7:30AM e ancora devo decidere di cosa scrivere. Ho una mezza idea di scrivere un po’ alla cieca… anzi voglio essere letterale e spengo lo schermo…
Come al solito la mia paura in questo caso è che il programma di scrittura non abbia il focus e che io stia battendo i tasti inutilmente. Ovviamente ci sono stato attento ma il disagio resta. Per esempio potrei premere per sbaglio il tasto che apre il menù del programma o cose del genere…
Però in genere i risultati sono discreti. Non mi è chiarissimo come il non vedere cosa ho già scritto non mi condizioni ma evidentemente è così.
Questo mi porta in mente una riflessione sulla quale medito ormai da diverse serate. Come ho già scritto, da un mese e più, passo molto tempo a osservare le stelle la sera. Aspetto le stelle cadenti e faccio lacrimare gli occhi. Ora non è vero che mi basta tenerli aperti a lungo, be sicuramente ciò aiuta, ma soprattutto devo lasciare il controllo. Provo a spiegarmi: ho notato infatti che le lacrime devono essere stimolate da un’emozione. Il problema è adesso appena provo la sensazione emotiva e gli occhi si inumidiscono la parte consapevole di me prende il controllo per analizzare cosa sto provando e così facendo l’annullo.
Io credo che questa mia parte che “sente” è la funzione inferiore Fe mentre quella razionale che prende il controllo è la Ti.
Se voglio piangere bisogna che Ti faccia un passo indietro e lasci emergere Fe.
Chiaramente essendo Ti la mia funziona primaria, che si sovrappone alla mia volontà, non mi viene naturale riuscire a bloccarla.
Però ho notato che la commozione la provo quando percepisco la bellezza del cielo, la sua vastità, la sua geometria. Talvolta mi sento piccolo e sperduto, talvolta sono affascinato. Qualche giorno fa mi sono commosso per la sfericità della Luna, per la sua luce.
Poi subito la mia parte razionale cerca di trovare i perché e l’emozione, che è basata su sensazioni delicatissime e impalpabili, subito svanisce.
Sempre ieri però ho sperimentato un trucco che mi parso utile.
Invece di osservare una singola stella cerco si concentrarmi sull’intero cielo contemporaneamente: non considero il punto di messa a fuoco degli occhi ma tutto il contesto intorno allo stesso tempo.
In pratica quello che facevo col vecchio gioco al calcolatore col mio amico (v. Inferno di bullette): non mi concentravo solo sulla mia astronavina e immediato intorno ma, sfocando la vista, guardavo tutto lo schermo contemporaneamente in maniera da avere una panoramica complessiva.
L’effetto di osservare il cielo notturno tutto insieme è quello di percepirne maggiormente la grandezza e la bellezza. Ma anche la maestà, il silenzio, la solitudine.
Discorso ancora diverso sarebbe poi comprendere perché queste emozioni mi commuovano: cioè, la solitudine, è abbastanza evidente. Per carattere ho bisogno di pochissimi rapporti umani ma è chiaro che talvolta ne senta la mancanza. Il fatto è che l’emozione predominante fra quelle che ho elencato è la bellezza (diciamo 80% questa e 20% il resto) e come spiegare allora l’effetto del senso del bello su di me?
Forse mi sento brutto? Forse desidererei essere bello? Bo… mi sembra che la distanza di queste conclusione dalla sensazione di bello che ho osservando le stelle sia troppo ampia. Ci devono essere dei passi intermedi.
Forse mi commuovo perché percepisco che la bellezza delle stelle non potrà mai essere mia? Che la posso solo ammirare da lontano. Insomma mi commuoverei per una forma di egoismo/invidia? Uhm…
È anche plausibile che la mia domanda semplicemente non abbia risposta: così come non posso definire il perché trovi il cielo così bello (l’ho infatti descritto, non spiegato: contavo sul fatto che il lettore avesse esperito qualcosa di simile) allo stesso modo non c’è una risposta al perché questa bellezza mi commuova.
Probabilmente per aver una speranza di capirlo dovrei essere un Fi (dominante o secondario).
E ora devo pure andare in bagno: vediamo se la cacca mi porterà consiglio…
Rieccomi. No, nessuna intuizione: devo anzi ammettere che la cacca ha allontanato le mie riflessioni dalla bellezza…
Io credo che alla fine mi commuova il non essere. Mi commuovono le stelle perché non sono come loro. Allo stesso modo però mi dovrebbero commuovere tutte le cose, no? non sono neppure un sasso, dell’erba, delle pentole etc.
Il punto è che sassi e pentole (lasciamo perdere l'erba e magari fiori) non sono qualcosa di assolutamente bello, grande, “eterno”…
Ecco, non è tanto invidia, ma ammirazione per qualcosa che ci è superiore e irraggiungibile..
Vorrei anche parlare un po’ dei miei progressi nel racconto di Strabuccino che ho subito definito catartico.
Premesso che non credo di poterlo pubblicare direttamente qui sul ghiribizzo è interessante riflettere su cosa abbia per me di catartico. Di solito è Strabuccino vittima delle donne ma in questo racconto, per motivi assurdi e particolari, avviene l’inverso anche se egli non se ne rende conto.
Credo che alla fine si tratti della mia ribellione contro la bellezza...
Come vedete la bellezza ritorna! Nelle stelle l’ammiro e mi commuove, nel racconto il mio alter ego verdognolo la combatte o, volendo, se ne impadronisce deturpandola, la fa scendere dal suo piedistallo, ne mostra la sozzura interna.
Da una parte desidero, dall’altra mi dico che non devo desiderare.
E ora che sento meno questa esigenza di catarsi (che forse non è il termine più corretto) si affievolisce anche il desiderio di concludere il racconto. Ormai lo finirò però! Sono a 39 pagine di storia, a mio parere di discreto livello, e non voglio certo buttarla via!
Conclusione: secondo me ho scritto una pagina e mezzo: lunghezza ottimale credo. E il pezzo ha senso perché è legato dal filo conduttore del mio rapporto di amore e odio con la bellezza. Ora rileggo e correggo ma credo sia un pezzo valido sebbene forse un po’ troppo incentrato su me stesso.
alla prima stazione
1 ora fa
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