«[Figlio dell'uomo] Porgi l'orecchio e ascolta le parole di KGB
e applica la tua mente alla SUA istruzione
» Pv. 22,17

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martedì 14 ottobre 2014

OM 8: fine!

Ormai dovrebbe essere inutile ricordarlo ma, come spiegato in OM 7 e OM 6, non ricordo più esattamente i commenti che avevo in mente o cosa mi aveva colpito per tutte le note che mi ero appuntato: semplicemente farò del mio meglio...
Siccome voglio concludere questa serie, l'episodio odierno sarà un po' più lungo del solito...

Salto tre note che non capisco più: evidentemente in prima lettura mi avevano sollecitato delle idee che ormai però ho perso. Probabilmente rileggendo l'intero capitolo le ricorderei ma non credo che ne valga la pena...

Passaggio interessante: «...tengo pure per fermo che il ridere dei nostri mali sia l'unico profitto che se ne possa cavare, e l'unico rimedio che vi si trovi.»
Una frase semplice e sintetica che racchiude due concetti estremamente importanti: da soli fanno già una filosofia di vita. Io condivido quasi al 100%: credo che nei mali ci sia un poco più profitto di quanto l'autore metta in bocca al suo personaggio...

Sempre il “solito” pessimismo del Leopardi: «Dunque s'ingannano grandemente quelli che dicono e predicano che la perfezione dell'uomo consiste nella conoscenza del vero...». E poi continua a spiegare che, maggiore conoscenza porta solo maggior dolore perché dà una comprensione più precisa della sventura umana.
Probabilmente dovrò scrivere un PSS per spiegare il punto di vista del “Maestro Yuri” sulla relazione fra conoscenza e felicità...

Nel successivo capitolo ho trovato un passaggio che mi è sembrato divertente (*2). Si tratta del dialogo fra il Sole e le Ore. In particolare il Sole sta battibeccando con un'Ora notturna dicendole che durante la notte vuole riposare e che gli uomini dovranno arrangiarsi a stare al buio o a usare dei lumi. L'Ora risponde che gli uomini poverini non possono permettersi la luce notturna perché costerebbe troppo e l'autore le mette in bocca la seguente previsione: «Che se fosse già ritrovato di fare quella certa aria da servire per ardere, e per illuminare le strade, le camere, le botteghe, le cantine e ogni cosa, e il tutto con poco dispendio; allora direi che il caso fosse manco male. Ma il fatto è che ci avranno a passare ancora trecento anni, poco più o meno, prima che gli uomini ritrovino quel rimedio...»

Nello stesso capitolo c'è un'altra intuizione del Leopardi molto profonda. Il Sole dialoga adesso con Copernico al quale è affidato il compito di convincere la Terra a girare intorno al Sole. Copernico fa notare come tale cambiamento non cambierebbe solo la fisica ma lo stesso modo di pensare degli uomini non più al centro dell'universo.
Si tratta di un discorso più ampio e che di tanto in tanto si ripropone. Immagino che qualcosa del genere, un ripensamento della natura stessa dell'uomo, lo si avrà quando i progressi dell'ingegneria genetica si trasformeranno in eugenetica...

Concetto morale interessante: «E in vero, se molto pochi ribaldi, per timore di quel tuo spaventoso Tartaro si astengono da alcuna mala azione; mi ardisco io di affermare che mai nessun buono, in un suo menomo atto, si mosse a bene operare per desiderio di quel tuo Eliso.»
Non so nemmeno a quale capitolo si riferisca questo passaggio ma non è importante: stavolta so esattamente quale fosse la mia opinione che volevo condividere!
È dai tempi del liceo che, più o meno, ci penso: mi pare una grave debolezza della filosofia cristiana che si esorti al bene per una ricompensa nell'aldilà e, vice versa, si dissuada dal male per evitare l'inferno. Secondo me il bene è da preferire in quanto tale anche se non ci fosse nessun paradiso. Ridurre la ricerca del Bene a un mero scambio fra le buone azioni compiute e la ricompensa futura mi pare svilisca il concetto stesso di morale. Anche in questo caso dovrei ritornarci con un PSS...

Si arriva finalmente alla logica domanda che deriva dalla filosofia pessimistica del Leopardi: se la vita è così dolorosa perché allora non suicidarsi?
Nel capitolo infatti c'è un dialogo fra un tale Porfirio (immagino famosissimo ma io non lo conosco) che sostiene le ragioni del suicidio e una controparte che tenta di dissuaderlo.
In particolare la controparte ricorda a Porfirio che la Natura stessa vieta a tutti gli esseri viventi, uomo compreso, di suicidarsi. Porfirio ribatte: «Tu dubiti se ci sia lecito di morire senza necessità: io ti domando se ci è lecito di essere infelici. La natura vieta l'uccidersi. Strano mi riuscirebbe che non avendo ella o volontà o potere di farmi né felice né libero da miseria, avesse facoltà di obbligarmi a vivere. … Ora se è lecito all'uomo incivilito, e vivere contro natura, e contro natura essere così misero; perché non gli sarà lecito morire contro natura?»
La risposta della controparte è anche quella che, ricordo, a scuola insegnano fosse l'opinione del Leopardi: «[Il suicidio è male perché] Non far niuna stima di addolorare colla uccisione propria gli amici e i domestici; e di non curante d'altrui, e di troppo curante di se medesimo. E in vero, colui che si uccide da se stesso, non ha cura né pensiero alcuno degli altri; non cerca se non la utilità propria;»
Una difesa piuttosto debole: lo si potrebbe dimostrare sfruttando l'equilibrio di Nash: basterebbe cioè che tutti si suicidassero contemporaneamente e il guadagno totale (*1) sarebbe massimo!
Un'argomentazione molto migliore potrò darla in un futuro PSS: vedi l'accenno nel corto La comprensione viene dal cuore...

Altro capitolo altra intuizione. È un dialogo fra un passeggero e un venditore a una stazione del treno (mi pare! ma forse all'epoca c'erano solo le carrozze coi cavalli?). Il passeggero prima chiede al venditore se gli piacerebbe tornare indietro di 20 anni (e il venditore dice che ne sarebbe più che felice) ma poi gli chiede: «Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passato?». E il venditore risponde: «Cotesto non vorrei.»
Chiaramente l'idea del Leopardi è che i dispiaceri siano maggiori dei piaceri. Io suggerisco ai miei lettori un'altra variante di questa domanda: e rivivere la stessa identica vita altre dieci volte? O cento? O un milione di volte sempre uguale?

Infine c'è un'altra intuizione sull'animo umano: spesso, piuttosto che affrontare i problemi della realtà, preferisce illudersi. Prima con una battuta: «I mariti, se vogliono vivere tranquilli, è necessario che credano le mogli fedeli...». Poi più seriamente: «Perché in sostanza il genere umano crede sempre, non il vero, ma quello che è, o pare che sia, più a proposito suo. Il genere umano, che ha creduto o crederà tante scempiaggini, non crederà mai né di non saper nulla, né di non essere nulla, né di non aver nulla a sperare.».
Per questo le speranze e le illusioni di Renzi hanno molta più presa sugli italiani che le dure verità del M5S...

Sempre nel dialogo fra Tristano e un amico c'è un forte accenno all'importanza dell'educazione fisica: un corpo sano necessario per una mente forte. Mi chiedo quanto ci sia di autobiografico in questa riflessione...

Altra riflessione interessante sul sapere: non è la stessa cosa avere una sapienza bassa ma diffusa e avere pochi dotti muniti di ampissime conoscenze. Il progresso infatti dipende dai secondi non dai primi. Ogni epoca crede di essere più saggia della precedente ma la vera sapienza non si può né misurare né distribuire. Tanto per riflettere: il Leopardi critica fortemente i giornali in quanto, ai suoi tempi, si sostituivano impropriamente ai libri come mezzo di diffusione della cultura: «[ironicamente!] Credo e abbraccio la profonda filosofia de' giornali, i quali uccidendo ogni altra letteratura e ogni altro studio, massimamente grave e spiacevole, sono maestri e luce dell'età presente.». E che dovremmo allora dire noi della televisione?

Concludo, senza commentare, con l'ultimo paragrafo delle Operette morali prima delle note: «Se mi fosse posta da un lato la fortuna e la fama di Cesare o di Alessandro netta da ogni macchia, dall'altro di morir oggi, e che dovessi scegliere, io direi, morir oggi, e non vorrei tempo a risolvermi.»

Nota (*1): Ho seguito anche la prima lezione di un corso in linea di teoria dei giochi: il corso mi è sembrato impostato male e ho subito deciso di abbandonarlo ma non prima di aver assimilato qualcosa. Informalmente l'equilibrio di Nash è infatti la situazione in cui tutti i partecipanti a un gioco hanno il massimo guadagno indifferentemente dalle azioni degli altri...
È buffo però come mi riesca facile assimilare nuove conoscenze e riadattarle ai miei scopi senza sforzo: bravo KGB!
Nota (*2): beh... poi si ha un dialogo con Copernico (XVI secolo) quindi non mi è chiaro in che epoca si svolga il racconto e, di conseguenza, i 300 anni. Insomma, magari non c'è niente di buffo!

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