A me invece non mi fece né caldo né freddo: il film mi piacque ma non mi entusiasmò.
In una breve scena si vede un gruppo di ragazzini che gioca a uno strano gioco in Italia ancora sconosciuto: Dungeons & Dragons.
Qualche anno dopo, a occhio e croce direi nel 1986, arrivò in Italia la traduzione di tale gioco: che io, ovviamente, subito acquistai...
Ricordo bene quella bella scatola rossa: mi pare avesse il disegno di un bel drago sul coperchio. All'interno due libretti d'istruzione anch'essi rossi: il manuale del giocatore e quello del “Dungeon Master”... oppure era un solo volume... onestamente è possibile che la mia memoria mi tragga in inganno...
Non ho però dubbi sui dadi (beh, poliedri in realtà!) che a quell'età mi sembrarono magici: erano tutti colorati diversamente: la piramide da quattro facce (abbreviato d4) era verde, quello da sei (d6) era nero (ma sulle sue facce non aveva i puntini ma direttamente dei numeri), quello da otto (d8) era bianco con i numeri in nero, quello da dieci (d10 ovviamente, era il mio preferito) era rosso con i numeri bianchi, quello da dodici (d12) giallo con numeri neri e, infine, quello da venti (d20) era blu con i numeri bianchi.
Il dado da dieci facce era il mio preferito perché lanciandolo due volte potevo ottenere numeri a due cifre (da 00 a 99) casuali e questo mi permetteva di simulare tutte le probabilità che volevo. Però il dado più bello e più usato nel gioco era sicuramente quello a venti facce: rotolava bene e dava molta soddisfazione ottenere numeri alti perché significava riuscire a colpire un nemico.
Un altro uso di tale dado era per effettuare i cosiddetti “Tiri Salvezza” abbreviati con TS: c'erano infatti delle situazioni in cui i personaggi immaginari dei giocatori potevano morire sul colpo indipendentemente dalla loro salute. Ricordo la “pietrificazione” o il “soffio del drago”: c'erano forse un altro paio di categorie e poi, a seconda della difficoltà, si doveva usare le tabelle corrispondenti per qualsiasi situazione in cui si doveva decidere se un personaggio sopravviveva o moriva.
Di solito erano situazioni estremamente pericolose e il lancio del dado diventava una lotteria che faceva sudare freddo perché le probabilità di sopravvivenza alla fine, considerando svariati bonus e malus, potevano essere appena del 50%.
Avere una probabilità di sopravvivenza del 95% mi avrebbe tranquillizzato enormemente: perché il mio personaggio sarebbe morto solo una volta su venti se, tirando il dado, avessi ottenuto un uno.
Adesso una probabilità di sopravvivenza del 95% non mi fa più dormire tranquillo: perché è vero che quell'uno su venti esce raramente... ma ogni tanto esce!
E dopo anni e anni, anzi dopo una vita di gioco, è inevitabile affezionarsi a un personaggio e dispiace poi perderlo all'improvviso senza poterci far niente.
E così è anche nella vita: secondo i medici l'operazione, a causa di difficoltà aggiuntive, ha un rischio del 5%. Però va fatta: e al netto dell'abilità dei medici poi sta al Dungeon Master superiore lanciare il suo dado da venti facce e ottenere due o più. Sembrerebbe facile, però...
L'impotenza è frustrante. L'attesa pure. La paura è piccola ma si ingigantisce: la guardi e vedi solo un 5% ma quando ti volti vedi crescere sulla parete l'ombra di un drago enfiato. Ma non ci sono alternative e quindi si attende frustrati e ragionevolmente impauriti.
Conclusione: speriamo di avere fortuna e di ottenere un “successo critico”...
Nota (*1): L'attuale temibile Avvocato che ogni tanto menziono... Chissà se lui se ne ricorda!
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