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sabato 14 gennaio 2012

Cibo per amicizia

Adesso non è più così ma, per molti anni, consideravo “amico” solamente una persona che era stata a mangiare a casa mia; altrimenti, per quanto simpatico, rimaneva solo un conoscente.
Non so perché ma mi veniva istintivo: la condivisione del cibo evidentemente ha una valenza più che simbolica. Dopotutto solo nel benessere attuale il cibo ha perso parte della sua importanza: adesso non ci pensiamo due volte a gettare gli avanzi e l'obesità è diventata un grosso problema per la salute pubblica.
Ma anche solo un secolo fa, la fame era la costante compagna dell'uomo e l'accompagnava dalla culla alla tomba.
Il cibo scarseggiava e solo pochi fortunati potevano mangiare fino a saziarsi: e così è stato per il 99,99% della storia dell'uomo.
Per questo motivo, evidentemente, qualcosa che va al di là della cultura e dell'educazione, qualcosa di istintivo, deve essere rimasto nella natura sociale dell'uomo che continua a sussurrare al nostro inconscio quanto il cibo sia importante e che quindi, condividerlo, non è cosa da poco.
Infatti, nelle epoche passate, l'equivalenza fra cibo e vita era molto più ovvia e naturale che adesso: a quei tempi condividere il cibo equivaleva a condividere la vita. E tutti ne erano consapevoli.
Con questa teoria ho cercato di spiegare ciò che fin da bambino percepivo istintivamente.

Recentemente però, sempre sul “Ramo d'oro” di Frazer (vedi Serendipità libresca), ho letto un passaggio interessante proprio sul cibo. Si tratta di un sottocapitolo intitolato “Tabù sul lasciare avanzi di cibo”.
Qui viene spiegato che, presso numerose popolazioni primitive, c'è la convinzione di una forte relazione fra il cibo e colui che l'ha mangiato: per magia “simpatica” (*1) uno stregone che si impossessa degli avanzi di cibo può aver potere su chi se ne sia nutrito.
Dopo vari esempi l'autore arriva alla conclusione che i legami morali dell'ospitalità basati sulla condivisione del cibo derivino proprio dalla paura di questa magia.
Cito testualmente (*2): “È ovvio che chiunque voglia danneggiare un uomo facendo degli incantesimi sui resti del suo cibo, non debba partecipare a quel cibo, perché se lo facesse, per i princìpi della magia simpatica, soffrirebbe egli stesso come il suo nemico di qualunque danno fatto a quei resti. È questa l'idea che nella società primitiva rende sacro il legame prodotto dal mangiare in comune: partecipando dello stesso cibo due uomini si danno per così dire un pegno della loro buona condotta: ciascuno garantisce all'altro che non tramerà alcuna insidia a suo danno poiché, essendo fisicamente unito a lui per il cibo comune che hanno nello stomaco, qualunque danno egli faccia al suo compagno ricadrebbe sul suo proprio capo con la stessa forza precisa con cui cadrebbe sulla testa della sua vittima.

Io non sono d'accordo con questa interpretazione di Frazer (e di molte altre del resto!) e rimango della mia opinione. Pure però questa teoria mi pare degna di nota.

Nota (*1): L'idea della magia “simpatica” è uno dei concetti cardine del libro. Tale magia viene scomposta in “omeopatica” e “contagiosa” e in poche parole significa che la magia può aver luogo quando due cose sono state in contatto fra loro (“contagiosa”) o se sono di natura simile (“omeopatica”).
Nota (*2): tratto da “Il ramo d'oro” di James George Frazer, Ed. Euroclub Italia, 1995

2 commenti:

  1. Secondo me il mangiare insieme risveglia legami antichissimi di fratellanza ed amicizia perchè tralasciando l' ultimo periodo di "vita civile" per centinaia di migliaia di anni i cacciatori si sono seduti intorno ad un fuoco per godere dei risultati di una caccia pericolosa ed a volte mortale che li ha visti uniti per procacciarsi il cibo.Quindi quale occasione migliore se non la stessa tavola per sottolineare l'amicizia?

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  2. Questa è grossomodo la mia teoria infatti. L'interpretazione di Frazer mi pare molto cervellotica anche se, in certi contesti, immagino che sia plausibile...

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