Il corto Organizer mi ha fatto tornare in mente un divertente (ma soprattutto istruttivo) aneddoto di quando lavoravo in Olanda.
Qualche premessa: io ero l’ultima ruota del carro (o forse la penultima ma non troppo meglio!) e, in pratica avevo un capo principale e uno secondario e, di tanto in tanto, lavoravo direttamente per il capo dei due precedenti.
Essendo l’ultima ruota del carro non decidevo niente ma mi limitavo a eseguire le istruzioni che ricevevo: un po’ seccante il fatto che spesso mi rendessi immediatamente conto di problematiche che i miei capi invece ignoravano; d’altro canto mi pagavano bene e il lavoro era senza stress insomma i pro e i contro si controbilanciavano e, anzi, probabilmente nel complesso ci “guadagnavo”.
Questo capo era un francese piuttosto rigido, di impostazione militare, che dava ordini ai suoi sottoposti e si aspettava che facessero esattamente quanto detto. Il mio capo principale, uno spagnolo che non definirei brillante, ci faceva delle grandi discussioni mentre quello secondario, italiano, aveva terrore delle sue sfuriate e, in generale, di discutere con lui.
Un giorno il mio capo secondario mi propose di creare una nuova applicazione da zero, non mi ricordo più nemmeno per cosa di preciso. Però per una volta mi impegnai e arrivai a un progetto con due o tre idee, a mio parere, molto valide che avrebbero veramente avuto un impatto positivo sul lavoro dell’intera divisione di cui facevo parte.
Questa volta quindi, invece di essere indifferente come al solito, mi sarebbe piaciuto portare a compimento l’intero progetto. Per poter procedere però dovevamo ottenere il via libera del capo francese (che, suppongo, non si fidasse molto né del mio capo italiano né di quello spagnolo) a cui quindi dovevamo presentare il mio progetto.
Il mio capo italiano, una bravissima persona sebbene eccessivamente timorosa, era subito rimasta entusiasta quindi, avendoci un buon rapporto, gli spiegai cosa avrebbe dovuto dire per convincere il suo (nostro) capo francese.
In qualche vecchio pezzo (che non ho voglia di cercare) ho scritto di come alle medie fossi abile nel manipolare i miei insegnanti e come, al liceo, decisi per precisa scelta morale di non farlo più. Ebbene in questo caso, visto che ci tenevo a realizzare il progetto come l'avevo pianificato, avevo deciso di fare un’eccezione.
Sfortunatamente, per motivi di politica interna, non potevo parlare io direttamente col francese ma il mio capo italiano doveva fare da intermediario con me, diciamo, come supporto tecnico.
Così spiegai chiaramente al mio capo italiano quali sarebbero state le obiezioni del capo francese e come avremmo dovuto fare per aggirarle. Gli spiegai, ripeto CHIARAMENTE, che avrebbe dovuto far proporre a lui le sue idee su alcuni aspetti chiave; a quel punto io avrei evidenziato delle problematiche "tecniche" delle sue idee ma, guarda caso, "nessun problema": si sarebbero evitate con la soluzione che avevo ideato. Gli spiegai poi CHIARAMENTE (di nuovo!) cosa sarebbe successo se avessimo presentato noi per primi il mio progetto: avrebbe impallinato questo e quello perché era fatto così, avrebbe voluto dire la sua per “migliorare” il tutto mettendoci la sua "firma". Ma il mio progetto era già l’ideale: qualsiasi modifica l’avrebbe peggiorato! Ecco quindi perché dovevamo fare come spiegato.
Adesso è chiaro che il mio era un tentativo di dettare l’agenda della discussione con però l’intento machiavellico di dare al capo francese l’illusione che l'essenza del piano fosse idea sua e che le mie proposte fossero solo semplice modifiche tecniche necessarie. Grazie a questa illusione l’avrebbe supportato al massimo e non avremmo avuto problemi.
Ah! dimenticavo: via via che gli spiegavo i vari passaggi mi diceva “sì, sì”, “giusto”, “d’accordo” e simili.
Quando poi ci avviammo insieme verso il mega ufficio del capo di nuovo mi raccomandai di fare come “avevamo” stabilito di fare: “sì, sì, non ti preoccupare!” mi rispose.
Quando entrammo mi sembrò che il capo francese fosse di buon umore e le prime dieci parole del mio capo italiano furono effettivamente quelle stabilite. Poi il francese fece una microscopica obiezione a cui si sarebbe potuto rispondere in cento modi diversi senza problemi: invece il mio capo si trasformò immediatamente in Bambi, di notte, sull’autostrada, paralizzato dagli abbaglianti di un TIR che gli si dirige contro. Con gli occhi sgranati iniziò a balbettare e disse l’esatto CONTRARIO di quello che gli avevo detto di dire; a sua volta il capo francese disse ESATTAMENTE quello che avevo previsto avrebbe detto.
È un peccato che non ci fosse uno specchio: col senno di poi mi sarebbe piaciuto veder che faccia avevo. Non so per quanto andò avanti questa tortura, forse per dieci minuti? Mi sembra di ricordare che quando il francese si volse a parlare con me dovette notare qualcosa e, per un attimo, rimase perplesso: già all’epoca ero noto per avere un carattere “difficile” ma sapeva anche che il mio malumore non avrebbe influenzato la mia razionalità e, quindi, fece finta di niente.
Una persona più sveglia di me, magari con maggiore parlantina o flessibilità mentale o semplicemente più ottimismo, forse avrebbe potuto salvare gli aspetti salienti del mio progetto ma io ero completamente depresso e frustrato: la situazione del confronto era esattamente l’opposto di quella che avevo calcolato di trovare e che, ne ero sicuro, avremmo invece avuto se il mio capo avesse fatto come gli avevo spiegato. Quindi non provai nemmeno a difendere le mie idee ma accettai, come al solito, le istruzioni passivamente.
Se non me lo sono sognato mi pare (ero traumatizzato!) che, quando si uscì, il mio capo mi disse: “è andata bene eh?”. Non so se fu ironico o se realmente non si fosse reso conto di niente. Di solito apprezzo l’ironia (anche involontaria) ma non quella volta.
Come detto, non mi importava di essere l’ultima ruota del carro, tranne quel giorno perché mi ero sentito impotente, mi sarebbe bastata una briciola di autonomia/autorità in più: e poi provavo rabbia per come l’occasione di fare qualcosa di utile fosse sfumata. Era tutto stato così a portata di mano: avevo previsto tutto pefettamente ma nonostante ciò ogni cosa era crollata sotto i miei occhi senza che potessi farci niente.
Conclusione: quali lezioni trassi da quell’esperienza? All’epoca nessuna: ero troppo frustrato per pensare lucidamente. Oggi direi che le lezioni sono molteplici: 1. non fidarsi che altri siano in grado di portare a termine un qualsiasi compito, non importa quanto semplice; 2. non fidarsi dei “sì sì, ho capito” ma verificare due o tre volte; 3. non affidare compiti critici, non importa quanto semplici, ad altri; 4. valutare le capacità dei singoli di portare a termine il compito assegnato, non importa quanto semplice; 5. non supporre che altri capiscano quanto hai in mente e che siano in grado di fare quello che faresti tu; 6. bisogna essere sempre pronti a rimediare all’incapacità altrui.
Vabbè, si tratta di una lista semiseria anche se, comunque, i punti 4 e 6 andrebbero effettivamente tenuti sempre presenti!
alla prima stazione
1 ora fa
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