[E] Attenzione! Per la comprensione di questo pezzo è necessaria la lettura della mia Epitome (V. 1.7.1 "Sherlochulhu").
Finalmente ho quasi finito il bellissimo corso sulla rivoluzione americana della professoressa Freeman (università di Yale) trovato su Youtube: The American Revolution.
In pratica mi mancano gli ultimi venti minuti dell’ultima lezione ma già nella prima parte ho trovato un concetto che mi pare di grande importanza.
La domanda è quando inizia e finisce una rivoluzione? Non è una domanda banale se non ci limitiamo alle superficiali date di inizio e fine della guerra contro l’Inghilterra. Si potrebbe infatti dire che la rivoluzione iniziò una decina di anni prima con il boicottaggio dei prodotti inglesi o, paradossalmente, che la “vera” rivoluzione cominciò al termine della guerra con la stesura della costituzione…
Chiaramente non si tratta di un processo immediato. La conclusione della professoressa è che siamo in una fase di rivoluzione quando le aspettative della popolazione sono significativamente diverse dalla forma di governo vigente. Fin quando vi è questa discrepanza si possono avere anche significative evoluzioni, quando queste coincidono è invece molto più difficile cambiare qualcosa.
Mi pare un concetto molto interessante che, anche questo è significativo, NON è presente nella mia Epitome (*1).
Ancora non sono del tutto persuaso della sua totale correttezza (magari ci sono vincoli e condizioni ulteriori) ma sicuramente vi è qualcosa di vero su cui si dovrebbe riflettere.
In realtà oggi volevo arrivare a presentare un nuovo libro che ho comprato e che tratta… ...della stesura della costituzione americana. L’aspetto interessante del libro è che tale opera non viene vista come il trionfo della democrazia ma, al contrario, esamina le forti influenze dei parapoteri su di essa. E in effetti quello che ho imparato dal corso della Freeman non può escluderlo completamente. Per esempio tutti i lavori della commissione furono segreti perché non si volevano interferenze da parte della popolazione…
Ma, come detto, ho deciso di cambiare argomento: mi è infatti venuta voglia di esaminare quali siano gli elementi che portano alla rivoluzione secondo la MIA teoria.
Sicuramente il punto di partenza è la legge della conservazione ([E] 5.1), ogni potere non vuole perdere forza, e solo secondariamente la legge della crescita ([E] 5.2), ovvero guadagnare forza. Il motivo, in breve, è che l’uomo preferisce non rischiare in cambio di vantaggi futuri ma, al contrario, è più disposto a farlo per evitare perdite.
Sì, in effetti questo concetto è già di per sé fondamentale e, avviso ai lettori, non si tratta di una caratteristica psicologica che mi sono inventato sul momento ma l’ho studiata da qualche parte: probabilmente nel corso di psicosociologia ma potrebbe anche essere stato in quello di teoria dei giochi…
Insomma è più probabile mettere in gioco la propria vita per evitare di stare peggio piuttosto che nella speranza di andare a stare meglio.
Poi ci vogliono degli opportuni protomiti: qualcosa che illustri la speranza, l’obiettivo che si vuole raggiungere, l’alternativa al presente. Questo concetto l’ho già inserito nell’Epitome, probabilmente nel capitolo 7, verificherò…
Questi protomiti vanno distinti in due gruppi: nel primo gruppo vi sono i protomiti che illustrano i problemi della situazione e (soprattutto) mostrano come andrà a peggiorare se non si interviene; il secondo gruppo di protomiti dovrà invece evidenziare i vantaggi raggiungibili, l’alternativa possibile.
C’è poi da capire quanto debba essere ampia la fascia di popolazione che vuole la rivoluzione ed è capace di partecipare attivamente in essa, ovvero di rischiare la propria vita.
Credo che questo dipenda dalla forza repressiva (polizia ed esercito: e questi quanto sono disposti a obbedire a ordini che gli intimano di sparare sulla popolazione?) del parapotere politico e dal sostegno che, comunque, esso avrà dal resto della popolazione: ci sarà sempre chi beneficia dello status quo e che quindi ha tutto da rimetterci da un potenziale cambio di regime.
Anche in questo caso le variabili sono molte ma la logica è che più il potere politico è debole (meno forza bruta e sostegno da altre fasce della popolazione) e minore è la forza necessaria dei “ribelli” per insorgere con successo.
Poi sono necessarie le giuste contingenze: in particolare una figura carismatica che possa catalizzare le diverse aspirazioni e che guidi la rivolta. L’essere umano è un animale gregario che deve essere guidato: individualmente, anche nelle occasioni più favorevoli, difficilmente prenderà l’iniziativa. L’eccezione è l’imitazione: ovvero se vede molte altre persone attivarsi insieme. Ecco che allora si sentirà molto più disposto a seguirne l’esempio.
E poi serve una scintilla: un edificio può anche essere saturo di gas ma se nessuno accende la luce non esploderà.
Al riguardo avevo tempo fa trovato un azzeccatissimo aforisma: vediamo se lo ritrovo…
No, bo… mi pare che lo pubblicai anche su FB ma ormai molti mesi fa: non riesco a ritrovarlo. Ma il succo era semplice: occorre sempre una scintilla.
Non è un caso che alcune rivoluzioni si svolgano in maniera estremamente rapida, magari falliscono o riescono nel giro di ore: la mancanza di una scintilla può portare infatti a situazioni estremamente squilibrate dove il potere politico riesce a governare a lungo con una forza sempre più ridotta cosicché quando arriva la giusta scintilla crolla immediatamente senza riuscire a opporre una seria resistenza.
Poi, direi, è necessario l’appoggio di un qualche parapotere (magari anche esterno al sistema) che però cercherà di ottenere un proprio tornaconto in cambio dell’aiuto fornito.
Questo parapotere esterno può amplificare notevolmente la forza dei ribelli fornendogli armi e/o denaro o sostegno di altro genere. Anzi, questo tipo di rivoluzioni sobillate dall’esterno, stanno divenendo una forma comune di scontro fra le potenze politiche del nostro pianeta. Vedi Ucraina, Hong Kong, oppure i governi fantoccio dell’America latina o dell’Africa e simili.
Chiaro poi che se il parapotere che aiuta i ribelli è esterno al sistema allora, in realtà, i suoi interessi saranno spesso conflittuali con quelli della popolazione che, in altre parole, anche in caso di successo dovrà aspettarsi una o più fregature di qualche genere.
Quindi come inserire la situazione di fluidità in questo mio contesto?
Beh, forse ho capito: chiaramente gli ideali della popolazione sono diverse forme di protomiti: come spiego nel fondamentale capitolo 3.1 eventi che coinvolgono l’intera popolazione possono variarne anche significativamente gli epomiti, ovvero i protomiti che definiscono una certa epoca.
Ecco questo è il punto: chi rischia la vita per un principio farà tutto ciò che è in suo potere per proteggerlo. Questa è la situazione descritta dalla professoressa.
Però questo è il punto che è sfuggito alla Freeman: cosa innesca il cambiamento di epomiti? Ci vuole un’esperienza comune significativa. Personalmente, come ho scritto in passato, credo che questo elemento chiave fu costituito dalla guerra fra Inghilterra e colonie contro i francesi su suolo americano. I coloni come leali sudditi avevano difeso i territori “inglesi” e da leali sudditi, con tutti i diritti, avrebbero voluto essere trattati pochi anni dopo. Da qui il conflitto prima di principio, poi economico, che sfocerà poi in guerra vera e propria che, a sua volta, darà vita a nuovi epomiti ancora più sentiti e condivisi dalla popolazione americana.
Quindi in pratica nessuna novità: gli elementi teorici li avevo già tutti elencati e analizzati qua e là. Magari potrei farci un nuovo sottocapitolo anche se non saprei dove inserirlo: sarebbe teoria, quindi nella prima parte, però alcune riflessioni importanti sarebbero nel capitolo 7…
Conclusione: sapete cosa? Forse dovrei spostare il capitolo 7 all’interno della prima parte teorica. Ci penserò...
Nota (*1): per adesso!
alla prima stazione
1 ora fa
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