Qualche giorno fa ho ricevuto un commento al post La solitudine del pamviro che è riuscito a irritarmi...
Sarebbe lungo spiegare perché ho trovato così irritante quel commento: basti dire che conosco (da quando sono nato!) il suo autore e, per questo, vi leggo fra le righe numerosi sottintesi non detti e vari pregiudizi.
Normalmente non avrei avuto niente in contrario a un commento, anche molto critico, se avesse affrontato l'argomento del post ma, sfortunatamente, questo ha un altro difetto che non me lo fa digerire: banalizza il finale, che la mia assurda sensibilità trova poetico, e, con considerazioni superficiali, distoglie il lettore dalla vera essenza del post...
Per questi motivi, col consenso dell'autore, l'ho rimosso dal post a cui si riferiva e lo ripropongo qui di seguito integralmente:
"Non credo che il sentirsi solo e/o incompreso dipenda dalle tue vere o presunte capacità intellettive che ti pongono al di sopra della media, ma da altre caratteristiche come il piacere di stare in compagnia o quello di condividere nuove conoscenze o avventure con gli altri. Esiste una seconda possibile ipotesi cioè che il tasso di vampirismo sia più elevato del normale......"
Eppure anche questo commento ha del merito. In particolare la parte evidenziata (da me) in neretto pone un'interessante questione: c'è una relazione fra intelligenza e socialità?
L'autore del commento pare suggerire che non sia così...
Ma prima di tutto, per evitare fraintendimenti, visto che non conosco la definizione esatta di socialità, premetto che per il resto di questo post mi limiterò a considerarla sinonimo dei vari gradi di relazione che si possono instaurare con un estraneo facendolo diventare prima un conoscente e poi un amico più o meno intimo.
Mi chiedo: su cosa si basa una relazione fra individui? Ovvero, perché due persone vorrebbero passare del tempo insieme?
Semplificando mi vengono in mente le seguenti tre motivazioni (che potrebbero anche in parte sovrapporsi): interessi comuni, simpatia reciproca e interessi egoistici.
La categoria degli “interessi egoistici” è particolarmente ampia e vi includo a torto o a ragione: il voler diventare amico per riceverne futuri benefici, attrazione sessuale, motivi di lavoro. A mio avviso affrontare questa categoria di motivazioni esula dal vero spirito della domanda, che implicitamente mi pare considerare la socialità nella sua essenza più pura escludendone i secondi fini, e quindi mi concentrerò solo sugli “interessi comuni” e la “simpatia reciproca”.
Personalmente, come si può facilmente capire leggendo questo blog, i miei interessi sono estremamente eclettici (mi vengono in mente GdR, scacchi, poker, programmazione/algoritmi, storia/antica, religione/eresie, chitarra etc...) e forse per questo motivo trovo un po' noiose le persone fissate su pochi interessi, tipicamente lavoro/famiglia/calcio. Certo, non avrei problemi a passarci una mezza giornata insieme ascoltando tutto quello che c'è da sapere sul loro lavoro, ma dopo un po' troverei molto frustrante non poter a mia volta spaziare oltre e parlare, che so, dei tarocchi o dell'ultimo libro che sto leggendo senza che il mio interlocutore inarchi un sopracciglio guardandomi come un mezzo matto.
Domanda: c'è una relazione fra intelligenza e numero di interessi? Secondo me, almeno in parte, sì: cioè una buona intelligenza è condizione necessaria (ma non sufficiente!) per avere una comprensione non superficiale di più argomenti...
Riguardo la “simpatia” voglio intenderla nel suo senso etimologico: soffrire insieme e quindi condivisione delle emozioni. A mio avviso per potere condividere delle emozioni bisogna avere una visione perlomeno simile della realtà che ci circonda.
Senza questa visione comune non sarebbe infatti possibile capire i problemi, le decisioni, le gioie e forse anche i sentimenti dell'altra persona. Non ci può essere immedesimazione senza la comprensione dell'altro e, tale comprensione, non è possibile se si parlano linguaggi diversi: se si prova a leggere la storia della vita di una persona scritta con caratteri di un alfabeto sconosciuto e in una lingua dimenticata cosa mai potremmo capirci?
Anche in questo caso, a mio avviso, l'intelligenza influenza pesantemente la nostra visione del mondo e quindi la possibilità di condividere pensieri ed emozioni: in altre parole la simpatia.
Ad esempio, molto banalmente, per far “funzionare” il mio umorismo con una certa persona la devo conoscere, e quindi interpretare e capire (simpatia), bene. Il motivo è che, esaminando il mio umorismo nella sua essenza, esso consiste nell'evidenziare aspetti della realtà che mi colpiscono mostrandone le loro contraddizioni. In parole povere sono sarcastico e ironico: per non rischiare equivoci devo stare attento a calibrare le mie affermazioni in maniera che le mie parole non vengano fraintese dal mio interlocutore...
L'argomento è lungi dall'essere esaurito e sarebbe forse interessante provare a esaminare gli altri elementi che determinano la socialità ma, per il momento, mi pare di aver sufficientemente argomentato quello che mi premeva affermare: ovvero che l'intelligenza influenza significativamente la socialità delle persone poiché ne determina la rispettive visioni del mondo e, di conseguenza, la possibilità di apprezzare pienamente “...il piacere di stare in compagnia o quello di condividere nuove conoscenze o avventure con gli altri...”
Un'ultima precisazione: spero di non aver dissuaso i miei lettori dal postare commenti per paura di irritarmi! In realtà è molto difficile farmi arrabbiare e, solo il particolare Autore del commento preso in esame, è capace di farlo con irrisoria facilità per motivi noti solo al Dr. Freud: commentate quindi con tranquillità perché non vi farò mai una sfuriata alla De Falco-Schettino!
giovedì 19 gennaio 2012
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