Oggi torno a un tema che mi sta molto a cuore: la libertà di internet e di come questa in Italia sia costantemente minacciata (*1).
L'ultima notizia è di una decina di giorni o forse ormai due/tre settimane fa.
Un inciso: perché non ne ho parlato subito? Perché sul momento mi incazzo veramente, non solo contro la miopia (dando per scontata la “buona fede”) delle nostre autorità, ma anche sugli italiani che trovano il tempo di protestare per cose che io reputo molto meno importanti...
Insomma se scrivessi subito farei dei post infuocati e forse rischierei di usare qualche parola di troppo. Fine inciso.
La nuova notizia (vedi il seguente articolo di Repubblica.it) causa di irritazione è la seguente: il Fisco ha chiesto (e ottenuto) il permesso di usare i dati reperibili su Facebook per accertamenti fiscali.
Prima “perplessità”: che cavolo di “accertamenti” è possibile fare su Facebook? Su Facebook se non si è “amici” non si riesce a vedere praticamente niente di una persona: data di nascita, città di residenza, a volte il sesso e poco altro...
Forse Facebook stesso garantirebbe all'agenzia delle entrate una specie di passepartout per entrare, non visti, in tutti i profili come se fosse un “amico”?
Ma anche in questo caso cosa ne ricaverebbero? Chi scrive quanto guadagna e quanto spende su Facebook? E quanto sarebbero attendibili queste informazioni? L'unica cosa che si potrebbe “accertare”, e SOLO forse, è dove uno passa le vacanze ma poi che altro?
Insomma tentare di usare Facebook per accertare il patrimonio degli italiani mi pare, al di là delle riserve morali (vedi dopo), un'idea completamente priva di efficacia...
La seconda perplessità, nell'ipotesi che il fisco abbia accesso come “amico” a tutti i dati, è molto più grave. Deriva dalla legittimità morale di frugare automaticamente e indiscriminatamente nella vita privata degli italiani. L'esponente del fisco chiosava sul fatto che accedere ai dati di Facebook è equivalente a controllare un registro fiscale. Spiacente ma non sono assolutamente d'accordo! FB è pieno di foto di figli/amici/partner molto personali, scherzi e lazzi con gli amici, link ad articoli o video e una lunga lista di “mi piace” questo e quello... Tutte informazioni molto intime (oltre che, lo ripeto, di utilità praticamente nulla per il fisco). Insomma accedere indiscriminatamente ai dati di Facebook equivale ad avere uno sconosciuto che ti fruga le tasche e la scrivania, che guarda tua moglie in bichini sulla spiaggia e che legge, magari ridacchiando, le confidenze fatte ai tuoi amici. Non è assolutamente lo stesso che sfogliare un registro pieno di codici e numeri...
Ma appurato che Facebook è totalmente inutile (se utilizzato per accedere ai soli dati pubblici degli utenti) o solamente inutile (se utilizzato per accedere a tutte le informazioni ivi contenute) per eseguire accertamenti fiscali allora è legittimo domandarsi il motivo di questa iniziativa apparentemente assurda.
Ho solo due ipotesi: una paranoica e l'altra ancora più paranoica.
La paranoica è che un'azienda di software molto “scaltra” abbia già pronto il software che sarà venduto (mantenuto e aggiornato) all'agenzia delle entrate per eseguire detti controlli: inutili o totalmente inutili che siano. Sarebbe interessante sapere, oltre ai costi di realizzazione, a chi appartiene questa società e se ha legami politici.
Temo insomma che un gruppo ristretto di persone trarrà grossi benefici economici da questa operazione a spese della collettività senza però alcun ritorno per il pubblico interesse.
La seconda ipotesi è molto più paranoica della precedente. Le nostre autorità sono ben consce della totale inutilità dell'usare Facebook per fare accertamenti fiscali. Quello che in realtà vogliono ottenere è un database che schedi i gusti e le idee di tutti gli italiani. Ovviamente l'accesso e l'utilizzo di questi dati, raccolti per fini ben diversi da quelli indicati, sarebbe poi utilizzato solo dalla polizia dopo la specifica autorizzazione di un tribunale. Ma sappiamo tutti come è l'Italia: basta che un potente faccia una telefonata alla persona giusta e, in barba a regole, leggi e leggine, i dati cercati sarebbero prontamente spediti al richiedente... Se poi la notizia che questi dati vengono usati e conservati per altri motivi “non fiscali” dovesse divenire pubblica, le autorità saranno pronte ad agitare lo spauracchio della lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata.
Io immagino un uso semi-inoffensivo di queste informazioni: tipo pubblicità politica pre elettorale, mirata in base ai “mi piace” questo o quel politico/partito. Però, senza troppa fantasia, è facile pensarne un uso, anzi un abuso, ben più pericoloso...
Conclusione: probabilmente, le mie idee paranoiche sullo spreco di denaro pubblico e quella ancora più assurda di schedatura semi illegale, sono solo delle fantasie. Spero invece che questa astuta idea del fisco porti al recupero di di miliardi di euro e permetta l'abbassamento delle tasse (*2)...
Nota (*1): beh, anche nel resto del mondo questa è la tendenza: come testimoniato dall'intervista al mio conoscente egiziano il ruolo del web è stato determinante nelle rivoluzioni in atto nel mondo arabo. È naturale che i governi siano preoccupati (anche se quelli democratici, in teoria, non dovrebbero esserlo...). Comunque l'Italia, insieme a Cina e Iran, sono all'avanguardia negli attacchi alla libertà e indipendenza del web...
Nota (*2): spero che qualcuno apprezzi la mia ironia...
domenica 27 marzo 2011
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Il direttore vicario Marco Di Capua, citato nel articolo, sta delirando di cose di cui non ha idea. Fatto triste assai ma purtroppo comune nella PA italiana. Nulla di cui preoccuparsi.
RispondiEliminaCon simili analfabeti alla guida dell'Agenzia delle Entrate non c'è da meravigliarsi che che le tasse in Italia li pagano solo i lavoratori dipendenti.
In effetti l'ipotesi del delirio non l'avevo presa in considerazione... ;-)
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