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giovedì 17 novembre 2022

Il vello indorato

Stamani avevo una mezza idea di scrivere un pezzo abbastanza impegnativo basato sulle ultime pagine lette de “Il secolo breve”: in pratica sulla differenza fra destra e fascismo.
Sarebbe stato un pezzo utile a chi dà del fascista a chiunque non la pensi come lui!

Ma sono di fretta e, “a sorpresa”, ho finito di leggere un libriccino che avevo scaricato da ProjectGutenberg: “The Golden Fleece - Five Lessons from the Fable of Jason and the Golden Fleece” di Charles Stewart Given del 1905.
Uno dei tanti libri che leggo a caso affidandomi al mio istinto: spesso mi capitano delle gemme, ma non questa volta!

L’ho terminato a “sorpresa” perché ero appena al 71% dell’e-libro e quindi mi aspettavo ancora diverse pagine. E anche da un punto di vista del contenuto di solito si trova un riepilogo di quanto esposto: sopratutto dopo il quinto punto ci sarebbe stata, a mio avviso, bene una conclusione finale. Vabbè: meglio così dato che non mi piaceva molto…

Si tratta infatti di un libro essenzialmente parenetico che prende ispirazione, abbastanza forzosamente, dal mito degli argonauti. Si rivolge infatti ai giovani e gli esorta a essere coraggiosi, a studiare affinando le proprie capacità, a essere attivi e instancabili e ad avere il coraggio di osare, di afferrare le opportunità che si presentano.

In pratica, secondo il libro, il giovane che segue i suoi consigli se non avrà successo nella vita almeno sarà soddisfatto di essa perché avrà sviluppato al massimo il proprio potenziale: ma forse questa è una mia semplificazione già troppo realistica. Il libro è molto più imbevuto di ottimismo e non sono così sicuro che ammetta che, nonostante il massimo sforzo e il massimo talento, sia comunque possibile fallire.

Forse potete immaginare che cosa non digerisco di questo libro: manca completamente una valutazione obiettiva del ruolo della fortuna. A partire dalla nazione dove si nasce e dall’epoca, per non parlare delle possibilità della propria famiglia.

Certo il libro vuole motivare ed esortare i giovani a fare del proprio meglio ma io, non menzionando assolutamente il ruolo della fortuna, lo trovo come minimo ipocrita. Non dico di spiattellare in faccia ai giovani il detto di quello sfortunato condottiero greco che fece dipingere sul proprio scudo il motto “Abbi fortuna e dormi tranquillo” ma credo che sarebbe giusto almeno far capire che le opportunità, le possibilità di salire la scala sociale, non sono le stesse in ogni paese.
Il padre di un mio zio emigrò negli USA insieme alla famiglia ma poi se ne tornò in Italia portando con sé il figlio più piccolo, mio zio appunto, mentre i fratelli maggiori rimasero in America. Mio zio, instancabile e dalle capacità notevoli, è divenuto insegnante di scuola media: i fratelli hanno avuto negli USA un successo incredibile (ricordo che uno di questi aveva anche il proprio elicottero personale). Le opportunità che la società ti dà sono cioè fondamentali: a occhio più la società si arricchisce e più le possibilità sono numerose. Questo ovviamente dipende anche dall’epoca: nascere negli USA negli anni ‘40, trascorrere l’adolescenza negli anni ‘50 e inserirsi nel mondo del lavoro negli anni ‘60 era probabilmente il periodo migliore. Oggi anche negli USA è molto più dura avere successo nonostante che il mito “del paese delle opportunità” sia ancora ipocritamente tenuto vivo da media e pellicole cinematografiche.

Insomma si tratta di un libro, probabilmente scritto in buona fede da un padre per i propri figli, ma che a me invece puzza di ipocrisia, della volontà di sfruttare l’ingenuità e l’energia giovanile per incanalarla al servizio dei ricchi e potenti che, così, potranno divenirlo ancora di più.
Un libro scritto quando le problematiche sociali sembravano risolversi spontaneamente e che non è quindi adatto per il momento attuale dove invece servirebbe la comprensione di ciò che non va, delle ingiustizie e delle sperequazioni montanti.

Conclusione: siamo in un’epoca in cui i giovani dovrebbero, come primo obiettivo, cercare criticamente di cambiare la società in meglio e non affidarsi fiduciosi a essa per esserne sfruttati.

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