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domenica 23 aprile 2023

Rawls ontologico

Ho iniziato a leggere un nuovo capitolo di “Una teoria della giustizia” e dal titolo, “44. Il problema della giustizia tra generazioni”, l’argomento mi sembrava molto interessante.

Personalmente avevo spesso pensato alla giustizia di una costituzione, scritta e accettata (più o meno direttamente) da lontani antenati, e che tutte le successive generazioni si ritrovano così com’è.
Quanto è giusto che i nuovi maggiorenni si trovino vincolati da una costituzione che non hanno votato (senza parlare delle leggi stabilite nel corso del tempo)? Che debito di riconoscenza hanno, o dovrebbero avere, per il paese in cui sono nati o cresciuti?
La mia conclusione non è particolarmente soddisfacente: non è giusto che un neo maggiorenne sia vincolato da una costituzione + leggi decise e accettate dalle generazioni precedenti.
Credo anche che il suo debito con la società in cui è cresciuto (istruzione, magari cure mediche) è nullo in quanto si può ipotizzare che esso venga pagato dai genitori per i figli minorenni.
La conseguenza è che, secondo me, ogni giovane, raggiunta la maggiore età, dovrebbe essere libero di decidere se accettare o meno costituzione e leggi: se accetta allora tutto è a posto ma, in caso contrario, sorge il problema di cosa fare del giovane.
E qui sorge tutta una serie di considerazioni che non è il caso di affrontare in questo pezzo.

Questo per dire che, avendo un’idea già piuttosto sviluppata, ero curioso di scoprire come Rawls avrebbe affrontato il medesimo problema.

Prima di tutto c’è da dire che l’impostazione di Rawls è totalmente diversa dalla mia: per lui il problema della giustizia tra generazioni è semplicemente qualcosa di diverso da quanto avevo in mente io. Premetto poi che non ho terminato di leggere il capitoletto in questione ma, considerando che le ultime pagine sono in genere di riepilogo, non mi aspetto sorprese clamorose.
Per Rawls il problema di giustizia tra generazioni si riduce a trovare un equilibrio fra il “minimo sociale” e il “tasso di risparmio”. Il “tasso di risparmio” è quella quantità di generiche risorse che ogni generazione dovrebbe accumulare per la successiva; il “minimo sociale” è invece il benessere minimo dovuto a ogni individuo e che può variare da generazione in generazione. Ovvio che più il “minimo sociale” è basso e maggiore può essere il “tasso di risparmio”. Ma come stabilire qualcosa di equo per tutte le generazioni?

E qui, mi dispiace dirlo, ma anche Rawls si mette a “fuffare” proponendo idea completamente irrealistiche e sostanzialmente non funzionali.
I difetti della sua logica sono molteplici, per esempio: suppone (vittima del “Paradosso dell’epoca”) che il benessere vada sempre a crescere (oggi è evidente che NON sia così); il “tasso di risparmio” consiste di capitale e tecnologia ma non considera assolutamente la limitatezza delle risorse globali rinnovabili e non.
Solo indirettamente affronta la problematica che avevo in mente io: Rawls si immagina infatti che l’ipotetica assemblea originaria sia composta di persone che, non solo a causa del velo d’ignoranza, non sanno niente di se stesse ma che appartengono anche a generazioni diverse e quindi sanno che, in base all’epoca in cui nasceranno, troveranno situazioni tecnologiche e di ricchezza media anche molto diverse.
È evidente che qui si raggiunge un livello di astrazione assolutamente irrealistico.
Nella nostra realtà quotidiana, nelle democrazie occidentali, abbiamo una maggioranza di persone che non sa distinguere quale sia la forza politica che rappresenti il suo interesse nel momento presente: com’è possibile, velo d’ignoranza o meno, che la stessa persona catapultata nell’assemblea originaria possa essere in grado con un minimo di cognizione di causa quale sia il meglio per, in pratica, qualsiasi generazione? È impossibile…
Rawls immagina la sua assemblea costituita non da persone normali, per quanto razionali (*1), ma da super calcolatori!
Senza poi contare che alla fine questa vaga dimensione del “tasso di risparmio” non potrà mai essere stabilita a priori ma potrà dipendere da situazioni naturali sulle quali gli individui non hanno alcun controllo: per esempio se una città è rasa al suolo da un terremoto è evidente che il “tasso di risparmio” non potrà essere quello stabilito perché ci sarà da ricostruire ciò che è andato perso.

Personalmente non ho niente in contrario col ragionare partendo da situazioni completamente ipotetiche: io spesso uso infatti lo “stratagemma” degli alieni che, come delle divinità sulle quali gli uomini non hanno alcun controllo, possono costruire delle situazioni artificiali utili però a farci liberamente ipotizzare i comportamenti delle persone senza gli usuali vincoli giuridici e, magari, morali (*2).
Non ho quindi problemi a ipotizzare il velo di ignoranza o che, addirittura, dell’assemblea originaria possano far parte persone di generazioni diverse: non è questo il problema.
Il problema è invece che si presume, non so come, che tale assemblea possa fare qualcosa di impossibile, ovvero accordarsi su “minimo sociale” e “tasso di risparmio” per ciascuna generazione: per farlo con un minimo di senso i vari membri dell’assemblea dovrebbero conoscere l’evoluzione del futuro, ovvero sarebbe uno stabilire tali dimensioni col “senno di poi”.
Ma alla fine tutta questa procedura mi sembra affine alla dimostrazione ontologica dell’esistenza di Dio: Dio ha per definizione tutte le virtù, l’esistere è una virtù e quindi Dio esiste.
Eh no, è un po’ troppo facile così: altrimenti io mi immaginerei l’isola perfetta della cuccagna e ci andrei a vivere…

Conclusione: qui Rawls pretende troppo dalla sua “assemblea originaria” e sorvola su quello che, a mio avviso è invece il problema principale del rapporto di giustizia fra generazioni. È ragionevole pensare che una società giusta stabilirà come meglio può, via via col passare del tempo, quale sia il “minimo sociale” e il “tasso di risparmio”: non è infatti un problema che si possa risolvere a priori (*3).

Nota (*1): e già sulla razionalità sapete come la penso: più o meno il 99% delle persone non sono razionali più o meno il 99% del tempo.
Nota (*2): ovviamente non sono il primo ad aver avuto questa idea: ho scoperto che anche Aristotele (o forse Platone?) ricorreva a uno stratagemma analogo per investigare situazioni ipotetiche!
Nota (*3): non so se qualcuno ci ha già pensato ma dovrebbe esistere un analogo del teorema di incompletezza di Gödel per la filosofia: alcune questioni non possono essere risolte da filosofie basate su certi assiomi di base...

2 commenti:

  1. Il problema dei limiti della crescita.
    Lo spaventoso, indicibile debito che cresce senza limiti è solo la manifestazione finanziaria di orribili, immensi deficit di ogni tipo.
    Un vero e proprio furto intergenerazionale.
    Peraltro un modus operandi quasi etologico: si pensi alla iperprocreazione per cui madre e padre proprietari di un buon podere creano una baracca di figli miseri, senza futuro, costretti a emigrare (caso Cecile Kyenge con qualche notorietà): un buon podere per due NON può essere un buon podere per nove, dieci, etc. .

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    1. Beh, in questo capitoletto Rawls mi ha un po' deluso. È troppo teorico e nasconde tutte le difficoltà, quando le intravede, sotto il tappeto.

      In particolare, come mi pare di aver scritto, non tiene conto della limitatezza delle risorse.
      Posso presumere che, posto davanti a questo problema, Rawls direbbe che l'assemblea originaria intergenerazionale dovrebbe tenere conto di questo problema e accordarsi a limitare il numero di figli per generazione.

      Ovviamente sarebbe una soluzione paradossale e totalmente impraticabile.

      Incidentalmente proprio oggi, leggendo Hobsbwam, ho trovato degli spunti interessanti in particolare che negli anni '60-'70 in occidente ha iniziato a esservi scarsezza di manodopera con conseguente aumento degli stipendi delle classi lavoratrici e diminuzione profitti per industriali. Mi chiedo se l'immigrazione extra-europea possa essere letta come una risposta a questa situazione: almeno in una fase iniziale, poi con la delocalizzazione delle industrie tutto questo bisogno di lavoratori non c'è più e, anzi, la disoccupazione è rampante.

      Altro spunto i movimenti giovanili del '68: in un'epoca di benessere perché queste rivolte? Mi è allora venuta in mete la teoria del "bubbone giovanile" (non ricordo il termine esatto!) di cui mi aveva passato un collegamento. Mi chiede se il '68 fu semplicemente il risultato del "bubbone giovanile" di quegli anni...

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