La scorsa settimana, in un giorno in cui ero totalmente privo di ispirazione, ho preso la malaugurata decisione di celebrare San Valentino scrivendo una poesia.
Stilisticamente ho scelto la rima incatenata (la stessa della Divina Commedia) ma i singoli versi non sono endecasillabi ma, più o meno, riempiono un rigo del mio quaderno a quadretti!
Comunque il triste risultato delle mie fatiche è il seguente:
Dalla costellazione della Lira
Se la incontrassi in un giorno di speme:
i cuori arderanno avvampandoci il viso,
nel fuoco le anime saran fuse assieme.
Nel dolce oceano di felicità e riso
annegheremo solitudine e tristezza:
splenderà il mondo coi colori del Paradiso.
La sua voce sarà per me una carezza
ma le basterà un'occhiata per parlarmi
e dissipare ogni passata amarezza
eppure con lo sguardo potrà ascoltarmi
ché la mia idea le sarà subito nota.
Un sol problema continua ad angustiarmi:
lei risiede su Vega, la stella remota!
Non so...
Visto che il risultato odierno è particolarmente raccapricciante sono tentato di fornire qualche extra al povero lettore traumatizzato...
Cioè l'idea era carina: la mia anima gemella esiste, e con lei vivrei in letizia e felicità, solo che si trova dall'altra parte della galassia!
Il problema, causa giornata storta, è che i singoli versi sono troppo lunghi e così non c'è ritmo. E poi le rime in “armi” son proprio brutte...
Peccato perché un paio di immagini carine c'erano: le fiamme del cuore che fondono le anime insieme e la capacità di comunicare senza parole (nella bozza: “Con un'occhiata mi parli / con uno sguardo mi ascolti”)...
Ah, un paio di licenze poetiche: "l'eppure" del quartultimo verso sta a significare "e pure" nel senso di "e anche"; l'indicativo dal secondo verso in poi, invece di un più grammaticalmente corretto condizionale, vuole significare la certezza di quello che accadrebbe...
Beh, mancano ancora cinque giorni a San Valentino: magari ci rimetto le zampe sopra!
alla prima stazione
1 ora fa
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