Sono malato. Febbre e tosse che spero non si trasformi in bronchite.
La malattia spiega la banale dimenticanza nel precedente post matematico.
Spero che, per lo stesso motivo, il lettore mi perdoni sia possibili inesattezze che un insolito triste sarcasmo.
Voglio dire la mia sul problema dei clandestini a Lampedusa.
Su un TG ho sentito dire dal giornalista di turno che sull'isola c'è un problema di “smaltimento” dei clandestini/profughi. Esatto: “smaltimento”, come se si trattasse di immondizia. E infatti nessuna regione è ansiosa di aprire discariche, pardon, “centri d'accoglienza”, sul proprio territorio.
Eppure non capisco tanta preoccupazione. Si sa già che tali immigrati non hanno alcuna intenzione di starsene in Italia ed “evaderanno” quanto prima da tali centri d'accoglienza: quindi perché preoccuparsi tanto? Basta fare in modo che il tasso di evasione sia superiore al ritmo d'arrivo e il problema è risolto.
Ma probabilmente questo lo sanno anche i nostri politici. É evidente infatti che, se gli sbarchi continuano a questo ritmo, il problema non sarebbe “spalmare” 50000 immigrati per l'Italia ma un numero enormemente maggiore (200000-500000?). Invece, con italico miope ottimismo, i nostri amministratori stanno facendo i loro progetti come se il problema fosse molto più limitato.
A mio avviso la soluzione migliore sarebbe stata un'altra: invece di “smaltire” gli immigrati in giro per l'Italia, sarebbe molto più semplice trasferire i soli lampedusani. Dopo tutto i lampedusani sono solo 5000 e non ne arrivano in continuazione di nuovi a bordo di barconi...
A quel punto gli immigrati sarebbero confinati sull'isola senza possibilità di evasione e sarebbe possibile rimpatriarli o accoglierli (se riconosciuti profughi) caso per caso.
giovedì 31 marzo 2011
mercoledì 30 marzo 2011
Stima numero partite
Su un blog di scacchi che leggo di tanto in tanto ho trovato un post interessante: un tale si chiedeva quale fosse una stima del numero di diverse partite di scacchi.
Mi è sembrata una domanda interessante e così, senza leggere i commenti degli altri lettori, mi sono divertito a fare qualche calcolo.
Per prima cosa ho cercato di stimare quale sia la lunghezza massima di una partita di scacchi.
Contrariamente a quanto potrebbe pensare un neofita ci sono tre regole che limitano drasticamente il numero di mosse di una partita.
La prima di queste regole dice che se una posizione si ripresenta esattamente per tre volte, anche non consecutive, allora la partita termina pari (*1).
Ma ancora più stringente (*2) è la cosiddetta regola delle 50 mosse: questa regola stabilisce che se nessun pedone viene mosso e nessun pezzo è catturato in 50 mosse allora la partita è pari. In altre parole bisogna muovere almeno un pedone o mangiare almeno un pezzo ogni 50 mosse.
L'ultima regola stabilisce che se il materiale è insufficiente affinché uno dei due avversari possa vincere allora la partita termina in parità (ad esempio Re contro Re è pari).
Tenendo presenti le regole 2 e 3 è possibile fare una stima grossolana della lunghezza della partita più lunga.
In totale ogni giocatore ha 8 pedoni e ognuno di essi può essere mosso al massimo 6 volte (partendo dalla seconda traversa e arrivando all'ottava dove viene promosso). In totale è quindi possibile eseguire 48 mosse di pedone.
In totale, inclusi i re, ci sono 32 pezzi sulla scacchiera: è quindi possibile eseguire al massimo 30 mosse (*3) di cattura prima che il gioco termini forzatamente pari.
Queste due osservazioni implicano che ogni giocatore potrà fare 49 mosse qualsiasi ma, la cinquantesima, dovrà essere una di queste 78 (48 mosse di pedone + 30 catture) e, una volta eseguita, ne rimarranno 77 (e così via).
La massima lunghezza sarà quindi uguale a 78 * 50 ovvero 3900 mosse.
Ora bisognerebbe stimare quante sono le mosse possibili in ogni posizione: nella teoria scacchistica questo valore è noto ed è chiamato branching factor ed è pari a 35. Questo valore non è una costante ma un valore medio e può quindi variare notevolmente nel corso della partita (ad esempio nei finali sarà più piccolo o addirittura pari a 1 nel caso di mossa forzata: ad esempio dopo uno scacco). Per i nostri scopi, pur di rozza approssimazione, non possiamo comunque utilizzare direttamente il valore di 35. Tale valore include infatti sia mosse di pedone che catture che invece noi vogliamo evitare (le faremo solo ogni 50 mosse).
Basandomi sulla mia (scarsa) esperienza, MOLTO rozzamente stimo che nel branching factor medio siano considerata 7 mosse di pedone con un quarto delle restanti mosse catture: cioè 35-7=28-7 (7 è ¼ di 28)=21
Il numero totale di partite sarà dell'ordine di 21 (il branching medio da me modificato) elevato al numero di semimosse (*4) della partita più lunga: ovvero 21^(3900*2)=21^7800
Quante cifre ha 21^7800 ?
Basta risolvere la seguente equazione e trovare n:
21^7800=10^n
ln(21^7800)=ln(10^n)
7800*ln(21)=n*ln(10)
n=7800*ln(21)/ln(10)=10313
ovvero
21^7800=10^10313
ben 10000 e passa cifre! Esistono cioè circa 10304 miliardi di possibili partite!
Beh, ero incerto se postare o meno il link al blog di scacchi perché c'è il rischio che i miei calcoli vengano “distrutti” (temo soprattutto Uri Blass che è un matematico molto bravo ma anche molto pignolo!) però almeno i miei lettori potranno prendermi in giro...
Quindi: On determining an estimate for the number of games in Chess (come si può intuire dalla bandierina io sono Igrino)...
Edited: Dopo nemmeno 2 ore sono stato subito beccato da Vempele! In realtà si tratta di un errore veniale: le 48 mosse di pedone che ho considerato si riferiscono ai pedoni di un solo giocatore! Ovviamente bisogna considerare le mosse di pedone di entrambi i giocatori e quindi 48*2=96, inoltre 8 di queste mosse devono essere catture (e quindi già considerate nell'insieme delle 30) altrimenti i pedoni, posti l'uno contro l'altro, non potrebbero avanzare.
In definitiva abbiamo che la nuova lunghezza massima della partita diventa:
(96-8+30)*50=118*50=5900
e quindi il totale delle partite passa a:
21^11800=10^15602
ben 15000 e passa cifre! Esistono cioè circa 15593 miliardi di possibili partite!
Nota (*1): per la precisione non solo si deve ripresentare la stessa esatta posizione ma bisogna che il tratto, ovvero la facoltà di muovere, sia allo stesso giocatore. Inoltre la patta non è automatica ma va richiesta.
Nota (*2): nel senso che se esistesse solo la regola precedente, ma non quella delle 50 mosse, allora il numero totale di mosse della partita più lunga possibile sarebbe enormemente maggiore.
Nota (*3): inizialmente avevo escluso i pedoni da questo conteggio perché, mi dicevo, se un pedone viene mangiato non può più avanzare. In realtà, visto che consideriamo la partita più lunga, si può immaginare che il pedone venga catturato solo dopo che abbia eseguito le “sue” 6 mosse, ovvero solo dopo che sia stato promosso...
Mi è sembrata una domanda interessante e così, senza leggere i commenti degli altri lettori, mi sono divertito a fare qualche calcolo.
Per prima cosa ho cercato di stimare quale sia la lunghezza massima di una partita di scacchi.
Contrariamente a quanto potrebbe pensare un neofita ci sono tre regole che limitano drasticamente il numero di mosse di una partita.
La prima di queste regole dice che se una posizione si ripresenta esattamente per tre volte, anche non consecutive, allora la partita termina pari (*1).
Ma ancora più stringente (*2) è la cosiddetta regola delle 50 mosse: questa regola stabilisce che se nessun pedone viene mosso e nessun pezzo è catturato in 50 mosse allora la partita è pari. In altre parole bisogna muovere almeno un pedone o mangiare almeno un pezzo ogni 50 mosse.
L'ultima regola stabilisce che se il materiale è insufficiente affinché uno dei due avversari possa vincere allora la partita termina in parità (ad esempio Re contro Re è pari).
Tenendo presenti le regole 2 e 3 è possibile fare una stima grossolana della lunghezza della partita più lunga.
In totale ogni giocatore ha 8 pedoni e ognuno di essi può essere mosso al massimo 6 volte (partendo dalla seconda traversa e arrivando all'ottava dove viene promosso). In totale è quindi possibile eseguire 48 mosse di pedone.
In totale, inclusi i re, ci sono 32 pezzi sulla scacchiera: è quindi possibile eseguire al massimo 30 mosse (*3) di cattura prima che il gioco termini forzatamente pari.
Queste due osservazioni implicano che ogni giocatore potrà fare 49 mosse qualsiasi ma, la cinquantesima, dovrà essere una di queste 78 (48 mosse di pedone + 30 catture) e, una volta eseguita, ne rimarranno 77 (e così via).
La massima lunghezza sarà quindi uguale a 78 * 50 ovvero 3900 mosse.
Ora bisognerebbe stimare quante sono le mosse possibili in ogni posizione: nella teoria scacchistica questo valore è noto ed è chiamato branching factor ed è pari a 35. Questo valore non è una costante ma un valore medio e può quindi variare notevolmente nel corso della partita (ad esempio nei finali sarà più piccolo o addirittura pari a 1 nel caso di mossa forzata: ad esempio dopo uno scacco). Per i nostri scopi, pur di rozza approssimazione, non possiamo comunque utilizzare direttamente il valore di 35. Tale valore include infatti sia mosse di pedone che catture che invece noi vogliamo evitare (le faremo solo ogni 50 mosse).
Basandomi sulla mia (scarsa) esperienza, MOLTO rozzamente stimo che nel branching factor medio siano considerata 7 mosse di pedone con un quarto delle restanti mosse catture: cioè 35-7=28-7 (7 è ¼ di 28)=21
Il numero totale di partite sarà dell'ordine di 21 (il branching medio da me modificato) elevato al numero di semimosse (*4) della partita più lunga: ovvero 21^(3900*2)=21^7800
Quante cifre ha 21^7800 ?
Basta risolvere la seguente equazione e trovare n:
21^7800=10^n
ln(21^7800)=ln(10^n)
7800*ln(21)=n*ln(10)
n=7800*ln(21)/ln(10)=10313
ovvero
21^7800=10^10313
ben 10000 e passa cifre! Esistono cioè circa 10304 miliardi di possibili partite!
Beh, ero incerto se postare o meno il link al blog di scacchi perché c'è il rischio che i miei calcoli vengano “distrutti” (temo soprattutto Uri Blass che è un matematico molto bravo ma anche molto pignolo!) però almeno i miei lettori potranno prendermi in giro...
Quindi: On determining an estimate for the number of games in Chess (come si può intuire dalla bandierina io sono Igrino)...
Edited: Dopo nemmeno 2 ore sono stato subito beccato da Vempele! In realtà si tratta di un errore veniale: le 48 mosse di pedone che ho considerato si riferiscono ai pedoni di un solo giocatore! Ovviamente bisogna considerare le mosse di pedone di entrambi i giocatori e quindi 48*2=96, inoltre 8 di queste mosse devono essere catture (e quindi già considerate nell'insieme delle 30) altrimenti i pedoni, posti l'uno contro l'altro, non potrebbero avanzare.
In definitiva abbiamo che la nuova lunghezza massima della partita diventa:
(96-8+30)*50=118*50=5900
e quindi il totale delle partite passa a:
21^11800=10^15602
ben 15000 e passa cifre! Esistono cioè circa 15593 miliardi di possibili partite!
Nota (*1): per la precisione non solo si deve ripresentare la stessa esatta posizione ma bisogna che il tratto, ovvero la facoltà di muovere, sia allo stesso giocatore. Inoltre la patta non è automatica ma va richiesta.
Nota (*2): nel senso che se esistesse solo la regola precedente, ma non quella delle 50 mosse, allora il numero totale di mosse della partita più lunga possibile sarebbe enormemente maggiore.
Nota (*3): inizialmente avevo escluso i pedoni da questo conteggio perché, mi dicevo, se un pedone viene mangiato non può più avanzare. In realtà, visto che consideriamo la partita più lunga, si può immaginare che il pedone venga catturato solo dopo che abbia eseguito le “sue” 6 mosse, ovvero solo dopo che sia stato promosso...
martedì 29 marzo 2011
Il dilemma del dilemma
Come mi ero ripromesso in Seconda infornata... ho letto uno dei tanti libri di mio zio scritti da Bernard Shaw.
Bernard Shaw, che io non conoscevo (e sono stato pure brontolato per questo: “passerai per ignorante!” mi hanno detto (*1)), è stato uno dei più grandi commediografi del secolo scorso. È a lui che si deve il famoso modo di dire “the shaw must go on”(*2). A giudicare dal numero di libri doveva pure essere molto prolifico.
La scelta di quale opera leggere non è stata molto ponderata e forse neanche troppo brillante (*3). La maggior parte dei suoi libri appartenevano alla stessa collana (“Biblioteca Moderna Mondadori”) e avevano quindi uguale forma e dimensioni.
Però uno di questi libri spiccava per la presenza di una fascetta verde che diceva:
“ da
questo
libro
il grande
film “M.G.M.” con
LESLIE CARON
DIRK BOGARDE
regia di Anthony Asquith” (*4)
Ho pensato che se ci avevano fatto un film doveva essere una delle opere di maggior successo. Non ho considerato che, data la miopia del pubblico, il fatto che la commedia avesse avuto successo al tempo in cui fu scritta probabilmente indica che ormai è superata!
Dimenticavo: la commedia in questione si chiama “Il dilemma del dottore” (*5).
La commedia è anomala in quanto presenta una introduzione lunghissima scritta dallo stesso autore.
Questa introduzione illustra le varie tipologie di dottore esistenti in Inghilterra all'inizio del secolo (primi del 1900) e affronta due concetti evidentemente molto cari all'autore. I dottori del tempo, per la maggior parte privati professionisti, vivevano delle parcelle pagate dai pazienti e quindi era loro interesse che le persone fossero malate piuttosto che sane. I chirurghi, ad esempio, consigliavano sempre una qualche operazione perché eseguendola avrebbero guadagnato molto di più.
Considerando poi che molti pazienti erano poveri e non potevano permettersi di comprare medicinali costosi spesso il dottore si limitava a prescrivere palliativi come, ad esempio, “mangiare molte susine”.
La seconda fissazione dell'autore è sull'inutilità della vaccinazione: per pagine e pagine argomenta come le statistiche sulla sua presunta efficacia siano viziate da vari errori di fondo...
Insomma l'introduzione era molto legata ai problemi del tempo: molte delle sue idee ormai sono obsolete e solo una minoranza ancora attuali.
Inoltre questa introduzione è pesantissima! I periodi non finiscono mai e per seguire le sue elucubrazioni bisogna stare attentissimi altrimenti non si riesce a seguire la logica, spesso sottile, che lega le varie idee l'una all'altra.
Mentre leggevo questa introduzione pensavo che si trattava di un pessimo libro e che le 350 lire (!) del suo prezzo erano buttate...
Poi ho finalmente iniziato a leggere la commedia vera e propria.
I personaggi sono ottimamente descritti e, dopo poche battute, subito ben caratterizzati; i dialoghi filano benissimo e sono di piacevole lettura; tutto sommato anche la trama è coinvolgente.
Insomma la commedia in sé è veramente piacevole. Attenzione però! Per apprezzarla è necessario leggere bene l'introduzione altrimenti, noi lettori di oggi, non possiamo apprezzare le varie caratterizzazioni dei dottori del tempo (il dottore di campagna; quello povero che cura i poveracci; il chirurgo fissato con le operazioni; quello di successo, ricco che cura i ricchi; e il raro dottore a cui sta a cuore il malato e non la parcella e che sa quello che fa).
Senza l'introduzione insomma non avrei apprezzato molte sottigliezze e alcune caratterizzazioni mi sarebbero parse assurde.
La trama poi, per quanto stimoli una certa curiosità, è semplicissima, quasi banale.
L'unico dottore bravo della commedia è appena stato fatto baronetto per una sua scoperta e gli altri dottori suoi amici passano da lui per congratularsi. Una bella e giovane donna si presenta e chiede al dottore bravo di salvare suo marito che, a suo dire, è un genio della pittura. Il dottore dice che, al momento, con la sua cura sperimentale può curare solo dieci pazienti e che se accettasse suo marito dovrebbe sacrificare uno di essi. Viene organizzata una cena a cui partecipano i dottori e la moglie col marito pittore dove quest'ultimo dimostra di essere veramente un pittore geniale ma anche un emerito farabutto che addirittura ruba i soldi alla moglie (che invece l'adora). Il dilemma del titolo si riferisce infatti al fatto se sia giusto salvare un genio, che però è anche un farabutto, al posto di una persona comune senza infamia e senza lode. Il dottore bravo, visto che si è innamorato della giovane donna e considerato anche che il marito di lei è un poco di buono (seppur geniale), decide di non curarlo e prontamente il ciarlatano si offre di prenderlo in cura. Il pittore geniale muore ma la giovane donna si risposa con un altro uomo e non con il dottore bravo.
Sul finale ci sono un paio di belle frasi ma quella che più mi è piaciuta è attribuita a Shakespeare:
“Il bene fatto dagli uomini vive dopo di loro: il male è sotterrato con le loro ossa” (*6)
Il mio dilemma è invece quello di decidere cosa fare con i libri di Shaw visto che, evidentemente, ho letto una sua commedia piuttosto anomala!
Nota (*1): è cosa avrei dovuto scrivere? Che lo conoscevo quando non era vero? Dopotutto non ho mai scritto di non essere ignorante ma mi vanto di essere sincero!
Nota (*2): ok, scherzetto...
Nota (*3): probabilmente avrei dovuto fare un salto su wikipedia e leggere l'opera considerata come il suo capolavoro...
Nota (*4): questa scritta era incuneata fra i profili di un uomo e una donna (Leslie Caron & Dirk Bogarde suppongo...) con la fronte appoggiata l'una su quella dell'altra... Inutile dire che io non ho mai sentito nominare questo film degli anni '50 (e per quanto possa valere, neanche i nomi dei due attori o del regista...)
Nota (*5): “Il dilemma del dottore” di Bernard Shaw, Ed. Mondadori, 1959 (scritta originariamente nel 1906-1909)
Nota (*6): In generale questa affermazione è tutt'altro che vera ma, in questo caso, si adatta perfettamente alla sorte del pittore: una volta morto, i piccoli furti e i tradimenti alla moglie sono subito dimenticati mentre le sue opere restano a testimonianza del suo genio.
Bernard Shaw, che io non conoscevo (e sono stato pure brontolato per questo: “passerai per ignorante!” mi hanno detto (*1)), è stato uno dei più grandi commediografi del secolo scorso. È a lui che si deve il famoso modo di dire “the shaw must go on”(*2). A giudicare dal numero di libri doveva pure essere molto prolifico.
La scelta di quale opera leggere non è stata molto ponderata e forse neanche troppo brillante (*3). La maggior parte dei suoi libri appartenevano alla stessa collana (“Biblioteca Moderna Mondadori”) e avevano quindi uguale forma e dimensioni.
Però uno di questi libri spiccava per la presenza di una fascetta verde che diceva:
“ da
questo
libro
il grande
film “M.G.M.” con
LESLIE CARON
DIRK BOGARDE
regia di Anthony Asquith” (*4)
Ho pensato che se ci avevano fatto un film doveva essere una delle opere di maggior successo. Non ho considerato che, data la miopia del pubblico, il fatto che la commedia avesse avuto successo al tempo in cui fu scritta probabilmente indica che ormai è superata!
Dimenticavo: la commedia in questione si chiama “Il dilemma del dottore” (*5).
La commedia è anomala in quanto presenta una introduzione lunghissima scritta dallo stesso autore.
Questa introduzione illustra le varie tipologie di dottore esistenti in Inghilterra all'inizio del secolo (primi del 1900) e affronta due concetti evidentemente molto cari all'autore. I dottori del tempo, per la maggior parte privati professionisti, vivevano delle parcelle pagate dai pazienti e quindi era loro interesse che le persone fossero malate piuttosto che sane. I chirurghi, ad esempio, consigliavano sempre una qualche operazione perché eseguendola avrebbero guadagnato molto di più.
Considerando poi che molti pazienti erano poveri e non potevano permettersi di comprare medicinali costosi spesso il dottore si limitava a prescrivere palliativi come, ad esempio, “mangiare molte susine”.
La seconda fissazione dell'autore è sull'inutilità della vaccinazione: per pagine e pagine argomenta come le statistiche sulla sua presunta efficacia siano viziate da vari errori di fondo...
Insomma l'introduzione era molto legata ai problemi del tempo: molte delle sue idee ormai sono obsolete e solo una minoranza ancora attuali.
Inoltre questa introduzione è pesantissima! I periodi non finiscono mai e per seguire le sue elucubrazioni bisogna stare attentissimi altrimenti non si riesce a seguire la logica, spesso sottile, che lega le varie idee l'una all'altra.
Mentre leggevo questa introduzione pensavo che si trattava di un pessimo libro e che le 350 lire (!) del suo prezzo erano buttate...
Poi ho finalmente iniziato a leggere la commedia vera e propria.
I personaggi sono ottimamente descritti e, dopo poche battute, subito ben caratterizzati; i dialoghi filano benissimo e sono di piacevole lettura; tutto sommato anche la trama è coinvolgente.
Insomma la commedia in sé è veramente piacevole. Attenzione però! Per apprezzarla è necessario leggere bene l'introduzione altrimenti, noi lettori di oggi, non possiamo apprezzare le varie caratterizzazioni dei dottori del tempo (il dottore di campagna; quello povero che cura i poveracci; il chirurgo fissato con le operazioni; quello di successo, ricco che cura i ricchi; e il raro dottore a cui sta a cuore il malato e non la parcella e che sa quello che fa).
Senza l'introduzione insomma non avrei apprezzato molte sottigliezze e alcune caratterizzazioni mi sarebbero parse assurde.
La trama poi, per quanto stimoli una certa curiosità, è semplicissima, quasi banale.
L'unico dottore bravo della commedia è appena stato fatto baronetto per una sua scoperta e gli altri dottori suoi amici passano da lui per congratularsi. Una bella e giovane donna si presenta e chiede al dottore bravo di salvare suo marito che, a suo dire, è un genio della pittura. Il dottore dice che, al momento, con la sua cura sperimentale può curare solo dieci pazienti e che se accettasse suo marito dovrebbe sacrificare uno di essi. Viene organizzata una cena a cui partecipano i dottori e la moglie col marito pittore dove quest'ultimo dimostra di essere veramente un pittore geniale ma anche un emerito farabutto che addirittura ruba i soldi alla moglie (che invece l'adora). Il dilemma del titolo si riferisce infatti al fatto se sia giusto salvare un genio, che però è anche un farabutto, al posto di una persona comune senza infamia e senza lode. Il dottore bravo, visto che si è innamorato della giovane donna e considerato anche che il marito di lei è un poco di buono (seppur geniale), decide di non curarlo e prontamente il ciarlatano si offre di prenderlo in cura. Il pittore geniale muore ma la giovane donna si risposa con un altro uomo e non con il dottore bravo.
Sul finale ci sono un paio di belle frasi ma quella che più mi è piaciuta è attribuita a Shakespeare:
“Il bene fatto dagli uomini vive dopo di loro: il male è sotterrato con le loro ossa” (*6)
Il mio dilemma è invece quello di decidere cosa fare con i libri di Shaw visto che, evidentemente, ho letto una sua commedia piuttosto anomala!
Nota (*1): è cosa avrei dovuto scrivere? Che lo conoscevo quando non era vero? Dopotutto non ho mai scritto di non essere ignorante ma mi vanto di essere sincero!
Nota (*2): ok, scherzetto...
Nota (*3): probabilmente avrei dovuto fare un salto su wikipedia e leggere l'opera considerata come il suo capolavoro...
Nota (*4): questa scritta era incuneata fra i profili di un uomo e una donna (Leslie Caron & Dirk Bogarde suppongo...) con la fronte appoggiata l'una su quella dell'altra... Inutile dire che io non ho mai sentito nominare questo film degli anni '50 (e per quanto possa valere, neanche i nomi dei due attori o del regista...)
Nota (*5): “Il dilemma del dottore” di Bernard Shaw, Ed. Mondadori, 1959 (scritta originariamente nel 1906-1909)
Nota (*6): In generale questa affermazione è tutt'altro che vera ma, in questo caso, si adatta perfettamente alla sorte del pittore: una volta morto, i piccoli furti e i tradimenti alla moglie sono subito dimenticati mentre le sue opere restano a testimonianza del suo genio.
lunedì 28 marzo 2011
Coraggio e paura
È ormai da moltissimo tempo che non pubblico nessun nuovo post della serie “KGB le origini”. Un po' mi sono bloccato per mancanza di ispirazione ma soprattutto perché volevo scrivere un post più impegnativo del solito e non ne avevo voglia...
Il post in questione avrebbe un titolo del tipo “KGB le origini: coraggioso” oppure “KGB le origini: pauroso”. Al riguardo avevo posto ai miei amici e conoscenti un interessante sondaggio (vedi Risultato sondaggio) dove una delle domande riguardava il mio presunto coraggio.
In realtà era una domanda sciocca in quanto il coraggio non è una caratteristica molto evidente: affinché sia possibile notarlo ci vuole l'occasione giusta. Inoltre ci sono diversi tipi di coraggio e non era chiaro quale io intendessi. In realtà, come spiegato nel sopraddetto post, l'obiettivo del sondaggio era rivolto a una sola domanda mentre tutte le altre servivano per “mimetizzarla”.
Involontariamente era comunque emerso un dato interessante: la quasi totalità dei voti si era divisa su due valori piuttosto dissimili 4 e 7. Mentre alcune persone mi vedono come un fifone altre mi giudicano piuttosto coraggioso.
Ho quindi riflettuto e indagato sul coraggio dei genitori e dei nonni di KGB e ho notato che anche fra essi era presente una sorta di dicotomia fra coraggiosi e fifoni.
Mia mamma era molto coraggiosa: ricordo innumerevoli episodi dove ella affrontava faccia a faccia una o più persone dicendole chiaramente quello che pensava. Forse non è evidente ma il periodo precedente è una perifrasi per dire che non esitava a fare partacce quando pensava fosse il caso. E poi come ha affrontato la malattia e la morte: a testa alta e senza paura ma solo col rimpianto di quello che non avrebbe potuto fare. È sciocco ma ne sono orgoglioso.
Mio padre (*1) al contrario è, anche a suo dire, piuttosto pauroso: mentre mia mamma, se stuzzicata, non esitava a dare battaglia non ho invece nessun ricordo di mio padre che, non dico litighi, ma alzi la voce con qualcuno. Parte del motivo è il suo carattere molto razionale e riflessivo dove mia mamma era emotiva e impulsiva ma, sicuramente, anche il coraggio gioca il suo ruolo.
Per i miei genitori ho ricordi personali ben precisi e non ho avuto bisogno di chiedere ad altri. Per i nonni invece il discorso è diverso. Soprattutto i nonni paterni li ho conosciuti poco e non avrei saputo dire se fossero coraggiosi o paurosi. Ho quindi dovuto chiedere qua e là.
A sentire mio padre, mio nonno paterno non era molto coraggioso. Non mi ha saputo specificare nessun episodio rivelatore, piuttosto una sua sensazione. Burbero con i dipendenti e pieno di riguardi per i forti. Mio zio però, in una delle mie ultime conversazioni con lui, mi disse che il nonno si era arruolato volontario nella prima guerra mondiale e questo parrebbe una prova di sicuro coraggio. Mio padre però afferma che non andò così e che anzi, avendo già dei fratelli arruolati, il nonno avesse sperato fino all'ultimo di non dover partire. In definitiva non sono sicuro di come doverlo considerare ma prenderò per buono il giudizio di mio padre (*2).
Mio padre giudica anche la mia nonna paterna non troppo coraggiosa: certo le riconosce un notevole spirito pratico e molto buon senso ma non coraggio vero e proprio. Come al solito non ha però episodi significativi che ne mettano in luce la presunta viltà. Fortunatamente ho una cugina che era molto intima con la nonna e, anche a causa della sua empatia, reputo il suo giudizio molto significativo. Siccome scrive molto bene copio e incollo qui di seguito la sua email censurando qualche nome.
“...
Dai miei ricordi, la nonna XXX era un tipo coraggioso e fuori dagli schemi; lo dico sulla base dei suoi racconti: che a 7 o 8 anni, con un'amica, scappò dal collegio/orfanotrofio per emigrare in America (ovviamente furono subito entrambe riacchiappate e rimesse in collegio); che a 11 anni, stufa del collegio, salì sul tetto e disse che se non la lasciavano andare si sarebbe buttata; la vicenda ebbe come conseguenza la sua uscita dal collegio e l'andare a vivere con la sorellastra maggiore cartomante (alla quale lei era legatissima, e che era la mamma della YYY); e poi mi ricordo come ai tempi del mostro di Scandicci (hai presente?) una sera prese me e ZZZ adolescenti da parte e ci disse: mi raccomando, ragazzi, non pomiciate in macchina che è pericoloso; andate in soffitta che c'avete la casa grande. (Noi rimanemmo stravolti). E infine che una volta, ridacchiando, mi raccontò di essere rimasta incinta dello zio Gip a 17 anni, e non fecero in tempo a sposarsi, cosicché il loro matrimonio fu dopo la nascita dello zio (mi fece giurare di non dire niente alla mamma; dopo la sua morte lo raccontai alla mamma che si fece una grossissima risata e disse: ecco perché c'era sempre un gran mistero sul loro anniversario di matrimonio!!!).
Però credo che la mia sensazione venga soprattutto dal modo rilassato e privo di pregiudizi con il quale ha educato i suoi figli, secondo me molto progressista e solare, per i tempi, il che mi fa necessariamente pensare ad una persona senza paure e inibizioni.
Ma chissà, forse le persone viste dagli occhi dei nipoti sono molto diverse da quelle dei figli...
...”
Su mio nonno materno non ci sono dubbi: era paurosissimo di tutto: persone, animali e cose. Con i nonni materni ho passato molto tempo e, anche io ricordo un paio di episodi nei quali non fece mostra di particolare coraggio (*3). Durante la guerra poi aveva il terrore dei tedeschi e fuggiva via appena questi si avvicinavano. Mi dispiace un po' fare un ritratto così negativo di questo nonno (*4) e per questo aggiungo (andando fuori tema ma non importa) che egli era minimo tre volte più buono e generoso di quanto fosse pauroso (e, come detto, era MOLTO pauroso...).
Anche sulla nonna materna non ho dubbi: era decisamente coraggiosa. Personalmente la ricordo in un confronto “testa a testa” contro un omone nostro vicino di casa. L'aneddoto è interessante e vale la pena descriverlo. Io avevo 4 o 5 anni ma, come ormai sapete, già allora “registravo” tutto ciò che avveniva intorno a me. Ricordo che l'omone e la nonna stavano litigando in strada, piegati avanti l'uno contro l'altra (però la nonna era più bassa e gli arrivava al petto). La nonna teneva le braccia indietro e i pugni stretti mentre l'omone si teneva le mani allacciate dietro la schiena. I miei genitori erano all'interno del nostro giardino, il babbo dietro al cancelletto. Ricordo che la mamma esortò (un po' seccata forse) il babbo a fare qualcosa ma lui replicò prudentemente che l'omone (*5) non avrebbe fatto niente alla nonna perché era una donna...
Con questo avrei finito il post ma, raccogliendo informazioni sui nonni materni, ho fatto la conoscenza di un personaggio notevole che merita almeno un paragrafetto...
Si tratta della mamma della nonna materna: Giulia Del Seta vedova Checcucci.
Era una donnona robusta e piena di energia che si vantava di aver amministrato ben 16 poderi (di solito un lavoro fatto da uomini). Andava in giro a controllare i poderi a cavallo e sempre armata di fucile che, si racconta, sapeva utilizzare con estrema destrezza.
Modificato 17/8/2016: anzi, uccise pure un ladro a fucilate. Altri tempi...
Ovviamente era il terrore dei ragazzini che osavano rubare qualche frutto dagli alberi tanto che questi, quando la vedevano, gridavano “Attenzione! C'è la Giulia del Checcuccio che porta il diavolo a cavalluccio!”
Particolarmente significativo un aneddoto avvenuto durante la seconda guerra mondiale. Una sera si presentò a casa un soldato tedesco completamente ubriaco (il nonno, che aveva sposato la figlia di Giulia, mia nonna cioè, era ovviamente già scappato a nascondersi nel fienile...) che, in un italiano stentato, chiese di vedere una “signorina”. La Giulia tutta seria gli disse “Gliela do io la signorina, venga!” e lo condusse su per le scale nella cameretta di mia zia. A quel punto aprì una cassapanca piena di bambole e gli disse “Eccole le signorine!”. Il soldato, sentendosi preso per i fondelli, si arrabbiò e diventò rosso in volto come un peperone. Poi prese una sedia di legno e la spaccò tutta sbattendola ripetutamente sul pavimento...
E io allora, dati tali antenati, sono coraggioso o pauroso? Lo saprete in una prossima puntata!
Nota (*1): Chiamo la mamma “mamma” e il babbo “padre” solo perché “babbo” mi suona poco serio in un post. Cioè non voglio sottendere di essere più legato, rispettoso o intimo dell'uno o dell'altra...
Nota (*2): Magari era coraggioso prima della guerra mentre, dopo di essa, ha cambiato carattere? Oltretutto andò giovanissimo a Parigi a imparare il mestiere di sarto: visto che non lo fece per ragioni di mera sopravvivenza (il mio bisnonno non era ricco ma nemmeno se la passava male...) mi pare che anche questo possa essere considerato un indice di coraggio...
Nota (*3): Mi appare adesso evidente che, mentre la persona coraggiosa non teme di porsi in situazioni rischiose, al contrario la persona paurosa le evita sul nascere. Per questo è più facile trovare episodi significativi che evidenziano il coraggio piuttosto che la paura.
Nota (*4): Senza scendere nei dettagli ho anche scoperto che il padre del mio nonno materno, Aristodemo, era molto coraggioso (Modificato 17/8/2016: si tuffò in Arno per salvare una donna che stava annegando) mentre sua moglie, Giovanna, era paurosissima.
Nota (*5): L'omone era in effetti un tizio poco raccomandabile e infatti, qualche anno dopo, finì in carcere perché legato alla camorra.
Il post in questione avrebbe un titolo del tipo “KGB le origini: coraggioso” oppure “KGB le origini: pauroso”. Al riguardo avevo posto ai miei amici e conoscenti un interessante sondaggio (vedi Risultato sondaggio) dove una delle domande riguardava il mio presunto coraggio.
In realtà era una domanda sciocca in quanto il coraggio non è una caratteristica molto evidente: affinché sia possibile notarlo ci vuole l'occasione giusta. Inoltre ci sono diversi tipi di coraggio e non era chiaro quale io intendessi. In realtà, come spiegato nel sopraddetto post, l'obiettivo del sondaggio era rivolto a una sola domanda mentre tutte le altre servivano per “mimetizzarla”.
Involontariamente era comunque emerso un dato interessante: la quasi totalità dei voti si era divisa su due valori piuttosto dissimili 4 e 7. Mentre alcune persone mi vedono come un fifone altre mi giudicano piuttosto coraggioso.
Ho quindi riflettuto e indagato sul coraggio dei genitori e dei nonni di KGB e ho notato che anche fra essi era presente una sorta di dicotomia fra coraggiosi e fifoni.
Mia mamma era molto coraggiosa: ricordo innumerevoli episodi dove ella affrontava faccia a faccia una o più persone dicendole chiaramente quello che pensava. Forse non è evidente ma il periodo precedente è una perifrasi per dire che non esitava a fare partacce quando pensava fosse il caso. E poi come ha affrontato la malattia e la morte: a testa alta e senza paura ma solo col rimpianto di quello che non avrebbe potuto fare. È sciocco ma ne sono orgoglioso.
Mio padre (*1) al contrario è, anche a suo dire, piuttosto pauroso: mentre mia mamma, se stuzzicata, non esitava a dare battaglia non ho invece nessun ricordo di mio padre che, non dico litighi, ma alzi la voce con qualcuno. Parte del motivo è il suo carattere molto razionale e riflessivo dove mia mamma era emotiva e impulsiva ma, sicuramente, anche il coraggio gioca il suo ruolo.
Per i miei genitori ho ricordi personali ben precisi e non ho avuto bisogno di chiedere ad altri. Per i nonni invece il discorso è diverso. Soprattutto i nonni paterni li ho conosciuti poco e non avrei saputo dire se fossero coraggiosi o paurosi. Ho quindi dovuto chiedere qua e là.
A sentire mio padre, mio nonno paterno non era molto coraggioso. Non mi ha saputo specificare nessun episodio rivelatore, piuttosto una sua sensazione. Burbero con i dipendenti e pieno di riguardi per i forti. Mio zio però, in una delle mie ultime conversazioni con lui, mi disse che il nonno si era arruolato volontario nella prima guerra mondiale e questo parrebbe una prova di sicuro coraggio. Mio padre però afferma che non andò così e che anzi, avendo già dei fratelli arruolati, il nonno avesse sperato fino all'ultimo di non dover partire. In definitiva non sono sicuro di come doverlo considerare ma prenderò per buono il giudizio di mio padre (*2).
Mio padre giudica anche la mia nonna paterna non troppo coraggiosa: certo le riconosce un notevole spirito pratico e molto buon senso ma non coraggio vero e proprio. Come al solito non ha però episodi significativi che ne mettano in luce la presunta viltà. Fortunatamente ho una cugina che era molto intima con la nonna e, anche a causa della sua empatia, reputo il suo giudizio molto significativo. Siccome scrive molto bene copio e incollo qui di seguito la sua email censurando qualche nome.
“...
Dai miei ricordi, la nonna XXX era un tipo coraggioso e fuori dagli schemi; lo dico sulla base dei suoi racconti: che a 7 o 8 anni, con un'amica, scappò dal collegio/orfanotrofio per emigrare in America (ovviamente furono subito entrambe riacchiappate e rimesse in collegio); che a 11 anni, stufa del collegio, salì sul tetto e disse che se non la lasciavano andare si sarebbe buttata; la vicenda ebbe come conseguenza la sua uscita dal collegio e l'andare a vivere con la sorellastra maggiore cartomante (alla quale lei era legatissima, e che era la mamma della YYY); e poi mi ricordo come ai tempi del mostro di Scandicci (hai presente?) una sera prese me e ZZZ adolescenti da parte e ci disse: mi raccomando, ragazzi, non pomiciate in macchina che è pericoloso; andate in soffitta che c'avete la casa grande. (Noi rimanemmo stravolti). E infine che una volta, ridacchiando, mi raccontò di essere rimasta incinta dello zio Gip a 17 anni, e non fecero in tempo a sposarsi, cosicché il loro matrimonio fu dopo la nascita dello zio (mi fece giurare di non dire niente alla mamma; dopo la sua morte lo raccontai alla mamma che si fece una grossissima risata e disse: ecco perché c'era sempre un gran mistero sul loro anniversario di matrimonio!!!).
Però credo che la mia sensazione venga soprattutto dal modo rilassato e privo di pregiudizi con il quale ha educato i suoi figli, secondo me molto progressista e solare, per i tempi, il che mi fa necessariamente pensare ad una persona senza paure e inibizioni.
Ma chissà, forse le persone viste dagli occhi dei nipoti sono molto diverse da quelle dei figli...
...”
Su mio nonno materno non ci sono dubbi: era paurosissimo di tutto: persone, animali e cose. Con i nonni materni ho passato molto tempo e, anche io ricordo un paio di episodi nei quali non fece mostra di particolare coraggio (*3). Durante la guerra poi aveva il terrore dei tedeschi e fuggiva via appena questi si avvicinavano. Mi dispiace un po' fare un ritratto così negativo di questo nonno (*4) e per questo aggiungo (andando fuori tema ma non importa) che egli era minimo tre volte più buono e generoso di quanto fosse pauroso (e, come detto, era MOLTO pauroso...).
Anche sulla nonna materna non ho dubbi: era decisamente coraggiosa. Personalmente la ricordo in un confronto “testa a testa” contro un omone nostro vicino di casa. L'aneddoto è interessante e vale la pena descriverlo. Io avevo 4 o 5 anni ma, come ormai sapete, già allora “registravo” tutto ciò che avveniva intorno a me. Ricordo che l'omone e la nonna stavano litigando in strada, piegati avanti l'uno contro l'altra (però la nonna era più bassa e gli arrivava al petto). La nonna teneva le braccia indietro e i pugni stretti mentre l'omone si teneva le mani allacciate dietro la schiena. I miei genitori erano all'interno del nostro giardino, il babbo dietro al cancelletto. Ricordo che la mamma esortò (un po' seccata forse) il babbo a fare qualcosa ma lui replicò prudentemente che l'omone (*5) non avrebbe fatto niente alla nonna perché era una donna...
Con questo avrei finito il post ma, raccogliendo informazioni sui nonni materni, ho fatto la conoscenza di un personaggio notevole che merita almeno un paragrafetto...
Si tratta della mamma della nonna materna: Giulia Del Seta vedova Checcucci.
Era una donnona robusta e piena di energia che si vantava di aver amministrato ben 16 poderi (di solito un lavoro fatto da uomini). Andava in giro a controllare i poderi a cavallo e sempre armata di fucile che, si racconta, sapeva utilizzare con estrema destrezza.
Modificato 17/8/2016: anzi, uccise pure un ladro a fucilate. Altri tempi...
Ovviamente era il terrore dei ragazzini che osavano rubare qualche frutto dagli alberi tanto che questi, quando la vedevano, gridavano “Attenzione! C'è la Giulia del Checcuccio che porta il diavolo a cavalluccio!”
Particolarmente significativo un aneddoto avvenuto durante la seconda guerra mondiale. Una sera si presentò a casa un soldato tedesco completamente ubriaco (il nonno, che aveva sposato la figlia di Giulia, mia nonna cioè, era ovviamente già scappato a nascondersi nel fienile...) che, in un italiano stentato, chiese di vedere una “signorina”. La Giulia tutta seria gli disse “Gliela do io la signorina, venga!” e lo condusse su per le scale nella cameretta di mia zia. A quel punto aprì una cassapanca piena di bambole e gli disse “Eccole le signorine!”. Il soldato, sentendosi preso per i fondelli, si arrabbiò e diventò rosso in volto come un peperone. Poi prese una sedia di legno e la spaccò tutta sbattendola ripetutamente sul pavimento...
E io allora, dati tali antenati, sono coraggioso o pauroso? Lo saprete in una prossima puntata!
Nota (*1): Chiamo la mamma “mamma” e il babbo “padre” solo perché “babbo” mi suona poco serio in un post. Cioè non voglio sottendere di essere più legato, rispettoso o intimo dell'uno o dell'altra...
Nota (*2): Magari era coraggioso prima della guerra mentre, dopo di essa, ha cambiato carattere? Oltretutto andò giovanissimo a Parigi a imparare il mestiere di sarto: visto che non lo fece per ragioni di mera sopravvivenza (il mio bisnonno non era ricco ma nemmeno se la passava male...) mi pare che anche questo possa essere considerato un indice di coraggio...
Nota (*3): Mi appare adesso evidente che, mentre la persona coraggiosa non teme di porsi in situazioni rischiose, al contrario la persona paurosa le evita sul nascere. Per questo è più facile trovare episodi significativi che evidenziano il coraggio piuttosto che la paura.
Nota (*4): Senza scendere nei dettagli ho anche scoperto che il padre del mio nonno materno, Aristodemo, era molto coraggioso (Modificato 17/8/2016: si tuffò in Arno per salvare una donna che stava annegando) mentre sua moglie, Giovanna, era paurosissima.
Nota (*5): L'omone era in effetti un tizio poco raccomandabile e infatti, qualche anno dopo, finì in carcere perché legato alla camorra.
domenica 27 marzo 2011
Accertamento inutile
Oggi torno a un tema che mi sta molto a cuore: la libertà di internet e di come questa in Italia sia costantemente minacciata (*1).
L'ultima notizia è di una decina di giorni o forse ormai due/tre settimane fa.
Un inciso: perché non ne ho parlato subito? Perché sul momento mi incazzo veramente, non solo contro la miopia (dando per scontata la “buona fede”) delle nostre autorità, ma anche sugli italiani che trovano il tempo di protestare per cose che io reputo molto meno importanti...
Insomma se scrivessi subito farei dei post infuocati e forse rischierei di usare qualche parola di troppo. Fine inciso.
La nuova notizia (vedi il seguente articolo di Repubblica.it) causa di irritazione è la seguente: il Fisco ha chiesto (e ottenuto) il permesso di usare i dati reperibili su Facebook per accertamenti fiscali.
Prima “perplessità”: che cavolo di “accertamenti” è possibile fare su Facebook? Su Facebook se non si è “amici” non si riesce a vedere praticamente niente di una persona: data di nascita, città di residenza, a volte il sesso e poco altro...
Forse Facebook stesso garantirebbe all'agenzia delle entrate una specie di passepartout per entrare, non visti, in tutti i profili come se fosse un “amico”?
Ma anche in questo caso cosa ne ricaverebbero? Chi scrive quanto guadagna e quanto spende su Facebook? E quanto sarebbero attendibili queste informazioni? L'unica cosa che si potrebbe “accertare”, e SOLO forse, è dove uno passa le vacanze ma poi che altro?
Insomma tentare di usare Facebook per accertare il patrimonio degli italiani mi pare, al di là delle riserve morali (vedi dopo), un'idea completamente priva di efficacia...
La seconda perplessità, nell'ipotesi che il fisco abbia accesso come “amico” a tutti i dati, è molto più grave. Deriva dalla legittimità morale di frugare automaticamente e indiscriminatamente nella vita privata degli italiani. L'esponente del fisco chiosava sul fatto che accedere ai dati di Facebook è equivalente a controllare un registro fiscale. Spiacente ma non sono assolutamente d'accordo! FB è pieno di foto di figli/amici/partner molto personali, scherzi e lazzi con gli amici, link ad articoli o video e una lunga lista di “mi piace” questo e quello... Tutte informazioni molto intime (oltre che, lo ripeto, di utilità praticamente nulla per il fisco). Insomma accedere indiscriminatamente ai dati di Facebook equivale ad avere uno sconosciuto che ti fruga le tasche e la scrivania, che guarda tua moglie in bichini sulla spiaggia e che legge, magari ridacchiando, le confidenze fatte ai tuoi amici. Non è assolutamente lo stesso che sfogliare un registro pieno di codici e numeri...
Ma appurato che Facebook è totalmente inutile (se utilizzato per accedere ai soli dati pubblici degli utenti) o solamente inutile (se utilizzato per accedere a tutte le informazioni ivi contenute) per eseguire accertamenti fiscali allora è legittimo domandarsi il motivo di questa iniziativa apparentemente assurda.
Ho solo due ipotesi: una paranoica e l'altra ancora più paranoica.
La paranoica è che un'azienda di software molto “scaltra” abbia già pronto il software che sarà venduto (mantenuto e aggiornato) all'agenzia delle entrate per eseguire detti controlli: inutili o totalmente inutili che siano. Sarebbe interessante sapere, oltre ai costi di realizzazione, a chi appartiene questa società e se ha legami politici.
Temo insomma che un gruppo ristretto di persone trarrà grossi benefici economici da questa operazione a spese della collettività senza però alcun ritorno per il pubblico interesse.
La seconda ipotesi è molto più paranoica della precedente. Le nostre autorità sono ben consce della totale inutilità dell'usare Facebook per fare accertamenti fiscali. Quello che in realtà vogliono ottenere è un database che schedi i gusti e le idee di tutti gli italiani. Ovviamente l'accesso e l'utilizzo di questi dati, raccolti per fini ben diversi da quelli indicati, sarebbe poi utilizzato solo dalla polizia dopo la specifica autorizzazione di un tribunale. Ma sappiamo tutti come è l'Italia: basta che un potente faccia una telefonata alla persona giusta e, in barba a regole, leggi e leggine, i dati cercati sarebbero prontamente spediti al richiedente... Se poi la notizia che questi dati vengono usati e conservati per altri motivi “non fiscali” dovesse divenire pubblica, le autorità saranno pronte ad agitare lo spauracchio della lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata.
Io immagino un uso semi-inoffensivo di queste informazioni: tipo pubblicità politica pre elettorale, mirata in base ai “mi piace” questo o quel politico/partito. Però, senza troppa fantasia, è facile pensarne un uso, anzi un abuso, ben più pericoloso...
Conclusione: probabilmente, le mie idee paranoiche sullo spreco di denaro pubblico e quella ancora più assurda di schedatura semi illegale, sono solo delle fantasie. Spero invece che questa astuta idea del fisco porti al recupero di di miliardi di euro e permetta l'abbassamento delle tasse (*2)...
Nota (*1): beh, anche nel resto del mondo questa è la tendenza: come testimoniato dall'intervista al mio conoscente egiziano il ruolo del web è stato determinante nelle rivoluzioni in atto nel mondo arabo. È naturale che i governi siano preoccupati (anche se quelli democratici, in teoria, non dovrebbero esserlo...). Comunque l'Italia, insieme a Cina e Iran, sono all'avanguardia negli attacchi alla libertà e indipendenza del web...
Nota (*2): spero che qualcuno apprezzi la mia ironia...
L'ultima notizia è di una decina di giorni o forse ormai due/tre settimane fa.
Un inciso: perché non ne ho parlato subito? Perché sul momento mi incazzo veramente, non solo contro la miopia (dando per scontata la “buona fede”) delle nostre autorità, ma anche sugli italiani che trovano il tempo di protestare per cose che io reputo molto meno importanti...
Insomma se scrivessi subito farei dei post infuocati e forse rischierei di usare qualche parola di troppo. Fine inciso.
La nuova notizia (vedi il seguente articolo di Repubblica.it) causa di irritazione è la seguente: il Fisco ha chiesto (e ottenuto) il permesso di usare i dati reperibili su Facebook per accertamenti fiscali.
Prima “perplessità”: che cavolo di “accertamenti” è possibile fare su Facebook? Su Facebook se non si è “amici” non si riesce a vedere praticamente niente di una persona: data di nascita, città di residenza, a volte il sesso e poco altro...
Forse Facebook stesso garantirebbe all'agenzia delle entrate una specie di passepartout per entrare, non visti, in tutti i profili come se fosse un “amico”?
Ma anche in questo caso cosa ne ricaverebbero? Chi scrive quanto guadagna e quanto spende su Facebook? E quanto sarebbero attendibili queste informazioni? L'unica cosa che si potrebbe “accertare”, e SOLO forse, è dove uno passa le vacanze ma poi che altro?
Insomma tentare di usare Facebook per accertare il patrimonio degli italiani mi pare, al di là delle riserve morali (vedi dopo), un'idea completamente priva di efficacia...
La seconda perplessità, nell'ipotesi che il fisco abbia accesso come “amico” a tutti i dati, è molto più grave. Deriva dalla legittimità morale di frugare automaticamente e indiscriminatamente nella vita privata degli italiani. L'esponente del fisco chiosava sul fatto che accedere ai dati di Facebook è equivalente a controllare un registro fiscale. Spiacente ma non sono assolutamente d'accordo! FB è pieno di foto di figli/amici/partner molto personali, scherzi e lazzi con gli amici, link ad articoli o video e una lunga lista di “mi piace” questo e quello... Tutte informazioni molto intime (oltre che, lo ripeto, di utilità praticamente nulla per il fisco). Insomma accedere indiscriminatamente ai dati di Facebook equivale ad avere uno sconosciuto che ti fruga le tasche e la scrivania, che guarda tua moglie in bichini sulla spiaggia e che legge, magari ridacchiando, le confidenze fatte ai tuoi amici. Non è assolutamente lo stesso che sfogliare un registro pieno di codici e numeri...
Ma appurato che Facebook è totalmente inutile (se utilizzato per accedere ai soli dati pubblici degli utenti) o solamente inutile (se utilizzato per accedere a tutte le informazioni ivi contenute) per eseguire accertamenti fiscali allora è legittimo domandarsi il motivo di questa iniziativa apparentemente assurda.
Ho solo due ipotesi: una paranoica e l'altra ancora più paranoica.
La paranoica è che un'azienda di software molto “scaltra” abbia già pronto il software che sarà venduto (mantenuto e aggiornato) all'agenzia delle entrate per eseguire detti controlli: inutili o totalmente inutili che siano. Sarebbe interessante sapere, oltre ai costi di realizzazione, a chi appartiene questa società e se ha legami politici.
Temo insomma che un gruppo ristretto di persone trarrà grossi benefici economici da questa operazione a spese della collettività senza però alcun ritorno per il pubblico interesse.
La seconda ipotesi è molto più paranoica della precedente. Le nostre autorità sono ben consce della totale inutilità dell'usare Facebook per fare accertamenti fiscali. Quello che in realtà vogliono ottenere è un database che schedi i gusti e le idee di tutti gli italiani. Ovviamente l'accesso e l'utilizzo di questi dati, raccolti per fini ben diversi da quelli indicati, sarebbe poi utilizzato solo dalla polizia dopo la specifica autorizzazione di un tribunale. Ma sappiamo tutti come è l'Italia: basta che un potente faccia una telefonata alla persona giusta e, in barba a regole, leggi e leggine, i dati cercati sarebbero prontamente spediti al richiedente... Se poi la notizia che questi dati vengono usati e conservati per altri motivi “non fiscali” dovesse divenire pubblica, le autorità saranno pronte ad agitare lo spauracchio della lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata.
Io immagino un uso semi-inoffensivo di queste informazioni: tipo pubblicità politica pre elettorale, mirata in base ai “mi piace” questo o quel politico/partito. Però, senza troppa fantasia, è facile pensarne un uso, anzi un abuso, ben più pericoloso...
Conclusione: probabilmente, le mie idee paranoiche sullo spreco di denaro pubblico e quella ancora più assurda di schedatura semi illegale, sono solo delle fantasie. Spero invece che questa astuta idea del fisco porti al recupero di di miliardi di euro e permetta l'abbassamento delle tasse (*2)...
Nota (*1): beh, anche nel resto del mondo questa è la tendenza: come testimoniato dall'intervista al mio conoscente egiziano il ruolo del web è stato determinante nelle rivoluzioni in atto nel mondo arabo. È naturale che i governi siano preoccupati (anche se quelli democratici, in teoria, non dovrebbero esserlo...). Comunque l'Italia, insieme a Cina e Iran, sono all'avanguardia negli attacchi alla libertà e indipendenza del web...
Nota (*2): spero che qualcuno apprezzi la mia ironia...
sabato 26 marzo 2011
Mi pizzica e mi gratto
Ieri ho visto una divertente commedia: “Hitch” con Will Smith.
Avevo già visto questo film qualche anno fa in Olanda però, pur comprendendone la storia, non ero riuscito ad apprezzarlo pienamente perché era in lingua originale e senza sottotitoli (*1).
Questa seconda visione è stata molto più piacevole: beh, Will Smith mi sta un po' antipatico e la giornalista di cui si innamora non mi piaceva troppo, però il corpulento Albert, alle prese con la bella Allegra, sono veramente divertenti! Mediando le due parti viene fuori un film gradevole...
Non voglio però parlare della trama del film ma solo di una particolare frase pronunciata dal protagonista: “l'occasione va creata”.
Il personaggio di Will Smith, Hitch appunto, si riferisce al fatto che, per approcciare una donna, è necessaria una meticolosa pianificazione: tutto si riduce a un calcolo e all'apparenza (“stai dritto”, “chiudi la bocca”, “non distogliere lo sguardo” consiglia Hitch ad Albert in maniera che questi sembri sicuro di sé)
Questa idea è esattamente agli antipodi di quella espressa nel film Serendipity (vedi post Serendipità). In tale film il fato è l'arbitro assoluto dell'amore che, tramite oscuri e imprevedibili meccanismi, mette insieme le persone destinate a incontrarsi.
Ovviamente entrambi i film esasperano queste due opposte concezioni portandole a livelli assurdi: Hitch non si limita a inventare una scusa per rompere il ghiaccio ma pianifica ogni gesto, ogni espressione, ogni parola scientificamente così come un architetto progetta una casa; in Serendipity invece i protagonisti si affidano a una impossibile lotteria scrivendo i rispettivi numeri telefonici su una banconota e su un libro usato.
Da una parte abbiamo l'idea che l'amore sia guidato dal fato, dall'altra che l'uomo possa addirittura telecontrollarlo.
Possibile che entrambe queste visioni così diverse possano essere vere contemporaneamente?
Il mio animo intimamente romantico mi porta e preferire l'idea che il destino unisca le cosiddette anime gemelle: due persone che quando si incontrano riescano a vedere oltre l'apparenza e anzi scorgano/riconoscano/intuiscano l'essenza dell'altro. Eppure...
Eppure non ha senso, lo so: non c'è Destino e Dio ha ben altro a cui pensare.
Sembra che la legge del successo sentimentale sia apparire affascinanti, fingersi migliori. E in altre parole questo corrisponde ad omologarsi alla massa in maniera da riconoscere ciò che è alla moda (e quindi affascinante) e ciò che possa essere apprezzato dal potenziale partner. E poi? Quando ci si stanca di fingersi diversi da quel che siamo? Non viene spiegato ma il film pare alludere al fatto che, una volta che la coppia è fatta, ciò non sia più importante: se i partner non si piacciono più semplicemente si lasciano. Tutto qui.
Perché questa questione mi sta così a cuore?
Difficile dirlo. Anzi non dirlo ma capirlo: di solito sono piuttosto abile a leggere e interpretare le sfumature del mio animo ma, in questo caso, si tratta di sfumature impalpabili.
Io stesso cioè faccio fatica a capire ciò che mi turba.
Ecco, forse la risposta sta in una domanda. La domanda che mi sono posto le rare volte che ho incontrato una persona che mi è parsa speciale: “Se io la vedo così perfetta perché lei vede solo un omino insignificante?”. E questa domanda equivale a chiedersi: “È lei non così perfetta come mi sembra o io non sono ciò che penso di essere?”. Infatti la perfezione del partner è lo specchio in cui vogliamo rifletterci in ogni momento. Ma poiché della perfezione della mia bella non riesco a dubitare allora la conseguenza è che io non sono io. Ma questo è assurdo perché è una contraddizione e quindi mi turba!
Per questo, credo, mi preme sapere se le anime gemelle sono destinate a riconoscersi oppure no.
Mi spiace se ho confuso il lettore con i miei ragionamenti. Mi rendo conto che ho saltato dei passaggi che mi appaiono consequenziali ma che probabilmente non lo sono per tutti...
Ma come ho spiegato altrove (vedi le Parole Santissime) certe verità è impossibile comunicarle pienamente con il solo linguaggio: non possono essere apprezzate con la sola ragione. In fondo in fondo, l'essenza di ogni messaggio, della comunicazione fra due persone, va intuito col cuore.
Nota (*1): Nei film dove parlano rapidamente e, soprattutto, con espressioni gergali stimo di capire solamente un 75% di quello che sento: abbastanza per seguire la trama ma non per apprezzare le sfumature dei dialoghi.
Avevo già visto questo film qualche anno fa in Olanda però, pur comprendendone la storia, non ero riuscito ad apprezzarlo pienamente perché era in lingua originale e senza sottotitoli (*1).
Questa seconda visione è stata molto più piacevole: beh, Will Smith mi sta un po' antipatico e la giornalista di cui si innamora non mi piaceva troppo, però il corpulento Albert, alle prese con la bella Allegra, sono veramente divertenti! Mediando le due parti viene fuori un film gradevole...
Non voglio però parlare della trama del film ma solo di una particolare frase pronunciata dal protagonista: “l'occasione va creata”.
Il personaggio di Will Smith, Hitch appunto, si riferisce al fatto che, per approcciare una donna, è necessaria una meticolosa pianificazione: tutto si riduce a un calcolo e all'apparenza (“stai dritto”, “chiudi la bocca”, “non distogliere lo sguardo” consiglia Hitch ad Albert in maniera che questi sembri sicuro di sé)
Questa idea è esattamente agli antipodi di quella espressa nel film Serendipity (vedi post Serendipità). In tale film il fato è l'arbitro assoluto dell'amore che, tramite oscuri e imprevedibili meccanismi, mette insieme le persone destinate a incontrarsi.
Ovviamente entrambi i film esasperano queste due opposte concezioni portandole a livelli assurdi: Hitch non si limita a inventare una scusa per rompere il ghiaccio ma pianifica ogni gesto, ogni espressione, ogni parola scientificamente così come un architetto progetta una casa; in Serendipity invece i protagonisti si affidano a una impossibile lotteria scrivendo i rispettivi numeri telefonici su una banconota e su un libro usato.
Da una parte abbiamo l'idea che l'amore sia guidato dal fato, dall'altra che l'uomo possa addirittura telecontrollarlo.
Possibile che entrambe queste visioni così diverse possano essere vere contemporaneamente?
Il mio animo intimamente romantico mi porta e preferire l'idea che il destino unisca le cosiddette anime gemelle: due persone che quando si incontrano riescano a vedere oltre l'apparenza e anzi scorgano/riconoscano/intuiscano l'essenza dell'altro. Eppure...
Eppure non ha senso, lo so: non c'è Destino e Dio ha ben altro a cui pensare.
Sembra che la legge del successo sentimentale sia apparire affascinanti, fingersi migliori. E in altre parole questo corrisponde ad omologarsi alla massa in maniera da riconoscere ciò che è alla moda (e quindi affascinante) e ciò che possa essere apprezzato dal potenziale partner. E poi? Quando ci si stanca di fingersi diversi da quel che siamo? Non viene spiegato ma il film pare alludere al fatto che, una volta che la coppia è fatta, ciò non sia più importante: se i partner non si piacciono più semplicemente si lasciano. Tutto qui.
Perché questa questione mi sta così a cuore?
Difficile dirlo. Anzi non dirlo ma capirlo: di solito sono piuttosto abile a leggere e interpretare le sfumature del mio animo ma, in questo caso, si tratta di sfumature impalpabili.
Io stesso cioè faccio fatica a capire ciò che mi turba.
Ecco, forse la risposta sta in una domanda. La domanda che mi sono posto le rare volte che ho incontrato una persona che mi è parsa speciale: “Se io la vedo così perfetta perché lei vede solo un omino insignificante?”. E questa domanda equivale a chiedersi: “È lei non così perfetta come mi sembra o io non sono ciò che penso di essere?”. Infatti la perfezione del partner è lo specchio in cui vogliamo rifletterci in ogni momento. Ma poiché della perfezione della mia bella non riesco a dubitare allora la conseguenza è che io non sono io. Ma questo è assurdo perché è una contraddizione e quindi mi turba!
Per questo, credo, mi preme sapere se le anime gemelle sono destinate a riconoscersi oppure no.
Mi spiace se ho confuso il lettore con i miei ragionamenti. Mi rendo conto che ho saltato dei passaggi che mi appaiono consequenziali ma che probabilmente non lo sono per tutti...
Ma come ho spiegato altrove (vedi le Parole Santissime) certe verità è impossibile comunicarle pienamente con il solo linguaggio: non possono essere apprezzate con la sola ragione. In fondo in fondo, l'essenza di ogni messaggio, della comunicazione fra due persone, va intuito col cuore.
Nota (*1): Nei film dove parlano rapidamente e, soprattutto, con espressioni gergali stimo di capire solamente un 75% di quello che sento: abbastanza per seguire la trama ma non per apprezzare le sfumature dei dialoghi.
giovedì 24 marzo 2011
Mi rispondo
La scorsa settimana avevo presentato ai miei lettori una domanda (vedi “Sardi e risardi storici” in Protonotario).
Come altre volte avevo pregato i miei lettori di rifletterci e di fornirmi la loro opinione: un solo commento è stato aggiunto.
Temo che i miei lettori sospettino di queste mie richieste dirette. Come se pensassero che io tenda loro delle trappole per fargli fare la figura degli sprovveduti. Non è mai questo il caso! Ho troppi pochi lettori per rischiare di alienarmene qualcuno (*1)!
Detto questo, avevo presentato il seguente brano e chiesto a quale periodo si riferisse:
“... Guardando indietro, è chiaro che avremmo dovuto prevedere che stessero per arrivare grossi problemi: la sovrappopolazione, la fine di grandi aree sottosviluppate produttrici di alimenti, l'aspra concorrenza determinata dalla diffusione dell'industrialismo in un certo numero di paesi tutti assetati di potere, l'eccitazione provocata dalle idee occidentali negli intellettuali appartenenti a paesi con altre tradizioni e altre realtà. ...”(*2)
Adesso posso dire che si riferiva agli inizi del 1900 prima della Grande Guerra.
Personalmente mi ha colpito perché sembra ricalcare la situazione odierna: la sovrappopolazione è sempre più attuale e parimenti lo è il problema del cibo (*3). Nella frase sull'“industrialismo” io ci leggo Cina (anche se forse questa è una mia forzatura), mentre “l'eccitazione provocata dalle idee occidentali negli intellettuali appartenenti a paesi con altre tradizioni e altre realtà” mi pare si adatti perfettamente a quanto sta succedendo in Medio Oriente...
Le mie riflessioni sono due: la prima è come la storia sembri ripetersi (se non nella realtà dei fatti almeno nel come viene descritta!); la seconda è che, se l'autore di tale frase era nel giusto a considerare i fattori elencati come causa della guerra, allora dovremmo aspettarci anche noi qualcosa di analogo?
Nota (*1): certo che se un giorno i miei lettori dovessero diventare tanti...
Nota (*2): “Pensieri” di Russell (a cura di Lee Eisler), Grandi Tascabili Economici Newton, 1997
Nota (*3): Mi pare che già lo scorso anno ci sono state speculazioni sul prezzo del riso e del grano...
Come altre volte avevo pregato i miei lettori di rifletterci e di fornirmi la loro opinione: un solo commento è stato aggiunto.
Temo che i miei lettori sospettino di queste mie richieste dirette. Come se pensassero che io tenda loro delle trappole per fargli fare la figura degli sprovveduti. Non è mai questo il caso! Ho troppi pochi lettori per rischiare di alienarmene qualcuno (*1)!
Detto questo, avevo presentato il seguente brano e chiesto a quale periodo si riferisse:
“... Guardando indietro, è chiaro che avremmo dovuto prevedere che stessero per arrivare grossi problemi: la sovrappopolazione, la fine di grandi aree sottosviluppate produttrici di alimenti, l'aspra concorrenza determinata dalla diffusione dell'industrialismo in un certo numero di paesi tutti assetati di potere, l'eccitazione provocata dalle idee occidentali negli intellettuali appartenenti a paesi con altre tradizioni e altre realtà. ...”(*2)
Adesso posso dire che si riferiva agli inizi del 1900 prima della Grande Guerra.
Personalmente mi ha colpito perché sembra ricalcare la situazione odierna: la sovrappopolazione è sempre più attuale e parimenti lo è il problema del cibo (*3). Nella frase sull'“industrialismo” io ci leggo Cina (anche se forse questa è una mia forzatura), mentre “l'eccitazione provocata dalle idee occidentali negli intellettuali appartenenti a paesi con altre tradizioni e altre realtà” mi pare si adatti perfettamente a quanto sta succedendo in Medio Oriente...
Le mie riflessioni sono due: la prima è come la storia sembri ripetersi (se non nella realtà dei fatti almeno nel come viene descritta!); la seconda è che, se l'autore di tale frase era nel giusto a considerare i fattori elencati come causa della guerra, allora dovremmo aspettarci anche noi qualcosa di analogo?
Nota (*1): certo che se un giorno i miei lettori dovessero diventare tanti...
Nota (*2): “Pensieri” di Russell (a cura di Lee Eisler), Grandi Tascabili Economici Newton, 1997
Nota (*3): Mi pare che già lo scorso anno ci sono state speculazioni sul prezzo del riso e del grano...
mercoledì 23 marzo 2011
Consigli per portavoce
Ammetto che non ho seguito molto attentamente le ultime vicissitudini politiche di Berluska: in particolare mi riferisco allo spinoso caso di Ruby Rubbacuore.
Non so quale sia la verità ma mi pare evidente che il portavoce di Berluska non stia gestendo bene la situazione.
Ecco quindi, dopo profonda riflessione, i miei consigli su quanto tale portavoce dovrebbe dichiarare alla stampa.
Le feste ad Arcore erano fra amici e amiche (una sorta di "compagni di merenda"): dopo la cena venivano organizzati giochi di società o di ruolo (tipo Dungeons & Dragons (*1)). Questa versione avrebbe anche il vantaggio di far apparire Berluska molto moderno e socievole.
Di conseguenza i regali erano solo premi di gioco (nessun pagamento è mai stato fatto!): Berluska mezzo intontito per il sonno perdeva sempre.
I magistrati che indagano non sono in buona fede: ce l'hanno con Berluska perché non sono mai stati invitati. Ecco, per rendere più credibile questa affermazione, è importante insistere che non ci sono prove che alcun magistrato abbia mai partecipato a queste feste: citare dei testimoni degni di Fede.
Prendere l'occasione per ricordare i crimini di Stalin, i gulag, la Siberia e le toghe rosse.
Ruby Rubbacuore non deve essere rappresentata come una giovane sfruttata ma come un esempio di extracomunitaria brillantemente integrata. Anzi, data la giovane età, suggerisco di evidenziare lo spirito di iniziativa della giovane, imprenditrice di se stessa, e magari porla ad esempio per i giovani mammoni italiani.
Le accuse di induzione alla prostituzione sono gravi e andrebbero evitate. Se proprio la prova di qualche pagamento dovesse saltare fuori bisogna avere una giustificazione pronta: spiegare insomma che tali pagamenti non sono legati ad alcuna prestazione sessuale.
Un'idea potrebbe essere la seguente: le varie donne coinvolte non erano meretrici ma badanti, ingaggiate a ore, per prendersi cura (dar da mangiare, pulire etc) di Berluska e dei suoi amici molto provati dopo una lunga giornata di lavoro (è importante sottolineare la fatica per tutto il lavoro che Berluska fa, non per sé, ma per l'Italia (*2)). Magari approfittarne per sviare l'attenzione pubblica ricordando come i vecchi siano il sale della terra e quanto sia importante la figura del nonnino troppo spesso abbandonato in una casa di cura.
Data l'età avanzata di Berluska questa spiegazione sarebbe assolutamente credibile come anche comprensibilissima la sua reticenza ad ammetterla: magari Berluska potrebbe approfittarne per raccontare una barzelletta auto ironica sulla sua età. Qualcosa del tipo che, quando era più giovane, voleva fondare, insieme a Mazzini, la “Giovine Forza Italia”.
Probabilmente Ruby è troppo giovane per essere credibile come badante: nel suo caso particolare consiglio di presentarla come baby sitter. Anzi, considerando che i figli di Berluska sono ormai grandicelli, forse è più credibile presentarla come dog sitter. In questo caso l'unico problema sarebbe trovare un cane disposto a testimoniare.
Se qualcuno avesse comunque da ridire sull'alto costo di queste badanti, dichiarare che "Se reato c'è stato non si tratta di induzione alla prostituzione ma di circonvenzione di incapace". Questo dovrebbe mettere a tacere anche le male lingue.
Riepilogando: le feste ad Arcore erano serate fra amici dove si facevano giochi di società. I regali erano premi di gioco e nessun magistrato è mai stato invitato a parteciparvi. Durante queste feste il cane di Berluska era solo e negletto e per questo era spesso chiamata Ruby, l'esempio di integrazione interrazziale, per prendersene cura.
Se e solo se la prova di qualche pagamento dovesse saltare fuori passare al piano B. Con imbarazzo Berluska dovrebbe dichiarare che le signore erano badanti necessarie a prendersi cura della sua persona. La versione di Ruby dog-sitter sarebbe invece ancora credibile in quanto Berluska non avrebbe l'energia sufficiente per portare il suo cane a spasso da solo.
Nota (*1): è risaputo che il personaggio preferito a D&D di Berluska si chiama Mediolanum ed è un nano ladro di bassa statura ma alto livello...
Nota (*2): se il portavoce sta facendo un video bisogna inquadrare una bandiera italiana che garrisce al vento.
Non so quale sia la verità ma mi pare evidente che il portavoce di Berluska non stia gestendo bene la situazione.
Ecco quindi, dopo profonda riflessione, i miei consigli su quanto tale portavoce dovrebbe dichiarare alla stampa.
Le feste ad Arcore erano fra amici e amiche (una sorta di "compagni di merenda"): dopo la cena venivano organizzati giochi di società o di ruolo (tipo Dungeons & Dragons (*1)). Questa versione avrebbe anche il vantaggio di far apparire Berluska molto moderno e socievole.
Di conseguenza i regali erano solo premi di gioco (nessun pagamento è mai stato fatto!): Berluska mezzo intontito per il sonno perdeva sempre.
I magistrati che indagano non sono in buona fede: ce l'hanno con Berluska perché non sono mai stati invitati. Ecco, per rendere più credibile questa affermazione, è importante insistere che non ci sono prove che alcun magistrato abbia mai partecipato a queste feste: citare dei testimoni degni di Fede.
Prendere l'occasione per ricordare i crimini di Stalin, i gulag, la Siberia e le toghe rosse.
Ruby Rubbacuore non deve essere rappresentata come una giovane sfruttata ma come un esempio di extracomunitaria brillantemente integrata. Anzi, data la giovane età, suggerisco di evidenziare lo spirito di iniziativa della giovane, imprenditrice di se stessa, e magari porla ad esempio per i giovani mammoni italiani.
Le accuse di induzione alla prostituzione sono gravi e andrebbero evitate. Se proprio la prova di qualche pagamento dovesse saltare fuori bisogna avere una giustificazione pronta: spiegare insomma che tali pagamenti non sono legati ad alcuna prestazione sessuale.
Un'idea potrebbe essere la seguente: le varie donne coinvolte non erano meretrici ma badanti, ingaggiate a ore, per prendersi cura (dar da mangiare, pulire etc) di Berluska e dei suoi amici molto provati dopo una lunga giornata di lavoro (è importante sottolineare la fatica per tutto il lavoro che Berluska fa, non per sé, ma per l'Italia (*2)). Magari approfittarne per sviare l'attenzione pubblica ricordando come i vecchi siano il sale della terra e quanto sia importante la figura del nonnino troppo spesso abbandonato in una casa di cura.
Data l'età avanzata di Berluska questa spiegazione sarebbe assolutamente credibile come anche comprensibilissima la sua reticenza ad ammetterla: magari Berluska potrebbe approfittarne per raccontare una barzelletta auto ironica sulla sua età. Qualcosa del tipo che, quando era più giovane, voleva fondare, insieme a Mazzini, la “Giovine Forza Italia”.
Probabilmente Ruby è troppo giovane per essere credibile come badante: nel suo caso particolare consiglio di presentarla come baby sitter. Anzi, considerando che i figli di Berluska sono ormai grandicelli, forse è più credibile presentarla come dog sitter. In questo caso l'unico problema sarebbe trovare un cane disposto a testimoniare.
Se qualcuno avesse comunque da ridire sull'alto costo di queste badanti, dichiarare che "Se reato c'è stato non si tratta di induzione alla prostituzione ma di circonvenzione di incapace". Questo dovrebbe mettere a tacere anche le male lingue.
Riepilogando: le feste ad Arcore erano serate fra amici dove si facevano giochi di società. I regali erano premi di gioco e nessun magistrato è mai stato invitato a parteciparvi. Durante queste feste il cane di Berluska era solo e negletto e per questo era spesso chiamata Ruby, l'esempio di integrazione interrazziale, per prendersene cura.
Se e solo se la prova di qualche pagamento dovesse saltare fuori passare al piano B. Con imbarazzo Berluska dovrebbe dichiarare che le signore erano badanti necessarie a prendersi cura della sua persona. La versione di Ruby dog-sitter sarebbe invece ancora credibile in quanto Berluska non avrebbe l'energia sufficiente per portare il suo cane a spasso da solo.
Nota (*1): è risaputo che il personaggio preferito a D&D di Berluska si chiama Mediolanum ed è un nano ladro di bassa statura ma alto livello...
Nota (*2): se il portavoce sta facendo un video bisogna inquadrare una bandiera italiana che garrisce al vento.
martedì 22 marzo 2011
Librerie varie
Problema: libri. Soluzione: libreria.
La teoria è semplice: se si hanno troppi libri bisogna prendere una libreria extra.
Già due settimane fa feci delle sortite per vedere cosa fosse disponibile.
La mia idea era quella di sfruttare maggiormente la parete di camera, dove avevo due piccole librerie, mettendocene una sola più grande e alta. L'altezza è variabile: nel punto più alto è di 290cm per poi decrescere fino a circa (vedi poi) 240. La larghezza disponibile è 210-250 cm: il problema è un interruttore e relativa presa di corrente (che non posso coprire) e un armadio sull'angolo che voglio continuare a essere in grado di aprire. Profondità massimo sui 35 cm perché altrimenti ho problemi col mio letto che ha la testata sulla parete opposta.
Inizialmente andai a un negozio di mobili nelle vicinanze: mi accorsi subito che si trattava di un negozio molto costoso ma fui “adescato” per un preventivo da una ragazza piuttosto carina che mi fece un progetto col computer. La proposta risultante furono due scaffali larghi 1 m ciascuno di due altezze diverse: uno di 250 cm e l'altro di 220. “Legnaccio” laccato di nero, 2 mesi di attesa, 10 anni di garanzia per l'agghiacciante cifra di 1200€ (spero IVA inclusa!).
Crollata la libidine andai in un grande negozio, del quale mi sfugge il nome, che vende anche attrezzatura per giardino, bricolage, etc. Non avevano librerie disponibili ma vendevano delle scaffalature componibili.
Mi resi conto, osservando il dépliant, che potevo ottenere un ESATTO clone (comprese tipo di legno e dimensioni al cm) di quello che mi era stato proposto al negozio caro dalla ragazza bella.
Grazie ad astute somme e abili moltiplicazioni arrivai a stabilire che il tutto mi sarebbe venuto a costare sui 600€.
Poi andai al “Wan Kenobi”. Niente scaffalature già disponibili, ma l'addetto al “taglia e cuci” del legno si offrì di farmi un progetto partendo dal legno grezzo (compensato a strati o come si chiama). Ci si perse almeno una mezz'ora (per le solite due scaffalature unite insieme) e il prezzo finale era sui 400€, senza considerare vernici e viti. Io ero piuttosto scettico sul risultato finale.
Lo scorso venerdì, infine, sono stato a un “Brico Regno”. Ho trovato una signora in gamba e, alla fine, siamo arrivati a una soluzione con 3 scaffali alti 245cm (nel frattempo mi ero infatti reso conto che potevo guadagnare altezza evitando che la scaffalatura avesse un ripiano dove ho la trave del tetto).
Soprattutto, invece di due scaffali larghi 1 metro ciascuno, ho tre scaffali larghi 80 cm. Questo è importante, sia perché ottengo una larghezza complessiva di 240 cm che mi permette di sfruttare molto meglio la parete, ma anche perché scaffali larghi 80 cm è più difficile che si imbarchino sotto il peso dei libri. Il legno era abetuccio ma comunque sempre meglio del compensato propostomi al Wan Kenobi. Prezzo finale, compreso taglio del legno (18 ripiani 100x40 cm da trasformare in 80x35), 2 barattoli di vernice impregnante e 3 sacchettini di viti di prima qualità: 199,80€
Ebbi una notte tormentosa in cui fui combattuto fra la possibilità di rivedere la giovane silfide del negozio costoso per soli 1200€ oppure rincontrare la saggia anziana per la spropositata somma di 200€.
Al mattino decisi che il sorriso di una bella ragazza vale sicuramente molto più dei saggi consigli di una megera e così tornai dalla mia bella che mi accolse a braccia aperte e non solo: infatti ci sposammo, facemmo molti figli insieme e vivemmo felici e contenti.
Poi mi svegliai e optai per risparmiare 1000€...
Di seguito le foto scattate fra sabato e lunedì.
Il lettore astuto intuirà che avrò da fare anche su un tetto
Impegnato a colorare: 2 mani...
...a distanza di 24 ore e l'abete diventa noce
Risultato finale
Avrei molto da dire sulle difficoltà...
...e le mie astuzie nel montaggio: un'altra volta però!
La teoria è semplice: se si hanno troppi libri bisogna prendere una libreria extra.
Già due settimane fa feci delle sortite per vedere cosa fosse disponibile.
La mia idea era quella di sfruttare maggiormente la parete di camera, dove avevo due piccole librerie, mettendocene una sola più grande e alta. L'altezza è variabile: nel punto più alto è di 290cm per poi decrescere fino a circa (vedi poi) 240. La larghezza disponibile è 210-250 cm: il problema è un interruttore e relativa presa di corrente (che non posso coprire) e un armadio sull'angolo che voglio continuare a essere in grado di aprire. Profondità massimo sui 35 cm perché altrimenti ho problemi col mio letto che ha la testata sulla parete opposta.
Inizialmente andai a un negozio di mobili nelle vicinanze: mi accorsi subito che si trattava di un negozio molto costoso ma fui “adescato” per un preventivo da una ragazza piuttosto carina che mi fece un progetto col computer. La proposta risultante furono due scaffali larghi 1 m ciascuno di due altezze diverse: uno di 250 cm e l'altro di 220. “Legnaccio” laccato di nero, 2 mesi di attesa, 10 anni di garanzia per l'agghiacciante cifra di 1200€ (spero IVA inclusa!).
Crollata la libidine andai in un grande negozio, del quale mi sfugge il nome, che vende anche attrezzatura per giardino, bricolage, etc. Non avevano librerie disponibili ma vendevano delle scaffalature componibili.
Mi resi conto, osservando il dépliant, che potevo ottenere un ESATTO clone (comprese tipo di legno e dimensioni al cm) di quello che mi era stato proposto al negozio caro dalla ragazza bella.
Grazie ad astute somme e abili moltiplicazioni arrivai a stabilire che il tutto mi sarebbe venuto a costare sui 600€.
Poi andai al “Wan Kenobi”. Niente scaffalature già disponibili, ma l'addetto al “taglia e cuci” del legno si offrì di farmi un progetto partendo dal legno grezzo (compensato a strati o come si chiama). Ci si perse almeno una mezz'ora (per le solite due scaffalature unite insieme) e il prezzo finale era sui 400€, senza considerare vernici e viti. Io ero piuttosto scettico sul risultato finale.
Lo scorso venerdì, infine, sono stato a un “Brico Regno”. Ho trovato una signora in gamba e, alla fine, siamo arrivati a una soluzione con 3 scaffali alti 245cm (nel frattempo mi ero infatti reso conto che potevo guadagnare altezza evitando che la scaffalatura avesse un ripiano dove ho la trave del tetto).
Soprattutto, invece di due scaffali larghi 1 metro ciascuno, ho tre scaffali larghi 80 cm. Questo è importante, sia perché ottengo una larghezza complessiva di 240 cm che mi permette di sfruttare molto meglio la parete, ma anche perché scaffali larghi 80 cm è più difficile che si imbarchino sotto il peso dei libri. Il legno era abetuccio ma comunque sempre meglio del compensato propostomi al Wan Kenobi. Prezzo finale, compreso taglio del legno (18 ripiani 100x40 cm da trasformare in 80x35), 2 barattoli di vernice impregnante e 3 sacchettini di viti di prima qualità: 199,80€
Ebbi una notte tormentosa in cui fui combattuto fra la possibilità di rivedere la giovane silfide del negozio costoso per soli 1200€ oppure rincontrare la saggia anziana per la spropositata somma di 200€.
Al mattino decisi che il sorriso di una bella ragazza vale sicuramente molto più dei saggi consigli di una megera e così tornai dalla mia bella che mi accolse a braccia aperte e non solo: infatti ci sposammo, facemmo molti figli insieme e vivemmo felici e contenti.
Poi mi svegliai e optai per risparmiare 1000€...
Di seguito le foto scattate fra sabato e lunedì.
domenica 20 marzo 2011
Annone
Un Annone non è un anno molto lungo, grosso, duro o particolarmente difficile.
Annone era un cartaginese e fece un periplo (*1).
Mio zio mi prestò qualche anno fa un libro su Annibale e, nei primi capitoli, c'era un veloce riassunto della storia di Cartagine. In questo riassunto non poteva mancare un accenno all'impresa di Annone che subito stuzzicò la mia fantasia. Qualche anno dopo mi capitò poi di vedere uno spezzone di un documentario di Scoperta Channel (o simili) proprio su Annone.
Così, quando mi sono ritrovato fra le mani un libriccino, appartenuto a mio zio, intitolato “Annone, Il periplo”, ero tutto contento e l'ho letto subito d'un fiato.
Il libriccino (*2) è infatti cortissimo, meno di 50 pagine, e il testo originale del periplo consiste di sole 5 pagine divise in 18 paragrafi.
Volutamente fino ad adesso sono stato vago per cercare di stimolare l'interesse dei miei lettori ma ora credo di dover dare qualche spiegazione.
Annone non lasciò un libro vero e proprio ma a Cartagine, al tempio massimo della città, una stele, probabilmente con scritte in più lingue (almeno cartaginese e greco), commemorava la sua impresa.
La versione in greco fu trascritta e, in qualche modo, è sopravvissuta nel codice 398 di Heidelberg del X secolo.
Come sapete Cartagine, fondata dai fenici intorno al VIII secolo a.C., diventò una grande potenza commerciale del mediterraneo fino alla sua distruzione per opera dei romani nel II secolo a.C.
Verso il 500 a.C. la sua potenza stava già raggiungendo l'apice. A differenza di Roma, Cartagine non mirava a soggiogare altri popoli ma preferiva commerciare con essi. Per fare questo aveva bisogno di numerose basi commerciali sulle coste del mare. Queste basi dovevano rispondere ed essere fedeli alla madre patria e per questo erano fondate da coloni proveniente da Cartagine stessa.
Ovviamente Cartagine fondò moltissime colonie ma non abbiamo idea di come ciò avvenisse.
L'eccezione è data dal resoconto di Annone.
Ad Annone infatti fu affidato il compito di fondare nuove colonie oltre le colonne d'Ercole verso sud, lungo la costa atlantica dell'Africa.
Annone partì alla guida di una grande flotta di 60 navi e ben 30000 (*3) persone (incluse donne e bambini).
Ogni circa 200 Km. se le condizioni della costa lo permettevano e le popolazioni indigene non erano ostili, veniva fondata una colonia dove venivano lasciate persone e mezzi per avviarla con successo.
La colonia più meridionale che fu fondata in questa spedizione fu Cerne, forse nella baia del Rio de Oro nell'attuale Sahara Occidentale. Proseguì poi ancor più verso sud ed è incerto fin dove arrivò: probabilmente fino in Sierra Leone. Là, su un isola costiera, trovarono moltissimi uomini e donne pelosi: “Prendemmo tre donne, ma a morsi ed unghiate non volevano seguire quelli che le avevano catturate. Dopo averle uccise le scuoiammo e portammo le pelli a Cartagine. (*4)”
Qui termina il resoconto infatti, avendo quasi esaurito le provviste, Annone decise di tornare indietro.
Ovviamente la lettura è molto più ricca di dettagli interessanti di quanto possa sembrare dalla mia scarna descrizione. Aiutandosi con la lettura delle note e delle mappe è veramente un avventura ripercorrere le tappe di questa spedizione pionieristica!
Una nota a parte merita l'edizione di questo libretto. La grafica e lo stile d'impaginazione sono modernissimi. La struttura intelligente e funzionale: prima c'è un'introduzione storica di una decina di pagine con un paio di mappe; poi il testo originale in greco del manoscritto con la traduzione a fronte divisa nei 18 paragrafi; infine le note specifiche ad ogni paragrafo.
Ero sicuro si trattasse di un libro degli anni '90 o più recente mentre invece si tratta di un libro relativamente vecchio, per la precisione del 1958!
Nota (*1): Sicuramente i miei lettori sanno che “periplo” significa circumnavigazione ma tale vocabolo ha anche un altro significato (di uso letterario): descrizione di un viaggio per nave.
Nota (*2): “Annone, il periplo” a cura di L. Del Turco, Edizioni Fussi, 1956
Nota (*3): Personalmente già questi numeri mi danno il capogiro!
Nota (*4): Ovviamente si trattava di primati, probabilmente scimpanzé!
Annone era un cartaginese e fece un periplo (*1).
Mio zio mi prestò qualche anno fa un libro su Annibale e, nei primi capitoli, c'era un veloce riassunto della storia di Cartagine. In questo riassunto non poteva mancare un accenno all'impresa di Annone che subito stuzzicò la mia fantasia. Qualche anno dopo mi capitò poi di vedere uno spezzone di un documentario di Scoperta Channel (o simili) proprio su Annone.
Così, quando mi sono ritrovato fra le mani un libriccino, appartenuto a mio zio, intitolato “Annone, Il periplo”, ero tutto contento e l'ho letto subito d'un fiato.
Il libriccino (*2) è infatti cortissimo, meno di 50 pagine, e il testo originale del periplo consiste di sole 5 pagine divise in 18 paragrafi.
Volutamente fino ad adesso sono stato vago per cercare di stimolare l'interesse dei miei lettori ma ora credo di dover dare qualche spiegazione.
Annone non lasciò un libro vero e proprio ma a Cartagine, al tempio massimo della città, una stele, probabilmente con scritte in più lingue (almeno cartaginese e greco), commemorava la sua impresa.
La versione in greco fu trascritta e, in qualche modo, è sopravvissuta nel codice 398 di Heidelberg del X secolo.
Come sapete Cartagine, fondata dai fenici intorno al VIII secolo a.C., diventò una grande potenza commerciale del mediterraneo fino alla sua distruzione per opera dei romani nel II secolo a.C.
Verso il 500 a.C. la sua potenza stava già raggiungendo l'apice. A differenza di Roma, Cartagine non mirava a soggiogare altri popoli ma preferiva commerciare con essi. Per fare questo aveva bisogno di numerose basi commerciali sulle coste del mare. Queste basi dovevano rispondere ed essere fedeli alla madre patria e per questo erano fondate da coloni proveniente da Cartagine stessa.
Ovviamente Cartagine fondò moltissime colonie ma non abbiamo idea di come ciò avvenisse.
L'eccezione è data dal resoconto di Annone.
Ad Annone infatti fu affidato il compito di fondare nuove colonie oltre le colonne d'Ercole verso sud, lungo la costa atlantica dell'Africa.
Annone partì alla guida di una grande flotta di 60 navi e ben 30000 (*3) persone (incluse donne e bambini).
Ogni circa 200 Km. se le condizioni della costa lo permettevano e le popolazioni indigene non erano ostili, veniva fondata una colonia dove venivano lasciate persone e mezzi per avviarla con successo.
La colonia più meridionale che fu fondata in questa spedizione fu Cerne, forse nella baia del Rio de Oro nell'attuale Sahara Occidentale. Proseguì poi ancor più verso sud ed è incerto fin dove arrivò: probabilmente fino in Sierra Leone. Là, su un isola costiera, trovarono moltissimi uomini e donne pelosi: “Prendemmo tre donne, ma a morsi ed unghiate non volevano seguire quelli che le avevano catturate. Dopo averle uccise le scuoiammo e portammo le pelli a Cartagine. (*4)”
Qui termina il resoconto infatti, avendo quasi esaurito le provviste, Annone decise di tornare indietro.
Ovviamente la lettura è molto più ricca di dettagli interessanti di quanto possa sembrare dalla mia scarna descrizione. Aiutandosi con la lettura delle note e delle mappe è veramente un avventura ripercorrere le tappe di questa spedizione pionieristica!
Una nota a parte merita l'edizione di questo libretto. La grafica e lo stile d'impaginazione sono modernissimi. La struttura intelligente e funzionale: prima c'è un'introduzione storica di una decina di pagine con un paio di mappe; poi il testo originale in greco del manoscritto con la traduzione a fronte divisa nei 18 paragrafi; infine le note specifiche ad ogni paragrafo.
Ero sicuro si trattasse di un libro degli anni '90 o più recente mentre invece si tratta di un libro relativamente vecchio, per la precisione del 1958!
Nota (*1): Sicuramente i miei lettori sanno che “periplo” significa circumnavigazione ma tale vocabolo ha anche un altro significato (di uso letterario): descrizione di un viaggio per nave.
Nota (*2): “Annone, il periplo” a cura di L. Del Turco, Edizioni Fussi, 1956
Nota (*3): Personalmente già questi numeri mi danno il capogiro!
Nota (*4): Ovviamente si trattava di primati, probabilmente scimpanzé!
venerdì 18 marzo 2011
Emblematico
Un mio conoscente ieri ha esposto il tricolore alla finestra per celebrare i 150 anni dell'unità d'Italia. Risultato: bandiera rubata...
In partenza 22-Marzo-2011
Causa forza maggiore vado via per n giorni. Per i miei lettori ho comunque programmato alcuni post.
Abito 26-Marzo-2011
L'abito non fa il monaco, ma il nero lo snellisce.
Che sete! 29-Marzo-2011
Appena tornato a casa mi sono bevuto tre bicchieroni d'acqua gassata fredda di frigo (appena stappata) con una fetta di limone!
Incomprensione 2-Aprile-2011
Recentemente mi è capitato di vedere diverse interviste ai profughi da "smaltire" (vedi Smaltimento immigrati). Sono rimasto sorpreso per alcuni commenti: mi sarei aspettato (e trovato comprensibili) proteste sulla mancanza di posti letto o per la scarsità di servizi igenici e, in effetti, recriminazioni di questo genere non sono mancate. Però a tali affermazioni erano spesso associate colorite rivendicazioni. Cose del tipo: "sempre stesso cibo: pane, latte, uova, pasta...", "manca l'acqua calda" e "sigarette cattive". Tali affermazioni provocano un mezzo sorriso perplesso però sono anche l'indice di qualcosa d'altro che merita di essere evidenziato: si tratta della scollatura che c'è fra quello che gli immigrati si aspettano dall'Italia e quanto gli italiani si aspettano da essi. Da una parte gli immigrati sembrano ritenere che gli sia dovuto più di quanto ricevono (menù vario, acqua calda e sigarette di marca) dall'altra gli italiani si aspettano comunque gratitudine per l'accoglienza: sembra che tutti resteranno delusi... È poi evidente che la fantomatica "integrazione" non avrà vita facile se deve nascere su queste reciproche ed erronee aspettative.
In partenza 22-Marzo-2011
Causa forza maggiore vado via per n giorni. Per i miei lettori ho comunque programmato alcuni post.
Abito 26-Marzo-2011
L'abito non fa il monaco, ma il nero lo snellisce.
Che sete! 29-Marzo-2011
Appena tornato a casa mi sono bevuto tre bicchieroni d'acqua gassata fredda di frigo (appena stappata) con una fetta di limone!
Incomprensione 2-Aprile-2011
Recentemente mi è capitato di vedere diverse interviste ai profughi da "smaltire" (vedi Smaltimento immigrati). Sono rimasto sorpreso per alcuni commenti: mi sarei aspettato (e trovato comprensibili) proteste sulla mancanza di posti letto o per la scarsità di servizi igenici e, in effetti, recriminazioni di questo genere non sono mancate. Però a tali affermazioni erano spesso associate colorite rivendicazioni. Cose del tipo: "sempre stesso cibo: pane, latte, uova, pasta...", "manca l'acqua calda" e "sigarette cattive". Tali affermazioni provocano un mezzo sorriso perplesso però sono anche l'indice di qualcosa d'altro che merita di essere evidenziato: si tratta della scollatura che c'è fra quello che gli immigrati si aspettano dall'Italia e quanto gli italiani si aspettano da essi. Da una parte gli immigrati sembrano ritenere che gli sia dovuto più di quanto ricevono (menù vario, acqua calda e sigarette di marca) dall'altra gli italiani si aspettano comunque gratitudine per l'accoglienza: sembra che tutti resteranno delusi... È poi evidente che la fantomatica "integrazione" non avrà vita facile se deve nascere su queste reciproche ed erronee aspettative.
giovedì 17 marzo 2011
L'italiano venuto male
Oggi, genetliaco dell'unità d'Italia, ammetto di essere in difficoltà a scrivere il mio post quotidiano: parlare della bellezza e dei successi dell'Italia unita sarebbe un fare qualcosa che non sento assolutamente e, come tale, intrinsecamente ipocrita; al contrario, parlarne male, mi pare di cattivo di gusto: quasi un dispetto per i miei lettori che potrebbero stare sinceramente festeggiando questo giorno...
In realtà ieri avevo avuto una buona idea che mi avrebbe sollevato da ogni imbarazzo: intervistare i miei amici olandesi per avere le loro opinioni sui pregi e difetti degli italiani. Sarebbe stato piuttosto in tema e, credo, divertente. Sfortunatamente era troppo tardi per organizzare il tutto.
Quindi per oggi ho deciso di scrivere qualcosa di diverso: non parlerò direttamente dei pregi o dei difetti dell'unità d'Italia ma del mio sentirmi (poco) italiano.
Ricordo quando guardavo le partite di calcio della nazionale da piccolo. Se si giocava all'estero non c'erano problemi ma, se eravamo in casa, l'inno della nazionale avversaria veniva sonoramente fischiato. Io allora, anche se ero da solo, diventavo tutto rosso per l'imbarazzo e dovevo lasciare la stanza fino all'inizio della partita. Ancora adesso il comportamento dei nostri tifosi mi irrita ma il mio stomaco è diventato più robusto e non devo più lasciare la stanza. E poi c'è il telecomando: posso limitarmi a togliere l'audio o a cambiare per un attimo canale...
Una volta, alle medie, andammo in gita in Germania: i miei compagni (e qualche professore!) facevano una grande confusione per strada cantando sguaiatamente e camminando a braccetto. Io seguivo, isolato da solo, a una decina di metri di distanza imbarazzato e conscio degli sguardi di disapprovazione dei nostri ospiti. Attraversando un parco ci imbattemmo in uno scoiattolo: il piccolino se ne stava tranquillo a rovistare fra le foglie non avendo paura delle persone. Evidentemente non conosceva gli italiani: i miei compagni iniziarono a rincorrerlo ridendo mentre io inorridivo.
Questo fu troppo: una matura signora tedesca alzò la voce facendo una partaccia al mio professore e subito l'allegra ciurma si zittì. Venendo via la signora mi incrociò: evidentemente era ovvio che io non avevo preso parte all'inseguimento così, proseguendo per la sua strada, mi sorrise e mi lodò (*1).
Sempre durante quegli anni mi capitò di passare qualche giorno con mio padre come ospiti di un suo amico inglese: mi disse che avevo un senso dell'umorismo molto inglese. Credo fosse un complimento.
Quando sono stato all'estero, a differenza dei miei connazionali che si ritrovavano in microcomunità di amici, io non ho legato molto con altri italiani. Il mio migliore amico era portoghese, poi c'era un olandese, poi un inglese e solo per quarto un italiano. A chi non ha vissuto all'estero potrebbe sembrare non particolarmente strano ma vi assicuro, per esperienza diretta, che è sommamente anomalo.
A questo punto, fossi un sociologo, ci starebbe bene una riflessione sull'identità di gruppo. Oppure, forse, uno psicologo sarebbe più appropriato per spiegare le mie difficoltà ad omologarmi alla normalità: per lo sfuggire cioè ciò che le persone comunemente cercano.
Ma non essendo né psicologo né sociologo mi astengo (*2).
Concludo quindi annunciando che gli orecchi all'Italia li tirerò in un altro post e, per adesso, mi limito a fare gli auguri a chi sente propria la festività odierna.
Nota (*1): Ovviamente mi parlò in tedesco quindi in teoria avrebbe potuto avermi detto “Sporco italiano torna fra i tuoi amici mafiosi...” ma non credo!
Nota (*2): In realtà devo andare a fare da mangiare...
In realtà ieri avevo avuto una buona idea che mi avrebbe sollevato da ogni imbarazzo: intervistare i miei amici olandesi per avere le loro opinioni sui pregi e difetti degli italiani. Sarebbe stato piuttosto in tema e, credo, divertente. Sfortunatamente era troppo tardi per organizzare il tutto.
Quindi per oggi ho deciso di scrivere qualcosa di diverso: non parlerò direttamente dei pregi o dei difetti dell'unità d'Italia ma del mio sentirmi (poco) italiano.
Ricordo quando guardavo le partite di calcio della nazionale da piccolo. Se si giocava all'estero non c'erano problemi ma, se eravamo in casa, l'inno della nazionale avversaria veniva sonoramente fischiato. Io allora, anche se ero da solo, diventavo tutto rosso per l'imbarazzo e dovevo lasciare la stanza fino all'inizio della partita. Ancora adesso il comportamento dei nostri tifosi mi irrita ma il mio stomaco è diventato più robusto e non devo più lasciare la stanza. E poi c'è il telecomando: posso limitarmi a togliere l'audio o a cambiare per un attimo canale...
Una volta, alle medie, andammo in gita in Germania: i miei compagni (e qualche professore!) facevano una grande confusione per strada cantando sguaiatamente e camminando a braccetto. Io seguivo, isolato da solo, a una decina di metri di distanza imbarazzato e conscio degli sguardi di disapprovazione dei nostri ospiti. Attraversando un parco ci imbattemmo in uno scoiattolo: il piccolino se ne stava tranquillo a rovistare fra le foglie non avendo paura delle persone. Evidentemente non conosceva gli italiani: i miei compagni iniziarono a rincorrerlo ridendo mentre io inorridivo.
Questo fu troppo: una matura signora tedesca alzò la voce facendo una partaccia al mio professore e subito l'allegra ciurma si zittì. Venendo via la signora mi incrociò: evidentemente era ovvio che io non avevo preso parte all'inseguimento così, proseguendo per la sua strada, mi sorrise e mi lodò (*1).
Sempre durante quegli anni mi capitò di passare qualche giorno con mio padre come ospiti di un suo amico inglese: mi disse che avevo un senso dell'umorismo molto inglese. Credo fosse un complimento.
Quando sono stato all'estero, a differenza dei miei connazionali che si ritrovavano in microcomunità di amici, io non ho legato molto con altri italiani. Il mio migliore amico era portoghese, poi c'era un olandese, poi un inglese e solo per quarto un italiano. A chi non ha vissuto all'estero potrebbe sembrare non particolarmente strano ma vi assicuro, per esperienza diretta, che è sommamente anomalo.
A questo punto, fossi un sociologo, ci starebbe bene una riflessione sull'identità di gruppo. Oppure, forse, uno psicologo sarebbe più appropriato per spiegare le mie difficoltà ad omologarmi alla normalità: per lo sfuggire cioè ciò che le persone comunemente cercano.
Ma non essendo né psicologo né sociologo mi astengo (*2).
Concludo quindi annunciando che gli orecchi all'Italia li tirerò in un altro post e, per adesso, mi limito a fare gli auguri a chi sente propria la festività odierna.
Nota (*1): Ovviamente mi parlò in tedesco quindi in teoria avrebbe potuto avermi detto “Sporco italiano torna fra i tuoi amici mafiosi...” ma non credo!
Nota (*2): In realtà devo andare a fare da mangiare...
mercoledì 16 marzo 2011
Sarcicce della nonnina
La seguente ricetta ha un'origine particolare. Mi furono indicati a memoria solamente alcuni ingredienti (in pratica salsicce, pomodoro, salvia e ramerino) senza alcuna indicazione sulla modalità di preparazione.
Chi mi ha “descritto” questa ricetta infatti non l'aveva mai preparata di persona ma si era solo limitato a gustarne i risultati una quarantina di anni prima...
Basandomi sui pochi elementi ricevuti ho così creato la mia seguente versione.
Ingredienti per 2 persone (porzioni abbondanti)
Istruzioni
Questo piatto ha sempre avuto un enorme successo (*3) però è importante sottolineare che moltissimo dipende dalle salsicce: se queste sono cattive inevitabilmente il risultato sarà deludente...
Nota (*1): Come sempre queste quantità sono indicative: molto dipende dal gusto personale e dalla dimensione delle foglie (io intendo foglie di dimensioni medie e rametti di ramerino medio piccoli)!
Nota (*2): Se ci si accorge che il pomodoro rischia di bruciare aggiungere un altro po' d'acqua: se dopo 20 minuti il sugo è troppo liquido lasciar cuocere gli ultimi 5 minuti senza coperchio.
Nota (*3): Apparentemente la mia versione è molto meglio di quella della “nonnina”...
Chi mi ha “descritto” questa ricetta infatti non l'aveva mai preparata di persona ma si era solo limitato a gustarne i risultati una quarantina di anni prima...
Basandomi sui pochi elementi ricevuti ho così creato la mia seguente versione.
Ingredienti per 2 persone (porzioni abbondanti)
- 4 salsicce
- sale & pepe
- 3 foglie alloro, 4 di salvia e 4 rametti di ramerino (*1)
- 1 scatola di pomodoro
- 1 cipolla media
- olio
- 1/2 bicchiere di vino rosso
- Opzionale: 1 chiodo di garofano
Istruzioni
- Preparazione salsicce:
- Dividere ogni salsiccia in 4 pezzi
- Mettere le salsicce così tagliate in pentola (senza olio) a fuoco alto per 5/10 minuti
- Lo scopo è quello di “sgrassare” le salsicce: se si scottano un po' non importa
- Quando si è formata una pozzetta di grasso scolare le salsicce
- Mentre le salsicce stanno “sgrassandosi” tritare la cipolla
- Quando la salsiccia è pronta (tolto il grasso in eccesso) aggiungere la cipolla tritata con un filo d'olio (poco, tanto le salsicce un po' di grasso lo ributteranno comunque fuori...). Soffriggere a fuoco medio.
- Mentre la cipolla e le salsicce soffriggono aggiungere anche la salvia, l'allora, il ramerino e un po' di pepe
- Opzionale: Tritare finemente il chiodo di garofano e aggiungerlo alle salsicce
- Dopo circa 5 minuti (attenti a non bruciare la cipolla) aggiungere mezzo bicchiere di vino rosso: alzare il fuoco fino a farlo evaporare.
- Aggiungere una lattina di pelati con un dito d'acqua.
- Salare (due pizzichi bastano)
- Mettere il fuoco al minimo, coprire la pentola e far cuocere per 20-25 minuti (*2)
Questo piatto ha sempre avuto un enorme successo (*3) però è importante sottolineare che moltissimo dipende dalle salsicce: se queste sono cattive inevitabilmente il risultato sarà deludente...
Nota (*1): Come sempre queste quantità sono indicative: molto dipende dal gusto personale e dalla dimensione delle foglie (io intendo foglie di dimensioni medie e rametti di ramerino medio piccoli)!
Nota (*2): Se ci si accorge che il pomodoro rischia di bruciare aggiungere un altro po' d'acqua: se dopo 20 minuti il sugo è troppo liquido lasciar cuocere gli ultimi 5 minuti senza coperchio.
Nota (*3): Apparentemente la mia versione è molto meglio di quella della “nonnina”...
martedì 15 marzo 2011
Simulazioni nucleari
Oggi voglio dire la mia sul dibattito “nucleare sì/nucleare no”.
Forse dovrei aspettare che il clamore degli eventi Giapponesi diminuisse per non esserne influenzato. Ma il fatto è che tali eventi confermano la teoria che già avevo e che andrò ad esporre quindi, in realtà, si tratta di utili esempi.
Premetto che in questo post tratterò solo l'aspetto “sicurezza” del nucleare: sono consapevole che il dibattito “nucleare sì/nucleare no” è più complesso (ad esempio quanto economicamente sia conveniente o se le alternative non siano più promettenti) ma la sicurezza è in questo caso un fattore essenziale e, a mio avviso, il predominante.
Immaginiamoci di essere qualche anno nel futuro e di assistere a due presentazioni: la nuova autovettura Fiad 555 e la nuovissima centrale nucleare dell'Aquila. Il presentatore della nuova macchina annuncia che è sicurissima e lo stesso ci viene detto della centrale nucleare.
Dove sta la differenza?
La differenza sta nei test eseguiti: con l'autovettura è possibile fare numerosi prove di incidenti reali mettendo all'interno dell'abitacolo un manichino. Grazie a questi esperimenti è possibile scoprire, ad esempio, che la portiera è troppo fragile e, con una piccola modifica al progetto, risolvere questo problema.
Ma per la centrale nucleare quanti esperimenti di catastrofe sono stati fatti dal vivo? Cioè, quante reattori nucleari sono stati fatti esplodere per verificare il funzionamento in situazioni di emergenza? Ovviamente nessuno: un simile esperimento è troppo costoso/pericoloso.
Con le centrali nucleari ci si ferma al passo precedente la prova reale: ci si ferma cioè alle simulazioni. Le simulazioni possono essere estremamente accurate e affidabili e la teoria che c'è dietro è tale che possiamo ritenerle decisamente affidabili.
Però c'è un problema.
Il problema non è tanto nelle simulazioni quanto nell'uomo. Più precisamente nell'incapacità umana di immaginarsi l'imprevedibile, di intuire l'inaspettato (*1).
Questo limite si riflette anche nelle simulazioni create dall'uomo, in esse manca l'elemento imponderabile che poi, a volte, è presente nelle situazioni reali e può capovolgere le cose (*2).
Per questo, una volta successo un disastro, gli esperti ci dicono che hanno imparato moltissimo dagli errori commessi: è vero, è così, hanno imparato moltissimo e i prossimi progetti/simulazioni terranno conto dei nuovi elementi. L'errore fondamentale è però assumere che non ci sia altro che possa andare male, che insomma, dopo l'ultimo disastro, si sia visto “tutto” e che non ci sia niente altro che possa andare storto.
Tanto per fare un esempio, scaturito dalla mia fantasia maligna, secondo voi quante simulazioni prevedono l'attentato terroristico (*3) o il deliberato sabotaggio di alcuni sistemi vitali di una centrale?
Non ho idea ma sospetto fortemente nessuna. E perché? Solamente perché ancora nessuna organizzazione terroristica, che io sappia, ha tentato niente di simile... Se tale eventualità si dovesse un giorno malauguratamente avverare allora, sono sicuro, i progetti delle nuove centrali prevederanno anche questo aspetto ma, al momento...
Sono sicuro che, quando agli inizi degli anni '70 la centrale di Fukushima fu inaugurata, i tecnici assicurassero che era stata progettata per resistere a un terremoto di intensità 10 della scala Richter (*3); che la sicurezza era tale che, la probabilità di incidente dello 0.000000001% annuo, equivaleva statisticamente a un incidente ogni 100000 anni. Poi, guarda che sfortuna, dopo soli 40 anni circa...
Concludendo: a mio avviso il problema della sicurezza delle centrali nucleari è strettamente connesso al fatto che non è possibile fare il centinaio di test reali catastrofici che sarebbero necessari per avere uno spettro realistico dei possibili problemi di cui bisognerebbe tener conto.
Nello specifico della situazione attuale italiana c'è poi un altro elemento che potrebbe impattare sulla sicurezza: la corruzione e la criminalità organizzata.
Altri esempi partoriti dalla mia fantasia maligna: il supercemento 100 volte più resistente (e costoso) di quello normale è preparato con sabbia di mare e, dopo 5 anni, alla prima scossa di magnitudine 3, si aprono crepe da tutte le parti. Oppure: le scorie nucleari vengono smaltite dalla criminalità organizzata che le seppellisce a 50 cm di profondità nel giardinetto di una scuola elementare.
Insomma, al referendum, io voterò SÌ.
Nota (*1): Per questo motivo non c'è nessun uomo in grado di vincere sempre a poker o di predire esattamente l'andamento della borsa.
Nota (*2): Questo limite delle simulazioni è evidente in quelle create per prevedere l'andamento borsistico: in situazioni “normali” riescono a predire ragionevolmente bene l'evoluzione dei prezzi ma, se succede qualcosa di inaspettato (e questo nel mercato finanziario è molto frequente), alcuni risultati vengono completamente sballati.
Edited:
Nota (*3): Un lettore ha postato delle precisazioni interessanti: secondo lui gli attacchi terroristici sono in realtà presi in considerazione e la centrale di Fukushima era stata progettata per resistere a terremoti di intensità 8.2. Comunque suggerisco a tutti la lettura completa di questo suo commento (cliccare su "commenti" per vederlo...)
Forse dovrei aspettare che il clamore degli eventi Giapponesi diminuisse per non esserne influenzato. Ma il fatto è che tali eventi confermano la teoria che già avevo e che andrò ad esporre quindi, in realtà, si tratta di utili esempi.
Premetto che in questo post tratterò solo l'aspetto “sicurezza” del nucleare: sono consapevole che il dibattito “nucleare sì/nucleare no” è più complesso (ad esempio quanto economicamente sia conveniente o se le alternative non siano più promettenti) ma la sicurezza è in questo caso un fattore essenziale e, a mio avviso, il predominante.
Immaginiamoci di essere qualche anno nel futuro e di assistere a due presentazioni: la nuova autovettura Fiad 555 e la nuovissima centrale nucleare dell'Aquila. Il presentatore della nuova macchina annuncia che è sicurissima e lo stesso ci viene detto della centrale nucleare.
Dove sta la differenza?
La differenza sta nei test eseguiti: con l'autovettura è possibile fare numerosi prove di incidenti reali mettendo all'interno dell'abitacolo un manichino. Grazie a questi esperimenti è possibile scoprire, ad esempio, che la portiera è troppo fragile e, con una piccola modifica al progetto, risolvere questo problema.
Ma per la centrale nucleare quanti esperimenti di catastrofe sono stati fatti dal vivo? Cioè, quante reattori nucleari sono stati fatti esplodere per verificare il funzionamento in situazioni di emergenza? Ovviamente nessuno: un simile esperimento è troppo costoso/pericoloso.
Con le centrali nucleari ci si ferma al passo precedente la prova reale: ci si ferma cioè alle simulazioni. Le simulazioni possono essere estremamente accurate e affidabili e la teoria che c'è dietro è tale che possiamo ritenerle decisamente affidabili.
Però c'è un problema.
Il problema non è tanto nelle simulazioni quanto nell'uomo. Più precisamente nell'incapacità umana di immaginarsi l'imprevedibile, di intuire l'inaspettato (*1).
Questo limite si riflette anche nelle simulazioni create dall'uomo, in esse manca l'elemento imponderabile che poi, a volte, è presente nelle situazioni reali e può capovolgere le cose (*2).
Per questo, una volta successo un disastro, gli esperti ci dicono che hanno imparato moltissimo dagli errori commessi: è vero, è così, hanno imparato moltissimo e i prossimi progetti/simulazioni terranno conto dei nuovi elementi. L'errore fondamentale è però assumere che non ci sia altro che possa andare male, che insomma, dopo l'ultimo disastro, si sia visto “tutto” e che non ci sia niente altro che possa andare storto.
Tanto per fare un esempio, scaturito dalla mia fantasia maligna, secondo voi quante simulazioni prevedono l'attentato terroristico (*3) o il deliberato sabotaggio di alcuni sistemi vitali di una centrale?
Non ho idea ma sospetto fortemente nessuna. E perché? Solamente perché ancora nessuna organizzazione terroristica, che io sappia, ha tentato niente di simile... Se tale eventualità si dovesse un giorno malauguratamente avverare allora, sono sicuro, i progetti delle nuove centrali prevederanno anche questo aspetto ma, al momento...
Sono sicuro che, quando agli inizi degli anni '70 la centrale di Fukushima fu inaugurata, i tecnici assicurassero che era stata progettata per resistere a un terremoto di intensità 10 della scala Richter (*3); che la sicurezza era tale che, la probabilità di incidente dello 0.000000001% annuo, equivaleva statisticamente a un incidente ogni 100000 anni. Poi, guarda che sfortuna, dopo soli 40 anni circa...
Concludendo: a mio avviso il problema della sicurezza delle centrali nucleari è strettamente connesso al fatto che non è possibile fare il centinaio di test reali catastrofici che sarebbero necessari per avere uno spettro realistico dei possibili problemi di cui bisognerebbe tener conto.
Nello specifico della situazione attuale italiana c'è poi un altro elemento che potrebbe impattare sulla sicurezza: la corruzione e la criminalità organizzata.
Altri esempi partoriti dalla mia fantasia maligna: il supercemento 100 volte più resistente (e costoso) di quello normale è preparato con sabbia di mare e, dopo 5 anni, alla prima scossa di magnitudine 3, si aprono crepe da tutte le parti. Oppure: le scorie nucleari vengono smaltite dalla criminalità organizzata che le seppellisce a 50 cm di profondità nel giardinetto di una scuola elementare.
Insomma, al referendum, io voterò SÌ.
Nota (*1): Per questo motivo non c'è nessun uomo in grado di vincere sempre a poker o di predire esattamente l'andamento della borsa.
Nota (*2): Questo limite delle simulazioni è evidente in quelle create per prevedere l'andamento borsistico: in situazioni “normali” riescono a predire ragionevolmente bene l'evoluzione dei prezzi ma, se succede qualcosa di inaspettato (e questo nel mercato finanziario è molto frequente), alcuni risultati vengono completamente sballati.
Edited:
Nota (*3): Un lettore ha postato delle precisazioni interessanti: secondo lui gli attacchi terroristici sono in realtà presi in considerazione e la centrale di Fukushima era stata progettata per resistere a terremoti di intensità 8.2. Comunque suggerisco a tutti la lettura completa di questo suo commento (cliccare su "commenti" per vederlo...)
sabato 12 marzo 2011
Protonotario
Breve premessa: oltre ai libri mi sono appropriato del computer di mio zio. Un PC di qualche anno fa sul quale gli avevo installato Ubuntu. Una volta acceso mi sono trovato un problema: qual era la password? Con un epico sforzo di memoria (io stesso avevo configurato il computer pochi anni prima) sono riuscito a ricordarmela. Infatti lo zio, col suo background storico, aveva lasciato degli indizi.
Quesito per il lettore: se il computer si chiama "taddeo" e l'utente si chiama "federico2" allora qual è la password?
...
Pensateci!
...
Ovviamente "Sessa"! Come tutti sanno infatti Taddeo Sessa fu il protonotario di Federico II...
Delusione 14-Marzo-2011
Ultimamente ero molto soddisfatto perché il mio blog aveva avuto un forte incremento di contatti.
Ieri ho scoperto che al MIO browser era scaduto il cookie che faceva sì che non venisse conteggiato: ci sono rimasto male a scoprire che ero io il fervente lettore di me stesso...
Sardi e risardi storici 14-Marzo-2011
Ho trovato la seguente descrizione della situazione mondiale del tempo in uno dei tanti libri dello zio:
"... Guardando indietro, è chiaro che avremmo dovuto prevedere che stessero per arrivare grossi problemi: la sovrappopolazione, la fine di grandi aree sottosviluppate produttrici di alimenti, l'aspra concorrenza determinata dalla diffusione dell'industrialismo in un certo numero di paesi tutti assetati di potere, l'eccitazione provocata dalle idee occidentali negli intellettuali appartenenti a paesi con altre tradizioni e altre realtà. ..."
Esercizio per il lettore occasionale e indefesso: secondo voi a quale periodo si sta facendo riferimento?
Non siate timidi! Postate la vostra opinione magari in forma anonima!
La prossima settimana svelerò da dove è tratta la citazione...
Cascading Style Shit 15-Marzo-2011
Odio il CSS!!! Fa sempre quello che vuole lui e mai quello che voglio io!
Anche le cose più semplici mi richiedono decine di tentativi più o meno casuali prima di indovinare la combinazione giusta...
E non è colpa mia: perché non ho problemi con php, Java, C, assembler, Javascript, SQL, JQuery, Visual Basic o qualsiasi altro linguaggio in cui mi sia imbattutto ma solo col CSS?
Forse perché il CSS segue delle regole imprevedibili e spesso inconsistenti?
Quello che mi irrita è che ci sono persone che riescono a cavarci le gambe: comunque le loro soluzioni hanno più qualcosa di artistico che di matematico. "Così non si fa perché è brutto, in questa maniera invece è più elegante..." dicono...
Imperatori e arianesimo 17-Marzo-2011
La seguente sarebbe proprio una domanda adatta a mio zio. Ci avrebbe sguazzato ben, bene partendo da Erodoto, accennando a Cesare e citando uno sconosciuto (ai più) sufi del XIII secolo...
Poi, alla mia insistenza di tornare al nocciolo della domanda, avrebbe iniziato a far convergere tutti i fatti precedentemente esposti verso il concetto che vedeva come chiave per capire la questione...
Comunque la domanda è la seguente: perché l'imperatore Costanzo era così favorevole all'arianesimo tanto da non esitare a esiliare papa Liberio quando questi si rifiutò di condannare come eretico Atanasio (uno dei più acerrimi nemici dell'arianesimo)? Cioè che vantaggio (sono cinico) ne traeva, o pensava di trarne, Costanzo dal trionfo dell'arianesimo?
Sospetto che il motivo possa essere legato al fatto che i goti, a quel tempo stanziati aldilà del Danubio, fossero seguaci dell'arianesimo ma non ne sono sicuro...
Quesito per il lettore: se il computer si chiama "taddeo" e l'utente si chiama "federico2" allora qual è la password?
...
Pensateci!
...
Ovviamente "Sessa"! Come tutti sanno infatti Taddeo Sessa fu il protonotario di Federico II...
Delusione 14-Marzo-2011
Ultimamente ero molto soddisfatto perché il mio blog aveva avuto un forte incremento di contatti.
Ieri ho scoperto che al MIO browser era scaduto il cookie che faceva sì che non venisse conteggiato: ci sono rimasto male a scoprire che ero io il fervente lettore di me stesso...
Sardi e risardi storici 14-Marzo-2011
Ho trovato la seguente descrizione della situazione mondiale del tempo in uno dei tanti libri dello zio:
"... Guardando indietro, è chiaro che avremmo dovuto prevedere che stessero per arrivare grossi problemi: la sovrappopolazione, la fine di grandi aree sottosviluppate produttrici di alimenti, l'aspra concorrenza determinata dalla diffusione dell'industrialismo in un certo numero di paesi tutti assetati di potere, l'eccitazione provocata dalle idee occidentali negli intellettuali appartenenti a paesi con altre tradizioni e altre realtà. ..."
Esercizio per il lettore occasionale e indefesso: secondo voi a quale periodo si sta facendo riferimento?
Non siate timidi! Postate la vostra opinione magari in forma anonima!
La prossima settimana svelerò da dove è tratta la citazione...
Cascading Style Shit 15-Marzo-2011
Odio il CSS!!! Fa sempre quello che vuole lui e mai quello che voglio io!
Anche le cose più semplici mi richiedono decine di tentativi più o meno casuali prima di indovinare la combinazione giusta...
E non è colpa mia: perché non ho problemi con php, Java, C, assembler, Javascript, SQL, JQuery, Visual Basic o qualsiasi altro linguaggio in cui mi sia imbattutto ma solo col CSS?
Forse perché il CSS segue delle regole imprevedibili e spesso inconsistenti?
Quello che mi irrita è che ci sono persone che riescono a cavarci le gambe: comunque le loro soluzioni hanno più qualcosa di artistico che di matematico. "Così non si fa perché è brutto, in questa maniera invece è più elegante..." dicono...
Imperatori e arianesimo 17-Marzo-2011
La seguente sarebbe proprio una domanda adatta a mio zio. Ci avrebbe sguazzato ben, bene partendo da Erodoto, accennando a Cesare e citando uno sconosciuto (ai più) sufi del XIII secolo...
Poi, alla mia insistenza di tornare al nocciolo della domanda, avrebbe iniziato a far convergere tutti i fatti precedentemente esposti verso il concetto che vedeva come chiave per capire la questione...
Comunque la domanda è la seguente: perché l'imperatore Costanzo era così favorevole all'arianesimo tanto da non esitare a esiliare papa Liberio quando questi si rifiutò di condannare come eretico Atanasio (uno dei più acerrimi nemici dell'arianesimo)? Cioè che vantaggio (sono cinico) ne traeva, o pensava di trarne, Costanzo dal trionfo dell'arianesimo?
Sospetto che il motivo possa essere legato al fatto che i goti, a quel tempo stanziati aldilà del Danubio, fossero seguaci dell'arianesimo ma non ne sono sicuro...
Camiti
In questi giorni sto ancora sistemando i libri dello zio. Prossimamente dovrò comprare una nuova libreria grande perché, al momento, non ho proprio posto sufficiente.
Comunque mi diverto a “spilluzzicare” questo e quel libretto. Stamani me ne è capitato sotto gli occhi uno, rilegato con anonima carta azzurra, e con scritto a penna “Geografia” e sotto il nome di mio padre. Incuriosito l'ho spulciato attentamente: si tratta di un libro per la scuola media intitolato “La nostra Terra” di Sestini, pubblicato nel 1948.
È molto carino: zeppo di illustrazioni e nozioni interessanti. Non solo di geografia ma anche di astronomia, lingue e religioni del mondo, clima, piante e animali: insomma, sembra l'equivalente di un libro di scienze vagamente orientato alla geografia.
A pagina 160 mi è cascato l'occhio su un capitoletto dal titolo "vagamente" razzista: “I Negri dell'Africa”.
Ho iniziato a leggerlo e poi non ho potuto più fermarmi...
Lo ripropongo qui di seguito e poi lo commento.
I Negri dell'Africa
Il Negro non è un uomo qualsiasi dalla pelle bruno-scura o quasi nera. Prendete un Europeo, tingetelo di nero da capo ai piedi, abbigliatelo solo di qualche straccio o d'un gonnellino di foglie attorno alle reni, ponetegli in mano scudo e lancia come le armi usate da molte genti africane: lo distinguerete ugualmente, senza sforzo alcuno, dal Negro. Infatti questi differisce dagli uomini di altre razze, oltreché per il colore della pelle, per tante fattezze del corpo e della faccia.
Osserviamolo bene, questo Negro scurissimo. La sua statura è piuttosto alta e la corporatura snella. Curiosi davvero i suoi nerissimi capelli: son tanti batuffoli ritorti e sembrano coprire di lana la testa stretta e allungata. Se lo guardiamo in viso ci accorgiamo che la parte bassa della faccia sporge in avanti; e che naso largo e schiacciato, che labbra enormi, come arrovesciate in fuori!
Attenzione a non lasciarsi traviare dall'idea che il Negro sia un essere inferiore agli altri uomini. No, egli è un uomo come tutti, coi suoi sentimenti, con la sua ragione, le sue inclinazioni ed aggiungiamo pure i suoi capricci. Certo, egli differisce da noi Europei nel modo di pensare e d'apprendere, nel giudicare le cose, nel commuoversi o nell'irritarsi. L'animo del Negro ci sembra quello d'un fanciullone; l'impulso domina questo uomo, assai più che la riflessione. Allegro, leggiero e imprevidente, si dà volentieri a ingenui passatempi ed alla conversazione, anche per ore e ore di seguito. Ha gran disposizione per la musica, il canto e la danza. Quanto a lavorare... è un altro conto: si lascia vincere facilmente dalla pigrizia, se uno stimolo non lo spinge di continuo.
I Negri hanno credenze religiose primitive e sono molto superstiziosi; credono ciecamente negli stregoni e nelle loro arti magiche. Ma sanno anche organizzarsi in tribù, gruppi governati da capi, e non mancano di seguire certe leggi, che non sono scritte come le nostre, ma tramandate oralmente; e chi trasgredisce è punito, magari con molta severità e crudeltà.
Mi ha colpito la descrizione fisica dell'africano: quasi si trattasse di uno strano animale dello zoo.
Non so i testi attuali ma, già ai miei tempi, i libri scolastici insistevano sulle somiglianze e non sulle differenze!
Ma la parte che più colpisce viene dopo: prima il libro premette che l'africano non è assolutamente inferiore agli altri uomini ma poi lo descrive come un “fanciullone”, poco sveglio, pigro e impulsivo!
Appena possibile ho telefonato a mio padre per schernirlo. Mi aspettavo che mi dicesse qualcosa del tipo “Sai, a quei tempi... non è come oggi...” o cose di questo genere.
Invece mi ha sorpreso perché lui era più stupito di me! Mi ha detto “Ma come, davvero c'erano scritte queste sciocchezze?!”
Buffo perché io gli anni del dopoguerra me li immaginavo permeati da questa sorta di razzismo ingenuo e inconsapevole; invece mio padre, che quegli anni li ha vissuti, è caduto dalle nuvole: evidentemente il tempo e l'esperienza riescono a cancellare le idee sbagliate pur se imparate a scuola in tenera età.
Vero anche che mio padre studiava poco...
Comunque mi diverto a “spilluzzicare” questo e quel libretto. Stamani me ne è capitato sotto gli occhi uno, rilegato con anonima carta azzurra, e con scritto a penna “Geografia” e sotto il nome di mio padre. Incuriosito l'ho spulciato attentamente: si tratta di un libro per la scuola media intitolato “La nostra Terra” di Sestini, pubblicato nel 1948.
È molto carino: zeppo di illustrazioni e nozioni interessanti. Non solo di geografia ma anche di astronomia, lingue e religioni del mondo, clima, piante e animali: insomma, sembra l'equivalente di un libro di scienze vagamente orientato alla geografia.
A pagina 160 mi è cascato l'occhio su un capitoletto dal titolo "vagamente" razzista: “I Negri dell'Africa”.
Ho iniziato a leggerlo e poi non ho potuto più fermarmi...
Lo ripropongo qui di seguito e poi lo commento.
I Negri dell'Africa
Il Negro non è un uomo qualsiasi dalla pelle bruno-scura o quasi nera. Prendete un Europeo, tingetelo di nero da capo ai piedi, abbigliatelo solo di qualche straccio o d'un gonnellino di foglie attorno alle reni, ponetegli in mano scudo e lancia come le armi usate da molte genti africane: lo distinguerete ugualmente, senza sforzo alcuno, dal Negro. Infatti questi differisce dagli uomini di altre razze, oltreché per il colore della pelle, per tante fattezze del corpo e della faccia.
Osserviamolo bene, questo Negro scurissimo. La sua statura è piuttosto alta e la corporatura snella. Curiosi davvero i suoi nerissimi capelli: son tanti batuffoli ritorti e sembrano coprire di lana la testa stretta e allungata. Se lo guardiamo in viso ci accorgiamo che la parte bassa della faccia sporge in avanti; e che naso largo e schiacciato, che labbra enormi, come arrovesciate in fuori!
Attenzione a non lasciarsi traviare dall'idea che il Negro sia un essere inferiore agli altri uomini. No, egli è un uomo come tutti, coi suoi sentimenti, con la sua ragione, le sue inclinazioni ed aggiungiamo pure i suoi capricci. Certo, egli differisce da noi Europei nel modo di pensare e d'apprendere, nel giudicare le cose, nel commuoversi o nell'irritarsi. L'animo del Negro ci sembra quello d'un fanciullone; l'impulso domina questo uomo, assai più che la riflessione. Allegro, leggiero e imprevidente, si dà volentieri a ingenui passatempi ed alla conversazione, anche per ore e ore di seguito. Ha gran disposizione per la musica, il canto e la danza. Quanto a lavorare... è un altro conto: si lascia vincere facilmente dalla pigrizia, se uno stimolo non lo spinge di continuo.
I Negri hanno credenze religiose primitive e sono molto superstiziosi; credono ciecamente negli stregoni e nelle loro arti magiche. Ma sanno anche organizzarsi in tribù, gruppi governati da capi, e non mancano di seguire certe leggi, che non sono scritte come le nostre, ma tramandate oralmente; e chi trasgredisce è punito, magari con molta severità e crudeltà.
Mi ha colpito la descrizione fisica dell'africano: quasi si trattasse di uno strano animale dello zoo.
Non so i testi attuali ma, già ai miei tempi, i libri scolastici insistevano sulle somiglianze e non sulle differenze!
Ma la parte che più colpisce viene dopo: prima il libro premette che l'africano non è assolutamente inferiore agli altri uomini ma poi lo descrive come un “fanciullone”, poco sveglio, pigro e impulsivo!
Appena possibile ho telefonato a mio padre per schernirlo. Mi aspettavo che mi dicesse qualcosa del tipo “Sai, a quei tempi... non è come oggi...” o cose di questo genere.
Invece mi ha sorpreso perché lui era più stupito di me! Mi ha detto “Ma come, davvero c'erano scritte queste sciocchezze?!”
Buffo perché io gli anni del dopoguerra me li immaginavo permeati da questa sorta di razzismo ingenuo e inconsapevole; invece mio padre, che quegli anni li ha vissuti, è caduto dalle nuvole: evidentemente il tempo e l'esperienza riescono a cancellare le idee sbagliate pur se imparate a scuola in tenera età.
Vero anche che mio padre studiava poco...
giovedì 10 marzo 2011
Impopolare
È di pochi giorni fa, in opportuna coincidenza con la festa della Mimosa, la nuova proposta di legge passata alla Camera: introdurre l'obbligo del 30% di composizione femminile nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa. Se queste, a partire dal 2015 (mi pare), non si adeguano allora riceveranno un “avvertimento”, poi una multa e, se rimangano inadempienti, il consiglio d'amministrazione verrà sciolto automaticamente.
Sì, ho scritto bene: ho ritrovato l'articolo del corriere.it (Quote rosa)...
Legge rivoluzionaria. Parlamentari di destra e di sinistra si abbracciano. Le ministresse si spintonano davanti alle telecamere per reclamare la loro parte di gloria. Plausi istituzionali di autocompiacimento.
Io però non mi unisco a questi cori di giubilo.
Le donne sono più o meno discriminate sul lavoro? Vero.
Questa legge favorirà le donne? Vero.
E allora perché sono contro questa legge? Perché è ingiusta.
Per vari motivi.
Il principale è che questa legge, imponendo dall'alto il sesso di un determinato numero di persone, è discriminatoria. A mio avviso non ha senso combattere una discriminazione con un'altra.
Secondo, il partire dall'alto, dai consigli di amministrazione, è ipocrita. Tutti i politici si fanno belli davanti alle telecamere ma poi, per la maggior parte delle donne, non cambierà niente. Sì, avremo il 30% dei manager donna, ma il problema (ad esempio!) di dove lasciare i bambini piccoli per le donne che lavorano sarà risolto? Io penso di no.
Terzo, il problema fondamentale del mondo del lavoro (*1) è la mancanza di meritocrazia. Se la nuova legge avesse richiesto che il 30% dei posti nei consigli di amministrazione fosse riservato ai meritevoli (indipendentemente dal sesso) non avrei avuto niente da dire! Ovviamente questa è una provocazione in quanto è impossibile stabilire dei criteri generali per definire chi è meritevole. Stando così le cose però, prevedo un forte aumento di figlie di papà e igieniste dentali nei consigli di amministrazione.
Sono un maschilista rozzo e dalle vedute ristrette? No: come ho scritto riconosco che le donne sono discriminate e che bisogna fare qualcosa ma, semplicemente, non credo che quella proposta sia la maniera giusta di procedere.
Anzi la ECJ è ancora più draconiana di me sull'abolizione della discriminazione uomo/donna (cioè il motivo principale per cui considero questa legge 'quote rosa' ingiusta).
E cosa è la ECJ? Un'oscura associazione maschilista tunisina? No: si tratta della European Court of Justice. Recentemente la ECJ ha preso una decisione molto interessante e che, prima o poi, dovrebbe ripercuotersi anche in Italia. Stranamente non ne ho trovato traccia sui giornali italiani (chissà perché...) ma solo sul sito della bbc (vedi Insurance gender ruling and you).
Secondo l'articolo, una recente decisione dell'ECJ ha dichiarato illegale che le assicurazioni per l'auto abbiano costi diversi in base al sesso dell'assicurato. Il motivo è che statisticamente le donne (fra i 20 e 30 anni) hanno molti meno incidenti dei pari età uomini: per questo il costo per assicurare l'auto era notevolmente inferiore per UNA neopatentata che per UN neopatentato.
Non solo. Anche le pensioni non potranno avere importi mensili differenti in base alla diversa attesa di durata della vita di uomini e donne. Non so in Italia come funziona ma in Inghilterra, a parità di contributi versati, un uomo prende una pensione un po' più alta di una donna perché statisticamente vivrà meno a lungo.
A mio avviso quando c'è in ballo la statistica non si può parlare di discriminazione ma di matematica. Ma la ECJ, formata da uomini e donne molto più saggi di me, ha deciso così.
A maggior ragione, la nuova legge italiana che non ha nemmeno l'appoggio della statistica per giustificare l'imposizione delle quote rosa, mi pare destinata a essere bocciata dalla ECJ appena qualcuno vi farà ricorso (*2).
Vedremo: se son rose fioriranno (e comunque le mimose torneranno il prossimo 8 marzo (*3)...)
Nota (*1): Beh, probabilmente il problema più grave del mondo del lavoro italiano è il suo alto costo visto che, su di esso, ricadono le inefficienze della nostra amministrazione pubblica in senso lato. Comunque anche la mancanza di meritocrazia è molto grave!
Nota (*2): E poi sbaglio o sono ormai molti anni che l'Europa ci “brontola” per la diversa età alla quale uomini e donne possono andare in pensione in Italia?
Nota (*3): Spiego questa mia frase forse troppo criptica. Con la solita ipocrisia italiana si parla dei problemi del mondo femminile solo intorno all'8 marzo. I politici esprimono i loro buoni propositi, gli uomini regalano mimose e le donne festeggiano. Poi non cambia nulla e avanti come prima... Leggere anche il mio vecchio post Sono un boscimane come raffronto.
Sì, ho scritto bene: ho ritrovato l'articolo del corriere.it (Quote rosa)...
Legge rivoluzionaria. Parlamentari di destra e di sinistra si abbracciano. Le ministresse si spintonano davanti alle telecamere per reclamare la loro parte di gloria. Plausi istituzionali di autocompiacimento.
Io però non mi unisco a questi cori di giubilo.
Le donne sono più o meno discriminate sul lavoro? Vero.
Questa legge favorirà le donne? Vero.
E allora perché sono contro questa legge? Perché è ingiusta.
Per vari motivi.
Il principale è che questa legge, imponendo dall'alto il sesso di un determinato numero di persone, è discriminatoria. A mio avviso non ha senso combattere una discriminazione con un'altra.
Secondo, il partire dall'alto, dai consigli di amministrazione, è ipocrita. Tutti i politici si fanno belli davanti alle telecamere ma poi, per la maggior parte delle donne, non cambierà niente. Sì, avremo il 30% dei manager donna, ma il problema (ad esempio!) di dove lasciare i bambini piccoli per le donne che lavorano sarà risolto? Io penso di no.
Terzo, il problema fondamentale del mondo del lavoro (*1) è la mancanza di meritocrazia. Se la nuova legge avesse richiesto che il 30% dei posti nei consigli di amministrazione fosse riservato ai meritevoli (indipendentemente dal sesso) non avrei avuto niente da dire! Ovviamente questa è una provocazione in quanto è impossibile stabilire dei criteri generali per definire chi è meritevole. Stando così le cose però, prevedo un forte aumento di figlie di papà e igieniste dentali nei consigli di amministrazione.
Sono un maschilista rozzo e dalle vedute ristrette? No: come ho scritto riconosco che le donne sono discriminate e che bisogna fare qualcosa ma, semplicemente, non credo che quella proposta sia la maniera giusta di procedere.
Anzi la ECJ è ancora più draconiana di me sull'abolizione della discriminazione uomo/donna (cioè il motivo principale per cui considero questa legge 'quote rosa' ingiusta).
E cosa è la ECJ? Un'oscura associazione maschilista tunisina? No: si tratta della European Court of Justice. Recentemente la ECJ ha preso una decisione molto interessante e che, prima o poi, dovrebbe ripercuotersi anche in Italia. Stranamente non ne ho trovato traccia sui giornali italiani (chissà perché...) ma solo sul sito della bbc (vedi Insurance gender ruling and you).
Secondo l'articolo, una recente decisione dell'ECJ ha dichiarato illegale che le assicurazioni per l'auto abbiano costi diversi in base al sesso dell'assicurato. Il motivo è che statisticamente le donne (fra i 20 e 30 anni) hanno molti meno incidenti dei pari età uomini: per questo il costo per assicurare l'auto era notevolmente inferiore per UNA neopatentata che per UN neopatentato.
Non solo. Anche le pensioni non potranno avere importi mensili differenti in base alla diversa attesa di durata della vita di uomini e donne. Non so in Italia come funziona ma in Inghilterra, a parità di contributi versati, un uomo prende una pensione un po' più alta di una donna perché statisticamente vivrà meno a lungo.
A mio avviso quando c'è in ballo la statistica non si può parlare di discriminazione ma di matematica. Ma la ECJ, formata da uomini e donne molto più saggi di me, ha deciso così.
A maggior ragione, la nuova legge italiana che non ha nemmeno l'appoggio della statistica per giustificare l'imposizione delle quote rosa, mi pare destinata a essere bocciata dalla ECJ appena qualcuno vi farà ricorso (*2).
Vedremo: se son rose fioriranno (e comunque le mimose torneranno il prossimo 8 marzo (*3)...)
Nota (*1): Beh, probabilmente il problema più grave del mondo del lavoro italiano è il suo alto costo visto che, su di esso, ricadono le inefficienze della nostra amministrazione pubblica in senso lato. Comunque anche la mancanza di meritocrazia è molto grave!
Nota (*2): E poi sbaglio o sono ormai molti anni che l'Europa ci “brontola” per la diversa età alla quale uomini e donne possono andare in pensione in Italia?
Nota (*3): Spiego questa mia frase forse troppo criptica. Con la solita ipocrisia italiana si parla dei problemi del mondo femminile solo intorno all'8 marzo. I politici esprimono i loro buoni propositi, gli uomini regalano mimose e le donne festeggiano. Poi non cambia nulla e avanti come prima... Leggere anche il mio vecchio post Sono un boscimane come raffronto.
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