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lunedì 9 gennaio 2023

30 e lode!

Oggi ho ripreso a leggere qualche pagina di “Una teoria della giustizia” di Rawls e mi sono imbattuto in un concetto che mi è piaciuto molto ma altamente elusivo. Voglio quindi cercare di fissarmelo nella memoria sintetizzandolo qui di seguito.

Il capitolo in questione è il 30 intitolato “Utilitarismo classico, imparzialità e benevolenza”.
Come al solito l’approccio di Rawls è estremamente teorico e basato sulle definizioni date in precedenza e che raramente ripete (*1).
Comunque nel passaggio in questione mostra come l’osservatore imparziale dell’utilitarismo classico e la posizione originale di Rawls possano giungere alla stessa conclusione: ovvero adottare i due principi di giustizia (*2).

Se la conclusione è la stessa, diverso, anzi apparentemente opposto è il procedimento con cui vi si arriva.
L’osservatore imparziale è simpatetico con ogni membro della società e valuta imparzialmente, per ogni suo membro, il piacere/dolore dato da ogni principio. Poi ne realizza il totale e sceglie quindi i principi di giustizia che lo massimizzano.
Nella posizione originale (*3) invece ogni membro è indifferente agli altri e cerca solo di massimizzare il proprio bene con il limite dato dal velo d’ignoranza (*4). Anche in questo caso i membri dell’assemblea arrivano all’accordo minimo basato su i due principi di giustizia.
Da una parte vi è però l’empatia, dall’altra l’indifferenza.

Ma vi è una distinzione più profonda: «Ora, come ho fatto notare, esiste un senso in cui l’utilitarismo classico non è in grado di considerare seriamente la distinzione tra persone. Il principio di scelta razionale per un solo individuo viene accettato anche come principio di scelta sociale. In che modo si giunge a questa posizione? Siamo ora in grado di capire che essa è la conseguenza del voler dare una base deduttiva alla definizione del concetto di giusto che fa uso dell’osservatore ideale, oltre che del presumere che la naturale predisposizione degli uomini alla simpatia fornisca il solo modo in base a cui è possibile mettere d’accordo i loro giudizi morali. L’approvazione dell’osservatore imparziale simpatetico è adottata come standard di giustizia e ciò sfocia quindi nell’impersonalità, nella fusione di tutti i desideri in un unico sistema.» (*5)

Il succo è che l’approccio “razionale”, la “base deduttiva”, corrisponde all’operazione di media che l’osservatore compie per valutare i diversi possibili principi di giustizia.
La media perde i singoli e le loro caratteristiche distintive: li uniforma e, appunto, li spersonalizza.
La media di un pollo a testa è preferita alla media di mezzo pollo anche se, per esempio, nel primo caso a una persona toccano 10 polli e ad altre nove zero mentre nel secondo caso ognuno ha, effettivamente, mezzo pollo.
Ma il punto non è tanto il risultato (siamo nell’ipotesi che sia la stesso) quanto l’operazione vera e propria. Si riduce una decisione morale a una somma di singole valutazioni.

Ma qual è un’alternativa al mettere d’accordo i diversi principi di giustizia individuali?
Non importa quale sia ma che esista: un metodo potrebbe essere banalmente quello della votazione a maggioranza o, come mi sembra lo chiami Rawls, del principio di differenza, ovvero nel massimizzare il benessere dell’individuo che sta peggio o, perché no, all'unanimità. Sicuramente nel resto del capitolo (che devo finire di leggere) l’autore affronterà questo aspetto.

Bello è anche lo spunto dato dalla “naturale predisposizione degli uomini alla simpatia” come base per raggiungere un accordo. Premesso che al posto di “simpatia” userei il termine “empatia”, mi pare un concetto interessante: è possibile per delle persone accordarsi senza empatia fra le stesse?
Sì: ogni persona baderebbe solo a massimizzare il proprio interesse personale. L’empatia è invece necessaria affinché una delle parti rinunci a qualcosa (che potrebbe ottenere) in favore dell’altra evidentemente più debole, cioè con minor poter contrattuale.
L’empatia quindi non è legata alla capacità di fare un accordo ma a quello di giustizia: una giustizia a cui a ciascuno non tocca ciò che gli spetta ma qualcosa in più a chi altrimenti toccherebbe di meno e qualcosa in meno a chi toccherebbe di più. Dove il giusto è intuitivamente un'idea in cui tutti hanno ricchezze/lavori/tempo libero comparabili
È la socialità umana che porta all’empatia reciproca e quindi a tutte le virtù che da essa, in ultima analisi, scaturiscono come, per esempio, la generosità e simili.

Conclusione: stasera devo assolutamente finire questo capitolo 30 anche perché poi inizia una nuova parte del libro in cui finalmente si entra nel merito. Almeno credo visto che è intitolata “Istituzioni”!

Nota (*1): cosa che non sopporto! Se sapere la definizione è fondamentale per capire un concetto allora va ripetuta altrimenti si costringe il lettore (me!) a rileggere alla cieca i capitoli precedenti per cercare l’informazione mancante. Io nella mia Epitome, nel dubbio, preferisco ripetere un concetto piuttosto che rischiare che venga frainteso…
Nota (*2): per mia utilità, ma suppongo anche del lettore occasionale, ripropongo qui i due principi di giustizia:
1. pari libertà per tutti
2. le diseguaglianze economiche e sociali sono accettabili se:
a. “ragionevolmente previste a vantaggio di ciascuno”;
b. “collegate a cariche e posizioni aperte a tutti”.
(ma non poteva dire che i principi di giustizia erano tre invece di dividere il secondo in due condizioni??).
Modificato 9/1/2023: stamani ricontrollando appunti e rileggendo le note dei capitoli precedenti mi sono convinto che l'applicazione pratica del secondo principio di giustizia si "trasforma" nel principio di differenza, ovvero in politiche volte a massimizzare nel lungo termine le condizioni socio economiche di chi sta peggio.
Questi vuoti di memoria sono la conseguenza di leggere testi molto complessi in periodi molto lunghi, spesso non toccandoli per settimane...
Nota (*3): che io, di nuovo per chiarezza, avrei chiamato “assemblea originaria”.
Nota (*4): ovvero è conscio di tutte le informazioni utili generali ma non di quelle particolari su se stesso: né la propria posizione sociale né i propri vantaggi innati o no.
Nota (*5): tratto da “Una teoria della giustizia” di John Rawls, (E.) Feltrinelli, 2021, trad. Ugo Santini, pag. 189.

5 commenti:

  1. Interessante questione.
    Butta altra carne sul fuoco: queste dissertazioni sull'essenza della giustizia trascurano SEMPRE la realtà dei limiti che (se ne strabattono il belino della giustizia - ohps, scusate la colorita espressione popolaresca!) sono ortogonali ad essa.
    Per tornare alla pollometria :) della giustizia: che giustizia quando esiste un pollo solo per cento commensali?
    La torta ha dimensioni finite e non ci sono fette per tutti.
    È giusto? Non ha senso alcuna questa domanda: è così a prescindere, la realtà è realtà, non è giusta o ingiusta, la realtà non è antropocentrica!!
    Si aggiunge un dettaglio (i limiti, le risorse sono in finite in quantità e qualità) e i castelli di carte "giustizia" crollano al primo regolo di brezza.

    Torniamo ai ragionamenti al limite - questa intelligente pratica dell'ingegneria che è molto utile per investigare natura e risposta di un sistema! - e vediamo.

    Come comportarsi con un pollo e cento commensali sul punto di morire di fame / inedia?

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    1. Beh, il testo di Rawls è super teorico e quindi, a questo livello, la questione del giusto esula da eventuali limiti di alcune risorse disponibili. Tieni presente che in queste prime duecento pagine circa ha fondamentalmente SOLO cercato di dimostrare (secondo me non vi è riuscito per varie ragioni: vedi i pezzi precedenti col marcaore "Rawls") che le basi su cui costruirà il proprio sistema di giustizia sono le più giuste in assoluto.

      La problematica che hai introdotto è invece molto pratica e concreta. Non ho idea di quale potrebbe essere la risposta di Rawls a essa ma immagino che sarebbe una risposta fondata su i due principi di giustizia su cui vuole basare tutte le istituzioni concrete!

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  2. Seconda questione, ignorata dai sistemi "giustizia", dopo quella dei limiti, è quella del tempo.
    "Pari libertà per tutti".

    Torniamo alla pollometria :- nel villaggio si produce un pollo la giorno, appena sufficiente per le cinque trenta famiglie che hanno a disposizione un pollo al mese.

    La famiglia Rossi ha due figli, la famiglia Verdi ne ha cinque e la signora Verdi è di nuovo incinta (eccola dimensione tempo che irrompe qui!).
    Tra nove mesi il villaggio non avrà più la già risicata sufficienza proteica.

    Il principio 1 è garantito: la libertà per tutti. Ma esso è "giusto"?
    La libertà non è nulla se non abbinata alla responsabilità.

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    1. Mi piace questa tua osservazione di libertà legata a responsabilità.
      Come ti ho scritto precedentemente in questa prima parte Rawls vuole trovare le basi del sistema di giustizia che lui identifica in questi due principi.
      Ma se questi due principi sono le basi non significa che l'intera giustizia si debba ridurre a essi: lo stesso Rawls spiega che sono un punto di partenza, essenzialmente il minimo accettabile da tutti, e che questi devono essere ulteriormente arricchiti.

      La questione di come conciliare insieme libertà e responsabilità è abbastanza astratta per essere considerata: onestamente sul momento non ricordo se ha già accennato qualcosa al riguardo ma sono certo che affronterà il problema quando affronterà le istituzioni vere e proprie.

      In generale non so cosa rispondere ai tuoi esempi concreti perché in quello che ho letto la teoria vera e propria di Rawls è appena embrionale e completamente astratta. Quando ne saprò di più vedrò di risponderti!

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    2. Comunque stamani ho dato una rapida occhiata all'indice del libro e ho visto che più avanti mi aspettano 44 pagine di "dovere e obbligo" che, suppongo, affrontino le problematiche che hai evidenziato!

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