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lunedì 20 marzo 2023

Josè Rizal

La rilettura di Strabuccinator mi sta richiedendo più tempo del previsto perché sto riscrivendo tutti i dialoghi di un personaggio: probabilmente sarebbe stato meglio se mi fossi inventato un motivo per cui, dopo un po’ di ruggine iniziale, poi riesca a parlare perfettamente. Oltretutto questo esprimersi male non aggiunge niente al racconto e, anzi, forse gli toglie qualcosa. Però è più coerente in questa maniera…
Questo per spiegare come mai ieri ho “saltato” un pezzo.

Oggi però volevo scrivere un pezzo su una gradita sorpresa: il libro di José Rizal, massimo autore filippino del XIX secolo, è godibilissimo!

Per iniziare delle frasi che mi hanno colpito, nella mia traduzione: l’originale è in spagnolo e io sto leggendo una versione inglese scaricata da Progetto Gutenberg.

I seguenti passaggi evidenziano la sensibilità psicologica dell’autore: come riesce a riconoscere e descrivere dei meccanismi psicologici sottili ma molto diffusi.

Un frammento di dialogo, a tavola, fra un frate francescano, Damaso, e un giovane studente spagnolo venuto a scoprire personalmente le Filippine (la storia si apre a Manila).
«[…] [Frate Damaso difende un’iniziativa politico/economica del governatore spagnolo] “Se lo credo veramente? Allo stesso modo in cui credo nel Vangelo! Gli indigeni sono così indolenti”

[Risponde il giovane spagnolo] “Ah, mi perdoni se la interrompo,” disse il giovane uomo abbassando la voce e trascinando la sedia un po’ più vicino, “ma avete detto qualcosa che ha risvegliato tutto il mio interesse. Questa indolenza, in verità, esiste veramente fra i nativi o c’è del vero in quello che dicono i viaggiatori stranieri: che con questa indolenza noi scusiamo la nostra, così come la nostra arretratezza e il nostro sistema coloniale. [...]”»

Qui si vede il meccanismo della proiezione: il frate spagnolo attribuisce alla popolazione filippina, l’indolenza dei propri connazionali e dello stesso sistema coloniale.

Anzi, sempre frate Damaso veniva così descritto poche pagine prima: «Egli è pieno di allegria, e il tono della sua voce è duro come quello di un uomo che non ha mai avuto occasione di correggersi e che crede che qualsiasi cosa dica sia santa e non migliorabile [...]»

Questa osservazione è perfetta: alcune persone non smettono mai di parlare perché, non accorgendosi dei propri errori, non sentono la necessità di correggersi (cosa che in futuro le costringerebbe a pensare un po’ di più prima di dar fiato ai propri polmoni!).

E, infine, una frase divisa fra lo psicologico, il religioso e il sociale: da una parte infatti illustra bene una caratteristica dei ricchi e, dall’altra, evidenzia il disincanto dell’autore (che scrisse questa sua opera a 25 anni): «Lo stesso Capitan Tiago non aveva mai offerto preghiere a Lui [Dio], anche nelle sue più grandi difficoltà, perché era ricco e il suo oro pregava al suo posto.»
La religione infatti serve a dare rassicurazioni all’uomo ma colui che è ricco ne ha molto meno bisogno degli altri. Aggiungo (nel senso che lo dice KGB non Rizal!) che per il potente la religione diviene uno strumento come altri, che può essere usato per conservare o incrementare la propria forza...

Ah! dimenticavo! Rizal è anche molto spiritoso: in genere le descrizioni dei suoi personaggi sono piene di ironia. Sfortunatamente non mi sono appuntato niente e non mi va di cercare/copiare lunghi passaggi. Ma per esempio la descrizione di frate Damaso è molto buffa: si capisce subito che è pieno di difetti, attratto più dal mondo materiale che da quello spirituale. Beh, alla cena a cui partecipa viene finalmente servito un piatto unico, una specie di zuppa di pollo, e a frate Damaso, nonostante l’abbondanza, capita di carne solo un’aletta rinsecchita e un pezzetto di collo: al suo vicino di posto invece tocca un bel pezzo di petto e una coscia. Tutto questo basta a cambiare l’umore del frate che da allegro diviene acido e intrattabile. Raccontata così non dice niente: ma l’autore è stato talmente bravo a descrivere la personalità del frate che, quando ci viene “mostrata” la sua zuppa, ne possiamo immediatamente intuire il disappunto e la relativa delusione: così la sua reazione quasi infantile ci appare divertente. Molto buffo ma andrebbe letto tutto il capitolo per calarsi nella giusta atmosfera e apprezzarlo pienamente!

Mi ha poi colpito come l’autore ironizzi sulla religione evidenziando come molte delle sue pratiche siano vuote e, talvolta, moralmente dubbie (per esempio il perdono assoluto senza bisogno di espiazione sulla Terra). Così ho chiesto a chatGPT se Rizal fosse ateo e mi ha risposto:
«Jose Rizal non era ateo, ma era un uomo molto spiritualmente incline. Cresciuto in una famiglia cattolica, Rizal era stato educato in un ambiente religioso e aveva anche studiato per diventare un chierico. Tuttavia, in seguito alla sua esposizione alle idee e alle culture occidentali durante i suoi studi in Europa, Rizal iniziò ad avere delle opinioni critiche sulla Chiesa cattolica e sulla sua influenza sulla società filippina dell'epoca.
Rizal credeva in un Dio universale e in una forma di spiritualità che andava al di là delle tradizioni religiose organizzate. Nella sua opera "Mi Ultimo Adios" (Il mio ultimo addio), scritta poco prima della sua esecuzione, Rizal fa riferimento a Dio e alla sua fede personale, e invita i suoi compatrioti a lottare per la libertà e la giustizia in nome della loro patria e della loro fede.
In sintesi, Jose Rizal non era un ateo, ma aveva una visione spirituale che andava oltre le religioni organizzate e credeva in un Dio universale.»

Questa visione della religione combacia perfettamente con quella del padre del protagonista: uomo non religioso ma dai rigidissimi principi morali. Se, per esempio, gli fosse capitato di fare un torto a qualcuno non si sarebbe accontentato di confessarsi ma avrebbe fatto di tutto per rimediare al danno che aveva procurato alle altre persone.

Allora ho “cucito” insieme, grazie alla mia personale "rete neuronale", una decina di fattori e ho voluto “impressionare” chatGPT con questa mia sintesi:
«[KGB] Insomma Rizal non credeva nella Chiesa cattolica e nelle sue organizzazioni viste probabilmente come funzionali al dominio dei colonizzatori spagnoli.
[chatGPT] Sì, è corretto. Jose Rizal era critico nei confronti della Chiesa cattolica e delle sue organizzazioni nelle Filippine dell'epoca, che egli vedeva come parte del sistema di dominio dei colonizzatori spagnoli sul popolo filippino. Rizal credeva che molte delle pratiche della Chiesa, come l'uso delle lingue straniere nei sermoni e l'accento sulla venerazione delle immagini, avessero contribuito alla perpetuazione del colonialismo spagnolo e alla subordinazione della cultura filippina. [...]»

Conclusione: sono ancora all’inizio e il romanzo ha un aspetto giallo molto coinvolgente. Il padre del protagonista è morto ingiustamente in carcere mentre il figlio era a studiare in Europa: il figlio è adesso tornato a Manila ma ancora non sa niente di cosa e come sia morto. L’aspetto più interessante è che proprio frate Damaso sembra averci qualcosa a che fare. È interessante perché il personaggio era stato inizialmente introdotto come un elemento comico: è strano che si trasformi in uno negativo. Secondo me è l’autore che qui vuole sviare i suoi lettori!

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