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sabato 22 aprile 2023

Hobsbwam e Cassandra

Onestamente non ho molta voglia di scrivere e, forse, sarebbe più proficuo se mi dedicassi all’Epitome ma ho letto poche pagine di Hobsbwam e voglio mettere nero su bianco i vari concetti interessanti trovati perché sono tantissimi e non voglio dimenticarli…

L’autore (*1), pur non seguendo uno schema puramente cronologico, si sta avvicinando agli anni ‘90 ed è impressionante rendersi conto di come fosse riuscito a comprendere dinamiche che solo adesso sono evidenti. Per certi versi è anche un po’ seccante: nella mia Epitome vi ho inserito tante intuizioni, credendo che fossero tutti concetti innovativi, e poi scopro che qualcuno aveva già pensato le stesse cose trent’anni fa!

Nel sottocapitolo in questione scrive della crescita delle multinazionali nel secondo dopoguerra e, soprattutto, dagli anni ‘60 in poi.

«Un’espansione [economica] aggressiva era certamente nei piani dei dirigenti americani non appena la guerra finì. Fu la Guerra fredda a spingerli verso un’idea più lungimirante, convincendoli che era politicamente urgente aiutare a crescere il più in fretta possibile paesi che in futuro potevano diventare loro concorrenti. Si è perfino sostenuto che, da questo punto di vista, la Guerra fredda fu il più importante motore del boom economico.» (*2)
Questa è un’ottima epigrafe per il mio capitolo [E] 16.2 dove scrivo di come gli USA con la caduta dell’URSS abbiano preso alcune caratteristiche di un impero commerciale e, in particolare, la miopia di confondere fra loro alleati e compagni commerciali.
O forse un riferimento ancor più diretto è in [E] 17.2 dove scrivo: «Da una parte gli USA, a causa della contrapposizione con l’URSS, trattavano con molto riguardo gli alleati europei favorendoli economicamente. Basti pensare al piano Marshall che aiutò l’economia a tornare a livelli prebellici nel giro di pochi anni.»
Hobsbwam cita a sua volta il piano Marshall esattamente nella frase successiva a quelle da me riportate…

La nascita delle multinazionali: «Tuttavia cominciò ad emergere un’economia sempre più transnazionale, specialmente dagli anni ‘60 in poi, cioè un sistema di attività economiche per i quali le frontiere e i territori degli stati non costituiscono la struttura fondamentale, ma soltanto fattori di complicazione. Nel caso estremo, prese corpo un’economia mondiale che non ha in effetti una base o limiti territoriali e che determina o piuttosto pone limiti a ciò che perfino le economie di stati molto grandi e potenti possono fare. All’inizio degli anni ‘70 una tale economia transnazionale divenne una forza globale effettiva.» (*3)
Altra potenziale epigrafe per il mio sottocapitolo [E] 12.3 (sulla 2° globalizzazione) o, ancora meglio, per [E] 12.4 (sulle controindicazioni della 2° globalizzazione).
Per esempio scrivo: «Con la seconda globalizzazione vi sono state però delle novità: [...]; contemporaneamente la forza dei singoli parapoteri economici è cresciuta a dismisura moltiplicandone la capacità di influenzare anche Stati di dimensioni medie e piccole.»

Concetto fondamentale e che forse userò in un nuovo sottocapitolo: «In un certo senso queste cifre [la percentuale delle esportazioni rappresentate dalle merci delle multinazionali] sono irrilevanti, perché la funzione principale di queste società era di “internazionalizzare i mercati al di là delle frontiere nazionali”, cioè di rendersi indipendenti dallo stato e dal suo territorio.» (*4)
Paragrafo autoesplicativo no?
Ecco quindi che si spiega la nascita dell’UE pensata come un grande mercato con i cancelli spalancati alle multinazionali e, più recentemente, dei trattati sovranazionali come TTIP, CETA, TISA e simili usati per scavalcare le regolamentazioni nazionali…

Qualche dato sparso: nel 1960 le 200 aziende più grandi del mondo equivalevano al 17% del PIL mondiale, nel 1984 tale percentuale è stimata al 26%; L’85% di queste 200 aziende avevano la loro sede in USA, Giappone, Gran Bretagna e Germania, il restante in altri 11 paesi.
Sfortunatamente sono informazioni un po’ troppo datate ma danno l’idea della tendenza…

Altra possibile epigrafe: «Tuttavia, anche se è probabile che i legami di queste supergiganti con i governi dei loro stati di origine fossero stretti, alla fine dell’Età dell’oro non è affatto sicuro che esse si “identificavano” con gli interessi dei loro governi o delle proprie nazioni […].» (*4)
Concetto sul quale insisto anch’io più e più volte quando scrivo che, con la seconda globalizzazione, gli interessi dei parapoteri economici non coincidono più con quelli delle proprie nazioni di origine.
Per esempio nella nota 1722 dell’appendice B dell’Epitome scrivo: «[…] in passato anche le grandi aziende si identificavano con una nazione: il governo che faceva (in politica estera) direttamente l'interesse delle proprie aziende, indirettamente faceva anche quello dei propri cittadini. Con la globalizzazione questo paradigma è cambiato: le multinazionali non si identificano più con un'unica nazione e, soprattutto, investono il denaro guadagnato da un mercato in altri paesi, là dove è economicamente più vantaggioso farlo. La conseguenza è che il governo (specialmente se è divenuto espressione di una criptocrazia) influenzato dalle “proprie” multinazionali non garantisce più, neppure indirettamente, alcun beneficio ai propri cittadini.»

Poi Hobsbwam spiega come la delocalizzazione sia strettamente collegata al processo di internazionalizzazione delle multinazionali che, come detto, corrisponde a una differenziazione degli interessi col paese d’origine. Per la cronaca anch’io ribadisco questo concetto nell’appendice B sullodata.

Notevolissimo poi che l’autore si renda conto che questa crescita spropositata delle multinazionali è stata resa possibile dai progressi nelle comunicazioni e nei trasporti. Ne scrive a pagina 329 e io commento prontamente: «[KGB] aggiungerei importanza informatica.»
Non avevo infatti finito di leggere la frase “[…] grazie alla moder-” che prosegue a pagina 330 con “na tecnologia informatica.”!
Vale la pena ribadire per l’ennesima volta che Hobsbwam ha scritto questo capolavoro nel 1994. Vado a memoria: secondo me all’epoca c’erano ancora i processori della famiglia 386. Praticamente un telefonino attuale ha la potenza di 100 di quei vecchi calcolatori. Eppure Hobsbwam, all’epoca quasi ottantenne, vi aveva riconosciuto il ruolo precipuo nella crescita delle multinazionali nei giganti attuali. Un concetto che, dubito, siano in molti a comprendere nel 2023…
Ecco, questo è un caso di quelli citati all’inizio del pezzo, ovvero della “delusione” di ritrovare una “mia” intuizione che, immodestamente, pensavo di aver avuto solo io…
In particolare nella nota 828 ([E] 12.3): «C’è da dire però che la seconda globalizzazione è subordinata ai progressi tecnologici nelle telecomunicazioni: ritengo probabile che solo grazie all’ausilio dei nuovi strumenti informatici, della rete Internet, della possibilità di comunicazione istantanea fra gli angoli più disparati del pianeta le grandi multinazionali siano riuscite a raggiungere le loro attuali dimensioni: le diseconomie di scala altrimenti sarebbero state molto maggiori e ne avrebbero limitato la crescita.»

Hobsbwam chiude poi il sottocapitolo con una riflessione interessante: la globalizzazione toglie forza alla volontà di indipendenza di piccole regioni (cita Corsica e isole Canarie) perché i piccoli stati sono particolarmente vulnerabili alle loro ingerenze. Scrive: «Economicamente, una tale separazioni li renderebbe quasi certamente più dipendenti dalle entità transnazionali che fanno sentire sempre di più la loro presenza determinante in simili contesti. Il mondo più comodo per i giganti multinazionali è un mondo popolato di staterelli nani o un mondo del tutto privo di stati.» (*5)

Dopo aver scritto questo pezzo mi rendo conto che la maggior parte dei concetti, a parte un paio minori, l’avevo in realtà già intuita autonomamente e Hobsbwam mi ha dato solo la conferma di non aver scritto fesserie. Però la mia ammirazione per le sue profonde intuizioni è sincera: davvero mi sembra incredibile che nel 1994 avesse già intuito, e con enorme precisione, la direzione che stava prendendo la storia.

Conclusione: sono contento che Hobsbwam sia morto nel 2012: probabilmente ogni tanto si sarà svegliato la mattina col dubbio di sbagliarsi nonostante che la logica e i dati gli ripetessero che aveva ragione.
Adesso l’orrore è manifesto così come l’incapacità della popolazione di rendersi conto di ciò che succede: il completo tradimento sia dei media (prevedibile) che della politica (imprevedibile per stati come Germania, Francia e UK; dell’Italia, sfortunatamente, non mi stupisco). La vera condanna di Cassandra non era quella di non essere creduta ma di veder realizzarsi ciò che aveva profetizzato.

Nota (*1): per quel che vale Eric Hobsbwam è dato come INTP col 100% di 27 voti. Io non mi pronuncio dato che non lo conosco: però la sua opera, che mette insieme così tanti temi diversi unendoli con guizzi di intuizione ma anche con coerenza logica, è compatibile con tale tipo MBTI.
Nota (*2): tratto da “Il secolo breve” di Eric J. Hobsbwam, (E.) BURexploit, 2009, trad. Brunello Lotti, pag. 324.
Nota (*3): ibidem, pag. 326.
Nota (*4): ibidem, pag. 328.
Nota (*5): ibidem, pag. 331.

2 commenti:

  1. > un mondo popolato di staterelli nani o un mondo del tutto privo di stati.

    Vedi tendenza e attuazione no-borders delle varie sx arcobalenghe.
    Come fai a rendere un simulacro vuoto uno stato? Annulli la capacità di controllo del territorio.
    Vedi ONG scafistiche, guardia costiera ribaltata da guardia a taxi, etc. .

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  2. Ha individuato il passaggio più “succoso” fra quelli che ho citato: in effetti avrei avuto anch’io da commentare ma mi ero un po’ stufato di scrivere!

    Concordo con quanto ha scritto (ovviamente ci sarebbe da scrivere un pezzo intero o ancora di più) e presto aggiornerò la mia Epitome per trattare anche questo problema.
    È per me sbalorditivo che già nel 1994 uno storico fosse riuscito a inquadrare la tendenza.

    Poi i meccanismi con cui questi grandi poteri cercano di raggiungere il loro obiettivo sono molteplici ma il punto chiave è che aspirano a un mondo senza barriere non perché più libero e giusto per chi vi vive ma perché sarebbe un unico mercato senza regole e con poche o nessuna tassa.

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