile fornirgli una ragione sull’infondatezza della sua sensazione.

Solo nelle ore successive ho raffinato il mio pensiero e ho dato un’organizzazione sistematica alla questione: un vero ENTP suppongo che ci sarebbe riuscito al volo, magari non perfettamente ma almeno a grandi linee. È vero anche che conta la pratica: più si è abituati a confrontarsi con le idee altrui e più si diventa abili a farlo. Io in questo campo sono a zero o poco più.

Secondo me il punto di partenza è che nelle relazioni sociali è normale evitare di infastidire gli altri ed è lecito che chi è infastidito se ne dolga.
Il problema in questo caso è che non si può dare sempre automaticamente ragione al singolo infastidito perché altrimenti si cade vittime del suo arbitrio.
Il signore in questione era infastidito da chi non faceva la fila insieme a lui perché aveva la “sensazione che gli passasse avanti”: diciamo che sia una ragione lecita. Ma da qui si potrebbe passare a essere infastiditi da chi fuma (all’aperto), da chi canticchia, da chi gioca con il proprio telefonino, da chi non sta ordinatamente in fila…
È chiaro che il singolo infastidito non può automaticamente imporre agli altri un certo comportamento che gli sia gradito.

In questi casi è in genere decisivo il comune sentire e la semplice abitudine (*1). In altre parole non sono ammissibili comportamenti non considerati fastidiosi da un singolo ma dalla comunità locale.
Per esempio mettersi in fila e suonare i cimbali è chiaramente un comportamento fastidioso per tutti, analogamente vociare al telefonino.
È quindi possibile che nel paesino in questione l’uso comune fosse proprio quello di aspettare sul posto e di non allontanarsi: in tal caso infrangere questo comportamento consolidato può legittimamente provocare fastidio.
Non ho idea se questo fosse il caso: magari la prossima volta chiedo…

A mio avviso il comportamento che non danneggia gli altri dovrebbe essere lecito. In questo caso il fatto che una persona, una volta preso il numero, faccia altre cose non danneggia nessuno: non è che chi è in fila dopo aspetti di più qualunque cosa faccia nella propria attesa chi lo precede.
Ovviamente questo se chi si allontana e torna quando il proprio numero è già stato chiamato non pretenda di passare avanti! In questo caso danneggerebbe effettivamente chi è rimasto in attesa sul posto facendo i “propri comodi”, ovvero altre commissioni: darebbe in pratica al proprio "numerino" un valore che esso non ha, ovvero di una validità senza (ragionevolmente) limiti di tempo.

Stamani, quando ho iniziato a scrivere questo pezzo, mi è poi venuto in mente un aforisma che amo tantissimo e che, mi pare, metta la parola “fine” alla questione.
È un detto di Osca Wilde che recita più o meno così: «L’egoismo non consiste nel fare ciò che ci pare ma nel pretendere che gli altri facciano come pare a noi».

Sarebbe stato bello ricordarselo ieri!

Conclusione: probabilmente a un ENTP sarebbe venuto in mente!

Nota (*1): altrove, nell’Epitome e non solo, spiego che è proprio l’abitudine e l’uso continuato che stabiliscono la morale. Vedi Nietzsche e altri...

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