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giovedì 17 marzo 2011

L'italiano venuto male

Oggi, genetliaco dell'unità d'Italia, ammetto di essere in difficoltà a scrivere il mio post quotidiano: parlare della bellezza e dei successi dell'Italia unita sarebbe un fare qualcosa che non sento assolutamente e, come tale, intrinsecamente ipocrita; al contrario, parlarne male, mi pare di cattivo di gusto: quasi un dispetto per i miei lettori che potrebbero stare sinceramente festeggiando questo giorno...
In realtà ieri avevo avuto una buona idea che mi avrebbe sollevato da ogni imbarazzo: intervistare i miei amici olandesi per avere le loro opinioni sui pregi e difetti degli italiani. Sarebbe stato piuttosto in tema e, credo, divertente. Sfortunatamente era troppo tardi per organizzare il tutto.
Quindi per oggi ho deciso di scrivere qualcosa di diverso: non parlerò direttamente dei pregi o dei difetti dell'unità d'Italia ma del mio sentirmi (poco) italiano.

Ricordo quando guardavo le partite di calcio della nazionale da piccolo. Se si giocava all'estero non c'erano problemi ma, se eravamo in casa, l'inno della nazionale avversaria veniva sonoramente fischiato. Io allora, anche se ero da solo, diventavo tutto rosso per l'imbarazzo e dovevo lasciare la stanza fino all'inizio della partita. Ancora adesso il comportamento dei nostri tifosi mi irrita ma il mio stomaco è diventato più robusto e non devo più lasciare la stanza. E poi c'è il telecomando: posso limitarmi a togliere l'audio o a cambiare per un attimo canale...
Una volta, alle medie, andammo in gita in Germania: i miei compagni (e qualche professore!) facevano una grande confusione per strada cantando sguaiatamente e camminando a braccetto. Io seguivo, isolato da solo, a una decina di metri di distanza imbarazzato e conscio degli sguardi di disapprovazione dei nostri ospiti. Attraversando un parco ci imbattemmo in uno scoiattolo: il piccolino se ne stava tranquillo a rovistare fra le foglie non avendo paura delle persone. Evidentemente non conosceva gli italiani: i miei compagni iniziarono a rincorrerlo ridendo mentre io inorridivo.
Questo fu troppo: una matura signora tedesca alzò la voce facendo una partaccia al mio professore e subito l'allegra ciurma si zittì. Venendo via la signora mi incrociò: evidentemente era ovvio che io non avevo preso parte all'inseguimento così, proseguendo per la sua strada, mi sorrise e mi lodò (*1).
Sempre durante quegli anni mi capitò di passare qualche giorno con mio padre come ospiti di un suo amico inglese: mi disse che avevo un senso dell'umorismo molto inglese. Credo fosse un complimento.
Quando sono stato all'estero, a differenza dei miei connazionali che si ritrovavano in microcomunità di amici, io non ho legato molto con altri italiani. Il mio migliore amico era portoghese, poi c'era un olandese, poi un inglese e solo per quarto un italiano. A chi non ha vissuto all'estero potrebbe sembrare non particolarmente strano ma vi assicuro, per esperienza diretta, che è sommamente anomalo.

A questo punto, fossi un sociologo, ci starebbe bene una riflessione sull'identità di gruppo. Oppure, forse, uno psicologo sarebbe più appropriato per spiegare le mie difficoltà ad omologarmi alla normalità: per lo sfuggire cioè ciò che le persone comunemente cercano.
Ma non essendo né psicologo né sociologo mi astengo (*2).

Concludo quindi annunciando che gli orecchi all'Italia li tirerò in un altro post e, per adesso, mi limito a fare gli auguri a chi sente propria la festività odierna.

Nota (*1): Ovviamente mi parlò in tedesco quindi in teoria avrebbe potuto avermi detto “Sporco italiano torna fra i tuoi amici mafiosi...” ma non credo!
Nota (*2): In realtà devo andare a fare da mangiare...

2 commenti:

  1. Mentre stamani ero intenta (visto che era compleanno d'Italia) a fotografare lo stato deplorevole in cui versa la statua della Vittoria dedicata dai cittadini di Figline ai caduti della Grande Guerra è arrivato il Corteo Ufficiale.
    Un buon numero di giovanotti muniti di macchine fotografiche con obiettivi del tipo professionale si davano un gran daffare, correndo da destra a manca, per eternare l'Evento. Non fermavano la loro attività assai invadente neanche durante l'esecuzione del inno nazionale.
    PS: a sapere le parole dell'inno e quindi a cantarle eravamo in tre (di numero), due signori parecchio in là con gli anni, probabili sopravvissuti della Seconda Guerra, e io, che non sono italiana nativa.

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  2. Ho visto il risultato della tua escursione fotografica: complimenti!

    Riguardo l'inno non so che pensare: a me pare un "tantinello parecchio" stagionato (1847) con il suo testo esageratamente retorico e visceralmente romantico.
    Insomma non sono sicuro che la sua conoscenza sia un indice attendibile dell'amor di patria.

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