Qualche giorno fa volevo scrivere un pezzo su Rawls e Popper: avevo appena letto qualche pagina di entrambi trovandomi in disaccordo con ambedue.
Con una differenza importante: la divergenza con Rawls era metodologica ma ne riconoscevo la profondità del pensiero; con Popper volevo mostrare come il suo ragionamento fosse, a seconda del punto di vista, o errato o banale o irrilevante. Mi sembrava divertente… Poi però fui preso da altri impegni e quindi lasciai perdere.
Ieri, per una serie di coincidenze, mi sono ritrovato a leggere, senza averne alcuna voglia, di nuovo Rawls. Come sempre poche pagine, ma stavolta ho trovato almeno due-tre concetti interessanti che voglio condividere.
Al momento sono al capitolo 29 e, come ho ormai più volte scritto, la teoria si sviluppa un po’ troppo lentamente. Se “Una teoria della giustizia” fosse “Il signore degli anelli”, Frodo sarebbe ancora nella Contea a preparare i bagagli e il capitolo in questione descriverebbe solamente la scelta di quali e quante camice portarsi dietro.
In pratica Rawls non ha ancora concretamente scritto niente della sua teoria della giustizia ma è invece impegnato a dimostrare la bontà dei principi sui quali la baserà. Su cosa pensi di questa metodologia ho già scritto e non mi va di ripetermi.
Nel capitolo in questione Rawls spiega alcuni aspetti positivi dei suoi due principi di giustizia e, contemporaneamente, perché essi siano preferibili all’utilitarismo (o, meglio, alla giustizia sociale che deriverebbe basandosi su tale concezione).
Io ho trovato interessante la sua seconda considerazione: «Ho affermato precedentemente che un buon motivo a favore di una concezione della giustizia è che essa generi da sé il proprio sostegno. Quando è pubblicamente noto che la struttura di base della società soddisfa i propri principi per un lungo periodo di tempo, coloro che sono soggetti a tali accordi tendono a sviluppare il desiderio di agire in conformità a questi principi, e di fare la propria parte nelle istituzioni che li esemplificano. Una concezione della giustizia è stabile quando viene pubblicamente riconosciuto che la sua attuazione da parte del sistema sociale tende a porre in atto il corrispondente senso di giustizia.» (*1)
Non metterei la mano sul fuoco su questa affermazione senza aggiungervi la premessa (che probabilmente Rawls dà per sottintesa) che le persone devono trovare “buono” il sottostante sistema di principi di giustizia.
Comunque il mio punto è un altro: ovvero che sarebbe sicuramente vero il contrario. Cioè se una società non si attiene ai principi sui quali afferma di basarsi allora si indebolisce.
Io vi vedo quindi una denuncia dell’ipocrisia: se si predica bene e si razzola mare non si è credibili. Se il soggetto è una società con le proprie istituzioni essa si indebolisce.
A me pare un’ottima sintesi di quanto sta accadendo alla società occidentale.
In teoria siamo contrari alle discriminazioni (di razza, di genere, di religione, politiche, di pensiero) ma nella pratica, nell’acquiescenza ipocondriaca della maggioranza, si è approvata la discriminazione a norma di legge di chi, cercando legittimamente di tutelare la propria salute, aveva deciso di non vaccinarsi. Inutile ricordare le aberrazioni contraddittorie del verdepasso e che proprio la scienza, a cui si appellava il potere per giustificare le proprie decisioni, ha dimostrato che chi la pensava diversamente aveva totalmente ragione (*2).
L’occidente mostra di essere una “civiltà tollerante” solo verso colore che accettano pedissequamente la narrativa decisa dal potere in favore dei pochi e potenti anche quando va totalmente contro l’interesse della maggioranza. Si è liberi di pensare e affermare quello che si vuole purché non si vada in contrasto col pensiero maggioritario imposto dall’alto. Un’evidente contraddizione perché questa non è libertà ma solo la sua diafana apparenza superficiale.
Un altro passaggio alla pagina successiva è forse ancora più interessante. Sfortunatamente è troppo lungo per copiarlo ma il senso è che una società basata sull’utilitarismo non sarà stabile se buona parte della popolazioni non accetti di avere prospettive di vita inferiori a quelle di una minoranza privilegiata.
In altre parole la popolazione deve convincersi e accettare che alcune diseguaglianze, anche fondamentali, siano giuste e inevitabili.
Nel mondo di oggi lo vediamo continuamente: i ricchissimi sono considerati tali per i loro meriti e, per questo, vengono tutelati e privilegiati dandogli la possibilità di divenire FACILMENTE ancora più ricchi e potenti di quanto già non siano. La società non si scandalizza ma, anzi, guarda a essi con ammirazione e invidia. Non è un caso che proprio negli USA dove la concezione del capitalismo si incarna nelle istituzioni del paese, e la popolazione è più convinta della loro bontà, sono possibili le maggiori sperequazioni di ricchezza.
E questo senza considerare, come affermo nella mia teoria ([E] 14.4), che con la decadenza della società occidentale stiamo accettando una morale basata non sull’utilitarismo ma su quello che ho chiamato il profittismo. La differenza è che l’utilitarismo cerca almeno di massimizzare il benessere della media della popolazione (con comunque il problema che, se metà della popolazione mangia un pollo intero e l’altra metà resta col piatto vuoto, ciò non equivale a una popolazione dove tutti mangiano mezzo pollo) mentre il profittismo cerca solo di massimizzare il benessere di coloro che stanno meglio (per il profittismo il bene è far mangiare ai più potenti e ricchi un pollo al giorno e non importa se alla media della popolazione tocca appena un boccone).
E infine ho trovato un concetto a cui non avevo mai pensato e che dovrò digerire.
Nella mia Epitome affermo che l’obiettivo della società dovrebbe essere quello di garantire a tutti la possibilità di essere felici.
Rawls mette invece in evidenza un altro concetto: il rispetto di sé.
Il rispetto di sé lo si ha quando la società approva l’opera del singolo individuo. Quando il singolo riesce a realizzare la propria concezione del bene. Ma Rawls si spiega meglio: «Il rispetto di sé non è tanto una parte di ogni piano razionale di vita, quanto piuttosto è sentire che il proprio piano è meritevole di essere realizzato. Il rispetto di sé dipende, di regola, dal rispetto degli altri. Se non ci rendiamo conto che le nostre imprese sono tenute in considerazioni dagli altri, è difficile, se non impossibile, continuare a credere che i nostri fini siano meritevoli.» (*3)
Personalmente sono un po’ incerto sulla generalità di questo principio: il mio “rispetto di me” di certo non si basa sull’opinione che gli altri hanno della mia persona. Che la mia Epitome non venga letta non mi fa minimamente dubitare della sua bontà.
Poi io sono di sicuro un caso estremo ma credo che questa tendenza sia comune agli INTP e, probabilmente, a qualche altro tipo psicologico. Alla fine credo che ci sia una parte piccola ma significativa della società (il 5%?) che comunque persevera in quello che ritiene giusto indipendentemente da quello che ne pensa il resta della popolazione.
Ma Rawls mi ha convinto che il “rispetto di sé” sia almeno un fattore di cui tenere conto per rendere l’individuo soddisfatto e quindi felice. I suoi principi di giustizia (a suo dire) favoriscono il rispetto reciproco e, quindi, il rispetto di sé.
Non so quanto sia possibile: la maggioranza è per sua natura/definizione conformista mentre dovrebbe apprezzare l’anticonformismo. È possibile? Non so, forse a livello teorico: "tutti i pensieri hanno pari valore e sono quindi da rispettare", "chi la pensa diversamente da noi possiede delle verità che, comprendendole, potrebbero arricchirci" o "la diversità in tutte le sue forme ha grande valore"…
Ma nella pratica abbiamo visto che, se non costantemente guidata, la gente comune tende a discriminare il diverso: guardate come parecchi governi occidentali durante la pandemia abbiano aizzato, peraltro con facilità irrisoria, una parte consistente della popolazione all’odio verso chi la pensava diversamente. Come, per esempio, spiegare se non con l’odio il comportamento di alcuni infermieri che si sono vantati di torturare i pazienti che sapevano non vaccinati?
Ma, come detto, ci devo riflettere…
Conclusione: anche se mi annoia con la sua lentezza espositiva vale la pena leggere Rawls.
Nota (*1): tratto da “Una teoria della giustizia” di John Rawls, (E.) Feltrinelli, 2021, trad. Ugo Santini, pag. 179.
Nota (*2): con la differenza che adesso i media fanno finta di niente e non fanno riferimento alle ricerche che si accumulano e puntano il dito verso le gravi responsabilità di chi, in sostanziale malafede, ha preso e imposto decisioni pagate poi, anche con la vita, da centinaia di migliaia di persone.
Nota (*3): ibidem, pag. 180.
alla prima stazione
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