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mercoledì 29 febbraio 2012

Ledificio (2/10)

Ecco la seconda parte del racconto Ledificio (vedi Ledificio (1/10)).
Nella puntata precedente tre giovani, fra cui il protagonista e io narratore della storia, entrano in un edificio misterioso. In preda ai fumi dell'alcool vagano con la mente ottenebrata al suo interno finchè, raggiunto il secondo piano, arrivano a una maestosa quanto misteriosa porta...
Fatalmente la porta viene aperta e i tre la varcano tutti insieme.

-=2=-

I miei ricordi di quello che successe allora sono, se possibile, ancora più confusi: si tratta infatti più di sensazioni che di ricordi veri e propri. Cercherò al meglio delle mie capacità di spiegare quel che provai ma il lettore non si aspetti un racconto coerente.

Fu come essere investito da un getto di acqua fredda: immediatamente gli effetti dell'alcool, l'ottundimento dei sensi, svanirono o almeno così mi parve...
La porta si era richiusa alle nostre spalle e il buio era assoluto; contemporaneamente fui travolto da un rimbombo sordo e basso, così potente che si percepiva nelle ossa più che con l'udito: credo di aver gridato, di aver allargato le braccia, cercando di afferrarmi ai miei compagni, ma trovando solo il vuoto. Un vuoto freddo e assoluto che rimaneva appiccicato alla pelle e penetrava nei polmoni togliendo il fiato e la capacità stessa di gridare.
Mai prima di allora avvertii così nettamente la sensazione di pericolo incombente. È impossibile da descriversi ma provate a immaginarvi di essere in una giungla selvaggia a mezzanotte, al buio e disarmato, e contemporaneamente sentire alle spalle delle frasche che si spezzano, qualcosa che vi sfiori la schiena e un alito putrido sulla nuca come se delle fauci aperte fossero a pochi centimetri dal vostro collo. Ecco, immaginatevi ora una sensazione mille volte più potente, e avrete una pallida idea di ciò che provai io...

Quanto durò? Non ne ho idea: la sensazione di pericolo era tale che persi la cognizione del tempo. Credo che continuai a cercare di gridare senza riuscirci ma non lo ricordo con esattezza. Giravo su me stesso cercando di fronteggiare un pericolo che però rimaneva sempre alle mie spalle.

Poi qualcosa mi colpì alla coscia e io barcollai all'indietro: è strano ma solo allora, credo, ebbi la sensazione di un pavimento, o di una parete o quello che fosse, nel buio intorno a me...
Mi ritrovai una pietra in mano: anzi no, ripensandoci non poteva essere una pietra, era qualcosa di troppo freddo, liscio e pesante per essere un semplice calcinaccio. Doveva trattarsi di un grosso pezzo di ferro tipo, che so... una grossa scheggia di bomba...

Come un folle iniziai a colpire l'aria con quest'arma improvvisata. So che colpii qualcosa: ebbi la sensazione di infrangere del vetro ma incontrai anche una certa resistenza: cioè non fu come rompere una finestra quanto piuttosto come infrangere lo schermo di un vecchio monitor o di un televisore.
Lo so è assurdo. È incoerente. Eppure si tratta della verità o almeno di quello che provai: forse menti più acute della mia riusciranno a dare un significato a queste sensazioni una volta conosciuto il resto della storia...

Comunque, per ogni colpo che riuscivo ad assestare, ne ricevevo altri dieci indietro. Tutto il corpo veniva colpito: il petto, le gambe, le braccia, la schiena e la testa...
Eppure ero oltre il dolore: invece di provare delle fitte di sofferenza era come se ogni colpo che ricevevo si limitasse a privarmi di parte della mia frenetica energia: come se, ad ogni botta, il sangue mi venisse sostituito da un gelido narcotico che penetrasse sempre più al mio interno ghiacciandomi il cuore.
Infine, quando ormai stavo per essere sopraffatto e perdere i sensi, mi accorsi che i colpi erano cessati: l'euforia, un sorta di entusiasmo animalesco per aver combattuto e sconfitto i miei avversari, mi ridiede un minimo di forza. Lasciai cadere l'arma improvvisata e allungai l'altro braccio per cercare qualcosa a cui appoggiarmi (ero infatti immerso nell'oscurità più totale): trovai del legno, poi una maniglia, l'afferrai, la girai e tirai con tutte le mie forze.
Fui investito da una luce grigia e tetra: ma era la benvenuta rispetto al buio più scuro della morte in cui mi trovavo. Barcollai avanti ed entrai nel grigio: era un corridoio, forse lo stesso dal quale ero entrato ma fu allora che, forse per il sollievo di essere scampato a un pericolo mortale, le forze mi vennero meno e caddi nell'oblio...

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