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sabato 8 aprile 2023

Rilettura del genocidio del Ruanda

Da qualche giorno sto leggendo un capitolo interessante in “Collasso” di Diamond: è sul Ruanda e Burundi e il genocidio del 1994. Io avevo molto superficialmente, basandomi su Wikipedia (*1), scritto il mio secondo pezzo sulla serie dei genocidi del 27 gennaio: Il giorno della memoria 2.

Come forse ricorderete nel 1994 in Ruanda vi fu un grande genocidio dove la maggioranza hutu si accanì sulla minoranza tutsi. In teoria le due etnie avevano caratteristiche fisiche e culturali diverse ma nella pratica, vuoi anche i matrimoni misti, stabilire chi fosse un hutu o un tutsi era abbastanza arbitrario. Storicamente i tutsi erano stati legati al potere coloniale europeo che li aveva favoriti rispetto agli hutu. Già in passato vi erano stati massacri fra le due etnie soprattutto quando i tutsi erano stati al potere. Negli anni ‘90 però il governo era hutu e stava attraversando un periodo di crisi (onestamente non ricordo più se interna o esterna: probabilmente entrambe): per mantenere il potere il governo ebbe la splendida idea di aizzare la maggioranza hutu contro la minoranza tutsi addossandole tutte le colpe della società (*2).
Il risultato fu che, diversamente da altri genocidi, la popolazione hutu partecipò direttamente nei massacri riversando il proprio odio sui vicini di casa e colleghi di lavoro.

Questa è, proprio in pochissime parole, la sintesi degli eventi che si può leggere nel mio pezzo e, credo, nella narrativa dominante.
Colpisce, e mi colpì, la follia del tutto: qualsiasi genocidio è folle ma questo lo sembrava particolarmente. Ne scrissi in Geremiade.

Non lo so: probabilmente questa apparente follia avrebbe dovuto mettermi in allerta e, almeno, farmi sospettare che vi fossero altre motivazioni che Wikipedia non menzionava o che a me erano sfuggite.

E in effetti Diamond fa proprio questo e presenta una teoria, credo non sua, che mette in relazione il genocidio con una vera e propria crisi malthusiana (v. Malthus). Per crisi malthusiana intendo la crisi socioeconomica che si ha quando la popolazione cresce più della produzione di cibo: in pratica quando si hanno tante persone strette insieme e affamate.
Il Ruanda di inizio anni ‘90 era esattamente in questa situazione: i dati sono incontrovertibili. A questo si aggiunge poi un allargamento della forbice fra poveri e ricchi: con i primi costretti a vendere il proprio appezzamento di terreno già piccolo a favore dei più ricchi.
Pratiche di coltivazione antiquate, erosione del suolo e peggioramento delle condizioni climatiche erano tali che gli appezzamenti più piccoli non erano in grado di produrre abbastanza cibo neppure per sfamare i contadini che li coltivavano.
Ma ancora più interessante è lo studio di cosa accadde nella provincia di Kanama: qui infatti non vi vivevano tutsi ma la densità della popolazione era particolarmente alta (*3). La litigiosità alle stelle: si stima che ogni famiglia avesse almeno un grave conflitto all’anno con un proprio vicino risolto attraverso un arbitrato locale e, più raramente, da un tribunale.
Ebbene quando i massacri iniziarono nell’intero Ruanda Kanama non fu un’eccezione: solo che qui gli hutu non massacrarono tutsi (non presenti) ma altri hutu. Si stima che venne uccisa almeno il 5,4% della popolazione ma probabilmente tale valore va significativamente incrementato.

Ancora non ho concluso la lettura del capitolo ma è già ovvio il suo significato: se i massacri avessero avuto un’origine esclusivamente etnica allora non avrebbe dovuto essercene nella provincia di Kanama. La mia conclusione è che la crisi malthusiana fu un elemento significativo che portò o almeno favorì il genocidio.

Colpisce poi come i sopravvissuti abbiano considerato cinicamente la guerra utile per “sfoltire” la popolazione troppo numerosa. Cito: «Ancora oggi molti ruandesi ritengono che una guerra sia necessaria per spazzar via la popolazione in eccesso e per riportarla entro i limiti delle risorse disponibili». E poi: «La decisione di uccidere […] fu messa in pratica in modo straordinariamente efficace dai singoli contadini nei loro vari ingo [clan] perché c’era la sensazione che le persone fossero troppe e che la terra fosse troppo poca, e che riducendo il numero di individui ci sarebbe stata più terra per i sopravvissuti.» (*4)

Conclusione: i ruandesi e in particolare gli hutu sono cattivi cattivi? Secondo me no. L’odio e la discriminazione scatenata con irrisoria facilità dal potere politico durante la pandemia in Italia dimostra come nell’uomo comune la ragione e la moralità siano deboli e come, anzi, esso sia proclive a scagliarsi contro il primo capro espiatorio che gli venga presentato a “giustificazione” delle difficoltà che sta attraversando. Volendo andare nel XX secolo non sono mancati genocidi veri e propri anche nella civilizzata Europa.
No: è la natura umana a essere molto peggiore di quanto ci si illuda che sia. Prendete un comune impiegato italiano: non nutritelo per 12 ore ma fategli vedere i TG alla tivvù che gli raccontano, coadiuvati magari dall'esperto di turno che "parla la scienza", come sono stati i cattivi no-vax a rubargli la cena; poi dategli un macete e fatelo entrare in una stanza piena di bambini non vaccinati: ecco che di sicuro l’impiegato troverà la maniera di procurarsi un pasto.
Ovviamente sto scherzando e il periodo precedente è solo frutto del mio disgustoso umorismo nero. Spero.

Nota (*1): Wikipedia, lo ripeto, è una cattiva fonte: non affidabile sugli argomenti “caldi” e poco affidabile su tutti gli altri. Il suo pregio è che vi può scrivere chiunque e il suo difetto è che, non solo ci può scrivere chiunque, ma è anche controllata dai servizi di intelligenza statunitense.
Nota (*2): La recente gestione della pandemia ci ha dimostrato come esista una parte consistente della società che sia, per costituzione psicologica, facilmente eccitabile e manipolabile dal potere politico. Queste persone possono poi essere spinte a commettere ingiustizie, quando non crudeltà, verso coloro che i media indicano e trasformano genericamente nei “cattivi” di turno.
Nota (*3): Nel 1988 la popolazione nella provicia di Kanama per chilometro era di 680 persone passate a 796 nel 1993: per dare l’idea i Paesi Bassi, il paese con la più alta densità di popolazione in Europa, hanno “appena” 367 persone.
Nota (*4): Citazioni dirette di André e Platteau (primo virgolettato) e di Prunier (secondo) tratte da “Collasso” di Jared Diamond, (E.) Einaudi, 2014, trad. Francesca Leardini, pag. 340.

5 commenti:

  1. La sovrappopolazione rimane problema e tabù numero zero.
    Successero cose orribili. In Rwanda tanto fu evidente tanto fu travisato!
    La 1a guerra mondiale, in Europa, è stata guerra di sovrappopolazione.
    Gunnar Heinsohn studio la correlazione tra bubbone giovanile (youth bulge) e guerre.
    Le guerre neo-puniche che stiamo subendo sono un altro caso di sovrappopolazione / bubbone ggiovanile
    insomma l'acqua tiepida sempre tiepida e bagnata è.

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  2. In effetti sul Ruanda l'argomento di Diamond è molto convincente.

    Sulla prima guerra mondiale non sono convinto, anzi: se ben ricordo c'era grande benessere e non fame in Europa, poi c'era la valvola di sfogo dell'emigrazione negli USA... insomma a naso l'ipotesi della sovrappopolazione non mi convince, ma non ne so molto...

    La crescita demografica africana è evidente: sicuramente ha un ruolo importante nell'immigrazione...

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  3. Risposte
    1. L'ho già letto: molto interessante!
      Tanto per cambiare avevo già scritto qualcsa del genere in [E] 7.7. Mi cito: "Più l’età media è bassa e più grande sarà la propensione all’azione: da una parte si tratta di una risposta fisiologica dovuta alla
      maggior quantità di testosterone, da un’altra dipende da minori responsabilità verso terzi (figli o genitori anziani) e beni propri."
      e
      "Una famiglia numerosa permette di dividere le responsabilità verso parenti terzi: equivale quindi a una rete di sicurezza che può aumentare la propensione al rischio."

      Chiaro che ora aggiungerò anche il fattore delle minori risorse disponibili!

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