Il paese dimenticato
Quella mattina l’intero paese lo stava aspettando alla piazza principale, sulla strada che viene su dalla stazione ferroviaria. Lui però sorprese tutti arrivando dalla scorciatoia che passava dal bosco: nessuno la prendeva perché era più lunga, erta e scomoda della via principale.
Molti storsero il naso al suo aspetto bizzarro: gli abiti gli pendevano addosso storti come cappotti su un attaccapanni sbilenco, le sue maniere sorridenti sembravano un po’ troppo semplici e bonarie per un rispettabile professionista. E poi la barba foltissima che gli copriva tutto il volto... ma soprattutto i suoi grossi incisivi attiravano lo sguardo: sorrisetti d’intesa fra le donne e l’educata perplessità degli uomini che, borbottando il proprio nome, gli stringevano la mano, anch’essa particolare: sottile ma forte, molto molto pelosa, dalle dita nervose e lunghe con le unghie trasparenti e affilate.
Ma lui non sembrò far caso né alla diffidenza né ai pregiudizi né alla freddezza di quelli che sarebbero stati i suoi futuri pazienti: anzi sorrise sempre con gentili cenni della testa e si prese la briga di salutare e scambiare qualche parola con tutti coloro che erano giunti ad accoglierlo. Ed erano venuti tutti perché il suo arrivo era un grande evento: erano infatti anni che il loro piccolo paese non aveva un medico tutto per sé: e questo aveva costretto fino ad allora gli ammalati a fare un lungo ed estenuante viaggio alla città più vicina.
Nonostante le perplessità iniziali il dottore conquistò rapidamente la fiducia dei suoi pazienti.
Il suo sorriso perenne e i suoi modi affabili rassicuravano il malato che lo considerava un amico fidato e aveva la sensazione di affidarsi a mani esperte sebbene dalle dita adunche.
E poi il dottore era pure un gran burlone: finita la visita faceva a tutti gli uomini e ai bambini un gioco di prestigio: gli passava rapidamente la mano sul volto e in qualche maniera, senza nemmeno sfiorarlo, gli portava via il naso: ma i mormorii di sorpresa e paura non facevano in tempo a spegnersi che lui soffiava nella propria mano e il naso tornava magicamente al suo posto.
Con le donne invece la magia era diversa: le chiedeva di chiudere gli occhi e di aprire la bocca e poi le infilava dentro quello che a volte sembrava essere un salame, a volte un würstel, oppure una grossa salsiccia nostrana e, solo alle più fortunate, il suo pasticcino preferito ovvero il Dito Medio di Giuda. Inutile descrivere le risa imbarazzate, ma anche divertite, di ragazze e signore quando poi le schizzava in bocca una deliziosa cremina. In verità qualcuna trovava inopportuni questi innocenti lazzi fanciulleschi con il cibo. Queste donne subito tiravano indietro la bocca, con le labbra arricciate in un disgusto esagerato per rimarcare la propria disapprovazione. Ma a queste signore il dottore faceva allora il gioco di prestigio del naso e queste, forse anche per il sollievo di non essere state veramente sfigurate, lo perdonavano con un sorriso stupefatto e uno sguardo timido.
Il dottore poi credeva nella medicina naturale, o almeno così diceva. A chi soffriva d’insonnia si limitava a consigliare di dormire di più; agli stressati suggeriva di evitare il più possibile lo stress mentre ai malati prescriveva di stare a letto. Suggeriva poi di evitare i cibi dannosi e di mangiare poco ma bene. Niente di più sano di una passeggiata all’aria aperta o di una mela, o ancora meglio di una noce, al giorno ripeteva sempre.
E neppure amava servirsi degli usuali strumenti del suo mestiere. Nessuno per esempio lo aveva mai visto usare lo stetoscopio: se aveva da auscultare il cuore di un paziente vi appoggiava sopra l’orecchio; se si trattava di una donna invece auscultava con la fronte mentre con la bocca aspirava e suggeva la mammella per effettuare una mammografia (l’altro seno lo palpava con la mano sinistra).
Altra stranezza, ma che fu notata solo dopo che se ne fu andato, è che non voleva mai firmare niente e preferiva concludere ogni accordo con una stretta di mano: “un patto, se non è un patto, non è un patto” soleva ripetere con saggezza e spensierato acume.
Negli anni il paese prosperò: la gente era sana e felice, lo stress e l’insonnia erano scomparsi grazie alle sapienti cure del dottore, e il giardino della piazza risuonava delle grida e delle risa garrule dei bambini nati in gran numero.
Ovviamente di tanto in tanto qualche anziano moriva ma nessuno, neppure i familiari più affranti, ebbero mai da rinfacciare niente al dottore. Tutti erano infatti convinti che avesse sempre fatto il possibile.
Poi un giorno il dottore, dopo quasi trent’anni di onorato servizio, disse a tutti che il venerdì successivo se ne sarebbe andato in pensione lasciando il paese. Tutta la popolazione commossa andò a salutarlo: gli uomini stavano a testa china, stringendo il berretto in mano, e le mogli singhiozzavano sulla spalla dei mariti, e i bambini, per una volta silenziosi, lo guardavano con occhi lucidi e attoniti, senza capire o capendo troppo, e gli anziani sospiravano tristi perché perdevano il loro più fidato sostegno. Il sindaco in persona gli strinse la mano e l’abbracciò con affetto dicendogli: “Nessuno del paese si scorderà di voi!” e il dottore gli rispose enigmatico, mostrando in un ultimo sorriso d’addio e suoi grossi incisivi ormai ingialliti dal tempo, “Ne sono sicuro!”.
La settimana successiva il paese si riunì di nuovo, a distanza di tre decenni, nella piazza principale ad aspettare il nuovo medico.
Con sorpresa di tutti anche questo medico non giunse dalla strada principale ma dalla più lunga scorciatoia nel bosco. Arrivò di corsa, tutto trafelato: da naturalista dilettante si era incamminato con calma lungo il sentiero osservando bene ogni fiore, arbusto e albero.
A metà del percorso aveva notato uno strano lichene su un ramo, altrimenti spoglio, di un leccio antico e triste: guardando meglio si era accorto che si trattava di uno stetoscopio arrugginito. Sorpreso si guardò intorno e, quando alzò la testa, vide che in cima all’albero, incastrato sui rami più alti, vi era un cadavere ormai scarnificato dagli animali e dal tempo.
A quel punto, preso dal panico, il giovane medico scappò via per raggiungere il più velocemente possibile il paese.
Quindi gli uomini, guidati dallo stesso medico, scesero attoniti, facendosi coraggio fra loro, al luogo della tragedia. Le mamme ansiose invece riportarono via i bambini mentre gli anziani, sempre temendo il peggio, si barricarono in casa.
Gli uomini, con non pochi sforzi e diverse sassate, alla fine riuscirono a far cadere il cadavere dal suo antico letto: subito andò in mille pezzi perché l’urto col terreno ne spezzò i tendini ormai marci.
Nessuno riusciva a capire chi potessero appartenere i poveri resti perché negli anni non erano mai state segnalate persone scomparse: poi qualcuno più intelligente degli altri, si dice l’ingegnere del paese ma non è sicuro, ebbe la geniale idea di controllare il portafoglio. Fu così che, al suo interno, la sconvolgente verità si rivelò.
Alcuni uomini iniziarono a piangere, altri a lacerarsi le vesti, altri ancora a sbattere la testa sul tronco del leccio… La carta d’identità infatti dimostrava inequivocabilmente che le ossa consunte e spezzate appartenevano al loro amato vecchio dottore.
Ma dopo diversi minuti di virile quanto straziante disperazione per l’orribile e beffardo destino, l’ingegnere del paese, su questo concordano tutti, si rese conto che se questo cadavere era nel bosco da molti anni allora non poteva essere quello del “loro” dottore perché egli se ne era andato appena la settimana prima.
Il sollievo fu di breve durata. Lentamente la consapevolezza di ciò che era realmente successo iniziò a sorgere come il Sole in un alba ansiosa che, come una larva bianca che faticosamente striscia su nel cielo, riesce con metodica lentezza a disperdere con i suoi raggi ancora freddolosi la spessa nebbia di un mistero crudele.
L’uomo che avevano creduto essere il loro dottore doveva essere una creatura maligna: il vigile del paese, che aveva preso in mano le indagini, considerando il luogo dove era stato abbandonato il cadavere dedusse che doveva trattarsi di un essere molto agile e capace di arrampicarsi sugli alberi portando con sé un grosso fardello. Gli uomini si fecero il segno della croce e poi, per scongiurare il malocchio, eseguirono l’antico gesto apotropaico di grattarsi il fondo schiena per poi annusarsi le dita prima di leccarne la punta e sputare sulla propria ombra.
A quel punto tutti i piccoli dettagli su cui nessuno aveva mai riflettuto troppo iniziarono a divenire chiari nella loro orribile realtà. Ecco spiegati i grossi incisivi e le mani pelose del dottore; ecco spiegato perché non firmava niente: semplicemente non sapeva scrivere. Ecco perché era così abile con i suoi giochi di prestigio con le sue rapide manine belluine…
E una verità ne tira un’altra. Più o meno contemporaneamente diversi uomini si resero conto che molti dei bambini nati negli ultimi decenni assomigliavano notevolmente al dottore: avevano i suoi dentoni ed erano stati decisamente irsuti fin da piccoli (molti infatti erano ormai dei giovanotti e delle signorine in età da matrimonio). E allora si capì come mai i bambini amavano così tanto arrampicarsi sugli alberi e collezionare non figurine o soldatini ma ammucchiare in nascondigli segreti le loro leccornie preferite.
E come erano stati concepiti? A seguito di una lunga indagine, durante la quale il vigile del paese interrogò tutte le mamme, si dedusse che durante il gioco di prestigio, quando le donne se ne stavano con gli occhi chiusi ed erano distratte dal cibo, la creatura con destrezza o con magia doveva aver introdotto il suo villoso membro nella loro intimità.
La logica cogente del vigile convinse tutti e anche i mariti più volte cornificati dovettero ammettere che il dottore era stato molto in gamba e che la colpa non era quindi totalmente dovuta alla lasciva imprudenza delle loro consorti. Alle donne poi, nonostante qualche scena di finta contrizione di circostanza, non importò granché perché alla fine un figlio è sempre un figlio anche se il padre non è il padre. Insomma, nonostante l’inevitabile disappunto, la maggior parte delle coppie fece finta di niente e preferì non dare pubblicità al proprio “incidente”: nei piccoli paesi la gente sparla già in abbondanza senza bisogno di regalarle licenziosi argomenti per farlo.
Infine il farmacista del paese notò che nel corso degli anni il vecchio dottore non aveva prescritto a nessuno alcun farmaco e, del resto, aveva senso visto che l'immonda creatura non doveva neppure saper scrivere: fortunatamente la farmacia aveva fatto grandi affari con pannolini, omogeneizzati e altri prodotti per la prima infanzia.
Il nuovo medico cambiò subito la situazione: iniziò a prescrivere farmaci per l’insonnia che abbassavano la pressione e quindi ne prescriveva anche altri che l’alzavano provocando però ansia e così prescriveva anche farmaci contro l’ansia che in compenso aumentavano l’insonnia e così via.
Comunque l’età media del paese si alzò progressivamente di ben due anni e mezzo anche se nei più anziani la qualità di vita calò nettamente riducendosi a una lunga routine quotidiana di pillole, sciroppi, punture e supposte condita da infermità che si aggravavano progressivamente: un grosso successo. E anche i bambini smisero di nascere numerosi come prima: lo stress e l’insonnia diminuivano la fertilità e aumentavano le divisioni e le tensioni all’interno delle coppie: insomma, un trionfo completo.
Dopo dieci anni nessuno si ricordava più del vecchio dottore e, del resto, anche i “suoi” ultimi bambini erano ormai grandicelli e non si arrampicavano più sugli alberi: ma pallidi giocavano con i nuovi telefonini mentre i loro grandi incisivi erano stati “corretti”, su indicazione del nuovo medico, dai dentisti della città.
Poi un’estate il nuovo medico, che nuovo non era più da ormai parecchi anni, decise di ammodernare il vecchio ambulatorio. Fu così che durante i lavori scoprì un nascondiglio dietro a una parete finta con all’interno un solido scrigno di rovere chiuso da un grosso lucchetto.
Il nuovo medico ne fu felicissimo e non disse niente a nessuno perché sperava di trovarci dentro chissà quale tesoro. Quando però forzò il lucchetto al suo interno trovò solo un mucchio di ghiande: passata la delusione si rese conto dell’unica spiegazione plausibile: il vecchio dottore doveva essere stato uno scoiattolo mannaro.
alla prima stazione
1 ora fa
Mi son reso conto della "bislacchità" della favola dall'inizio: la scorciatoie più lunga...
RispondiEliminaIn fin dei conti quasi un'applicazione dell'effetto placebo.
Dovevi accorgertene dalla vignetta "Facezia"! ;-)
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