Avrei da scrivere su vari argomenti ma nessuno di questi mi entusiasma particolarmente.
E allora ne approfitto per scrivere di “Una teoria della giustizia” di Rawls che è decisamente il libro più difficile che sto leggendo al momento. Scriverne mi aiuta infatti a memorizzarne più dettagli.
Oggi ho letto il capitoletto 39, “Definizione della priorità della libertà”, che complessivamente è abbastanza insipido. Riassume quanto già detto nei capitoli precedente: quando e come è possibile violare la libertà; della differenza fra teoria e pratica (*1)… in pratica conferma quanto avevo già capito...
Nelle ultime paginette però introduce un concetto nuovo o, meglio, la versione di Rawls: il paternalismo.
Rawls non ha preconcetti contro di esso: del resto il principio di differenza lo richiama molto. Per il principio di differenza è lecito dare a qualcuno di più (non importa di cosa) se in questo modo chi ha meno ottiene una compensazione (non importa di cosa) adeguata. Per esempio va bene che l’industriale abbia di più se l’operaio più povero migliora la propria condizione.
Rawls per esempio era possibilista verso la proposta di Mill di un voto più “pesante” per i più “intelligenti”: sempre che chi stava peggio ne avesse da guadagnare.
Quindi anche il paternalismo con il suo aspetto di tutela di chi è più debole o incapace può essere accettabile se è realmente nell’interesse della parte tutelata.
Fin qui niente di nuovo: interessanti però sono i paletti aggiuntivi con cui Rawls delimita l’applicabilità del paternalismo.
Prima di tutto il paternalismo è applicabile solo se la parte debole è irrazionale. Non è poca cosa perché significa che non si può "tutelare" semplicemente chi la pensa diversamente da noi anche se riteniamo abbia un’idea sbagliata. Se i suoi ragionamenti sono razionali allora vanno rispettati anche se non ne condividiamo le conclusioni. L’opinione della maggioranza non ha di per sé più valore di quella del singolo (*2). E del resto come stabilire chi ha ragione in una discussione? Molto più fattibile (sebbene assolutamente non banale) capire se una persona sia razionale o no.
Un altro paletto è che la scelta paternalistica si traduca poi in qualcosa che la parte tutelata vorrebbe realizzare o desidererebbe. Se la parte tutelata non fosse felice del risultato che le è stato imposto allora il paternalismo non sarebbe consentito. Per esempio un missionario potrebbe pensare che sia giusto battezzare un selvaggio e distruggere i suoi idoli pagani perché in questa maniera la sua anima verrebbe salvata; ma se il selvaggio fosse infelice e preferisse la sua vecchia religione al cristianesimo allora, secondo Rawls, non andrebbe convertito forzatamente.
Addirittura non sarebbe ammissibile imporre qualcosa anche avendo la certezza che il tutelato poi si convincerà che ciò che gli è stato imposto sia per lui positivo e desiderabile.
Scrive Rawls: «I principi paternalistici rappresentano una protezione contro la nostra stessa irrazionalità, e non devono essere interpretati in alcun modo come attacchi consentiti alle convinzioni e al carattere di qualcuno, anche con la prospettiva di un consenso successivo.» (*3)
Perché tutto questo mio interesse per questa teoria del “paternalismo”?
Beh, perché ovviamente ho in mente il caso concreto verificatosi in Italia pochi anni fa.
Il governo illudendosi (ma probabilmente era in malafede) di sapere cosa fosse meglio per il bene dei propri cittadini impose la vaccinazione obbligatoria per chi aveva più di cinquanta anni quando ormai, anche in Italia, la variante omicron stava decisamente prendendo il sopravvento sulla ben più pericolosa delta. Lasciamo perdere che la decisione era demenziale, immotivata scientificamente e complessivamente dannosa per chi doveva assoggettarsi a essa: ciò che è interessante è che secondo la teoria di Rawls lo stato non aveva il diritto di imporre questa vaccinazione perché chi si rifiutava di vaccinarsi lo faceva con considerazioni razionali: per esempio basandosi sulle ricerche scientifiche più recenti e i dati sulla trasmissibilità e scarsa pericolosità della omicron. Si sarebbe potuto discutere quanto affidabili fossero dati e ricerche ma sicuramente, indipendentemente dal loro valore, basarsi su di esse non era indice di irrazionalità, anzi!
Conclusione: la capite la mia fascinazione per questa teoria? Bastava conoscere questo criterio di Rawls, ovvero la giustificazione del paternalismo solo in presenza di irrazionalità, per tagliare la testa al toro e giudicare immediatamente come ingiusto l’obbligo vaccinale. Non ci sarebbe stato insomma bisogno di verificare le motivazioni pseudoscientifiche (chiaramente errate) su cui si basava tale provvedimento: se chi non voleva vaccinarsi aveva delle motivazioni razionali era ingiusto non rispettarne la volontà (*4).
Nota (*1): esattamente come avevo intuito, anche per Rawls la teoria ideale dà poi la direzione da seguire nei casi concreti.
Nota (*2): e questo è infatti ciò che più odio del paternalismo: ovvero che qualcuno stabilisca ciò che è meglio per me. Spesso infatti io la penso diversamente dalla maggioranza della popolazione e quando questo accade, in genere, ho ragione io! Il principio indicato da Rawls in questo senso mi piace perché, fintanto che il mio ragionamento è razionale, nessuno potrebbe impormi niente.
Nota (*3): tratto da “Una teoria della giustizia” di John Rawls, (E.) Feltrinelli, 2021, trad. Ugo Santini, pag. 247.
Nota (*4): do per scontato che ormai si sapesse che il vaccino non proteggeva i “più deboli” che non potevano vaccinarsi: al massimo dava, per qualche settimana, un minimo di protezione dall’ospedalizzazione allo stesso vaccinato. Mancava quindi la già debolissima giustificazione di tutela della salute altrui.
alla prima stazione
1 ora fa
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