2. “Barbra is coming to get you...”
Sono ancora intontito. Mi stropiccio gli occhi e mi tiro su dal divano. Lei mi sorride allegra: gli occhi scuri scintillano. L'idea di trovarmi così scombussolato la diverte: ma non c'è malizia nel suo sorriso. «Ciao! Come stai!?» mi chiede allegramente. Dovrei conoscerla? Mi è familiare... forse... Spero di non aver fatto la figura dell'imbecille perché, in questi pochi attimi, non ho spiccicato parola e l'ho solo ammirata a bocca aperta. Lei, come se niente fosse, dice «Sono Barbara!» e mi abbraccia calorosamente. Stando seduto, lei in piedi è appena più alta di me: ha un buon odore. «Sì...» rispondo. Non so a cosa però: credo che il “sì” stia a indicare sia che sto bene sia che l'ho riconosciuta. Non è vero ma voglio essere educato. Lei mi guarda sempre sorridendo: i suoi denti sono bianchissimi. Intuisco che, nonostante tutto, mi ha capito. È sicura di sé e non è per niente stupita dalla mia reazione: so che si aspettava fosse questa e non gliene importa: le piaccio così. Avverto una sintonia inspiegabile fra di noi. Lei si siede accanto a me, la sua mano leggera sulla mia gamba, e inizia a parlarmi. Io le rispondo senza difficoltà perché mi trovo bene con lei. Riesco perfino a essere arguto senza apparire strano: quasi mi sorprendo di non farle paura ma, del resto, ci capiamo. Con una parte di me seguo le sue parole (è soprattutto lei a parlare) ma un'altra si limita a contemplarla: dice che quando la vidi l'ultima volta eravamo bambini? allora sono passati almeno trent'anni... Dio mio! Poi, nella mente rivedo la vaga immagine del viso di una bambina: è Barbara? Forse: qualche ruga che prima non c'era ma stessi occhi, stesso sorriso e la malizia infantile trasformata in fascino maturo... Solo i capelli, prima nerissimi, ora sembrano diversi: hanno dei riflessi rosso scuro. Tinti? Forse... Mi guarda: i suoi occhi intelligenti scintillano curiosi. Capisco che mi ha fatto una domanda e io non le ho risposto. Un attimo di silenzio, un accenno d'imbarazzo e scoppio a ridere. Sì, io per primo rido di me, per la mia distrazione. Ma non me ne preoccupo perché so che lei ha capito che ero perso in lei. Anche lei ride e si stringe a me. Riprendiamo a parlare, più vicini, più intimi. Mi parla di lei: ricordi d'infanzia si sovrappongono alla storia della sua vita. Come al solito lei parla e io ascolto: mi accontento di sentirmela vicina. Non solo fisicamente ma anche nell'anima. Il suo calore mi scalda il cuore. Mi sembra impossibile che questa donna affascinante sia venuta a cercare proprio me e glielo dico. «Beh... diciamo che non tutti gli uomini riescono ad ascoltarmi e io ho bisogno di qualcuno con cui confidarmi...» mi risponde. Mi sembra incredibile ma sono felice e non me ne preoccupo.
Una voce stridula ci interrompe. Sono di nuovo nello squallido separé e mi sento come se fossi stato appena svegliato con una secchiata d'acqua gelida in faccia. Mi volto allarmato ma Barbara è ancora qui con me e mi sorride: per un attimo avevo temuto che fosse stata solo un bel sogno. È la segretaria dell'agenzia che avverte gli “ospiti” che la mezz'ora per gli incontri è terminata. Solo mezz'ora? Mi sembra di aver parlato per ore e ore con Barbara... Mi alzo in piedi: lei è ancora seduta sul divano. Ci guardiamo negli occhi e non abbiamo bisogno di parole per capirci: ridiamo, allungo una mano per tirarla su e usciamo insieme abbracciati. La segretaria e gli “ospiti” mi guardano stupiti: questi stronzi non si aspettavano che avrei trovato una donna anch'io. Sono tentato di mandarli a quel paese ma sono troppo di buon umore: saluto tutti ridendo. E poi camminare abbracciato a Barbara mi fa barcollare: immagino di sembrare sbronzo. E un po' è pure vero: non tanto per l'alcool quanto per il fatto che la presenza di Barbara mi inebria a tal punto da darmi una senso di esaltazione. Ed è questo che mi fa vacillare. Mentre oltrepassiamo gli astanti, che ovviamente ci guardano gelosi, mi chiedo se questo significhi essere innamorati. Mi chiedo se il mio cuore sia fatto per contenere tanta felicità oppure se mi esploderà incapace di contenerla. Ma non me ne preoccupo perché comunque morirei affogando nella gioia.
Siamo in strada: invito Barbara a cena. Beh... non proprio a cena ma a prendere una pizza perché non ho tanti soldi. Lei mi guarda. Fuori è già scuro e il suo volto è in ombra: non riesco a interpretare la sua espressione. Per un attimo temo di averla offesa: ho paura che si aspettasse di più oppure, al contrario, di aver corso troppo... Sto per aggiungere qualcosa, per precisare... ma è lei che mi interrompe: «Speravo che tu me lo chiedessi...» mi dice. Che poesia le sue parole, che melodia la sua voce! Sono sciocco a tremare a ogni sua esitazione: ma non sono abituato a essere così felice. Sono sicuro che non possa durare: qualcosa nella mie mente, un tarlo maligno, mi ripete che è solo un sogno. Un sogno così fragile che anche un singolo pensiero sbagliato potrebbe infrangerlo. Ma lei è qui davanti a me, meravigliosamente reale, e mi sta guardando. Al buio la sua pelle chiara risplende più della luna mentre gli occhi sono dei pozzi scuri nei quali è mortalmente facile cadere e perdersi. Lei socchiude la bocca e intravedo lo scintillio dei suoi denti: mi chino su di lei, attratto da lei, per baciarla... ma un pensiero improvviso mi blocca. Lei se ne accorge e strattonandomi per la giacca mi chiede semplicemente «Che c'è?»
Mi sono ricordato che avevo promesso di andare a cena dai miei. Senza pensarci due volte dico «Ehi Barbara, ti dispiace se passiamo dai miei genitori? abitano qui a due passi...» e mi interrompo. Sono imbarazzato: mi rendo conto che non è ortodosso presentare i propri genitori al primo appuntamento. Mi accorgo che anche Barbara è stupita. Stringo i pugni per la tensione: spero di non averla delusa, di non aver fatto la figura dell'anziano bamboccione... «Se preferisci mi aspetti fuori e io li avviso che non mangio con loro...» aggiungo. Non so se ho rimediato o peggiorato la situazione. «Certo, perché no!» - dice lei - «chissà se mi riconoscono...». Tiro un sospiro di sollievo e prendendola per mano, stringendogliela forte, ci incamminiamo rapidamente.
L'esempio di Benjamin Franklin
1 ora fa
Nessun commento:
Posta un commento