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mercoledì 1 marzo 2023

Subincisioni e precauzioni

Pezzo breve oggi (credo).

Sto avanzando velocemente in «Collasso» di Diamond.
Dopo l’analisi un po’ noiosa del Montana attuale è iniziata la parte, per me, più interessante.

Prima ha trattato l’isola di Pasqua senza sostanzialmente aggiungere niente di nuovo a quanto già sapessi: del resto i documentari ci insistono parecchio…

Poi è passato alle isole Mangareva, Pitcairn e Henderson (di cui non sapevo niente; non avevo neppure collegato il nome Pitcairn al Bounty) in un capitolo intitolato “Gli ultimi sopravvissuti: le isole Pitcairn e Henderson”.
Come mai nel titolo del capitolo non è nominata Mangareva che era l’isola più importante?
Beh, il motivo è che l’autore le considera società separate e indipendenti e che,secondo la sua teoria, quando a queste viene tolto un socio commerciale fondamentale, vi può essere il loro crollo.
A me pare una forzatura e sembra che le tre isole formassero un unico sistema interdipendente.
Il considerare le società di Pitcairn e Henderson (solo poche decine di abitanti) separate avrebbe avuto senso se, almeno per alcuni periodi della loro storia, fossero state indipendenti da Mangareva ma di questo non mi sembra vi sia alcuna prova.
Boh, nel complesso a me pare un esempio di crollo analogo a quello di Pasqua…

Adesso sto invece leggendo degli Anasazi degli USA sud-occidentali (New Mexico e d’intorni). Anche di questi non sapevo praticamente niente anche se forse avevo visto qualche frammento di documentario.

Nei tre capitoli citati sembra emergere uno schema ricorrente: la popolazione si espande, sfrutta tutte le risorse disponibile e poi collassa (oppure tira avanti per un po’ e collassa solo in seguito alla prima contingenza negativa).
Nel caso delle isole, e (suppongo) anche per gli Anasazi, il problema critico è la deforestazione: quando finiscono i tronchi abbastanza grandi da farvi canoe in grado di reggere l’alto mare non solo cessano i collegamenti con le isole vicine ma non è più possibile la pesca al largo che provoca a sua volta un’improvvisa e decisa perdita di cibo disponibile.

In effetti la vera domanda non è tanto come mai queste società sono crollate ma perché non si siano rese conto in anticipo del pericolo che stavano correndo e non abbiano preso provvedimenti adeguati per impedirlo.
Cioè gli abitanti di Pasqua non erano certo più stupidi dell’uomo moderno: non potevano non rendersi conto che gli alberi ad alto fusto erano indispensabili alle loro canoe e che senza di essi sarebbe stato un disastro. Eppure, un giorno, anche gli ultimi esemplari di palma furono abbattuti.
Come parallelo ricordo che la Repubblica di Venezia teneva dei registri con tutti i grandi alberi presenti nei boschi dei suoi territori e che sarebbero serviti per la costruzione di navi: ovviamente i privati non potevano assolutamente tagliargli…

Sfortunatamente, almeno al momento, l’autore non affronta questo problema interessantissimo.

Ma ieri ho avuto una delle mie intuizioni.
Noi tendiamo a pensare che nelle fasi di crescita della popolazione vi sia stata abbondanza per tutti grazie alla possibilità di sfruttare le risorse naturali. Questa abbondanza, secondo la nostra logica, avrebbe dovuto garantire quell’oggettività e distacco necessario per far comprendere a tutti cosa sarebbe stato necessario fare per la sopravvivenza della società.
Questa ipotesi però presuppone delle società in cui le risorse sono equamente distribuite fra tutta la popolazione. Almeno per l’isola di Pasqua (ma sono abbastanza sicuro che lo stesso valga anche per le altre società) però vi erano delle famiglie nobili. Questo significa che probabilmente le risorse non erano uguali per tutti ma c’era una piccola percentuale di popolazione che ne aveva più delle altre. Ho la sensazione che, come al solito, la maggior parte della popolazione facesse la fame. E chi fa la fame non riesce a preoccuparsi di altri problemi diversi dal procurarsi il sostentamento quotidiano.

Sappiamo che la società di Pasqua crollò in una guerra civile. Possibile che i ricchi, che magari possedevano i boschi con gli ultimi alberi ad alto fusto, fossero consapevoli della loro importanza e che non potessero essere tagliati: del resto essi non pativano la fame e una canoa in più in mare aperto non gli avrebbe cambiato la vita. Poi un bel giorno la popolazione si ribella si ha la guerra civile fra ricchi e poveri: la maggioranza vince e taglia gli ultimi alberi. Tutti prosperano per una generazione ma poi il legno delle navi marcisce con le relative conseguenze…
O magari era una delle varie tribù dell’isola l’unica a possedere gli ultimi alberi: ecco che allora la guerra sarebbe stata non fra ricchi e poveri ma fra una tribù con cibo (perché aveva il legno solo per le proprie canoe) e quelle senza. Finale come nel caso precedente.
Ma sostanzialmente non cambia di molto l’essenza del problema: la distribuzione diseguale delle risorse porta a una divisione della società in due parti: una maggioranza che non è in grado di fare progetti a lunga scadenza; e un’altra, la minoranza, che potrebbe farli ma che cercando di realizzarli si attira l’astio della maggioranza che ne soffrirebbe di più.

Intendiamoci la “trappola” della crescita della popolazione è particolarmente insidiosa perché bisogna contrastarla con grande anticipo. È quindi possibilissimo che, anche se la società di Pasqua avesse diviso in maniera perfettamente uguale le risorse, comunque avrebbe potuto non essere in grado di trovare un accordo su come salvare l’ambiente che, in ultima analisi, avrebbe comportato il dover limitare le nascite (*1) e, quindi, la popolazione.
È comunque ipotizzabile che una società giusta sia più propensa a decidere e accettare di fare sacrifici condivisi ugualmente da tutta la popolazione.

Conclusione: ovviamente è solo una mia teoria, magari nel prosieguo anche Diamond trarrà le sue conclusioni su questo specifico aspetto e, allora, potrò confrontarle con questa ipotesi...

Nota (*1): mi viene per esempio in mente una pratica di alcune tribù di aborigeni australiani in cui il giovane, per diventare uomo, deve incidersi con una pietra acuminata il pene per la sua lunghezza. Gli etnologi considerano la pratica non solo una prova di coraggio ma anche un rudimentale mezzo per il controllo delle nascite.

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