[E] Attenzione! Per la comprensione di questo pezzo è necessaria la lettura della mia Epitome (V. 1.7.1 "Sherlochulhu").
Oggi so da dove parto ma non dove arriverò: lettore avvisato è mezzo salvato.
Il punto di partenza è la seguente frase di Jean Domat (XVII secolo), «Il superfluo dei ricchi dovrebbe servire al necessario dei poveri ed invece il necessario dei poveri serve al superfluo dei ricchi. », che ho copiato da Fusaro su FB (v. bo, è sparita… forse l’ha cancellata? Comunque Fusaro citava solo la frase con in più un’immagine dell’autore).
Ma la mia considerazione comunque prescinde da Fusaro: quello che mi colpisce è la data, anzi il secolo. Nel XVII secolo era ben chiara e percepita l’ingiustizia sociale che pervadeva la Francia e, molto probabilmente, il resto delle nazioni europee.
Niente di nuovo: lo sappiamo che la società è sempre stata ingiusta. Però ci dimentichiamo che lo stesso vale per l’attuale: questo perché tendiamo a considerare il nostro tempo come il più progredito, dove/quando non è possibile modificare in meglio alcunché. È quello che io ho definito come il “paradosso dell’epoca” ([E] 6) e della cui esistenza si sono accorti tutti i grandi (ma anche medi!) pensatori.
Il meccanismo è sempre il medesimo: gli ideali del tempo giustificano e legittimano la diseguaglianza, fanno credere che sia inevitabile, che abbia delle giustificazioni valide, nascondono o scherniscono qualsiasi alternativa che possa riequilibrare, anche minimamente, le sperequazioni economiche. Al contrario, senza fattori esterni, la tendenza naturale è quella che porta a un progressivo incremento dell’ingiustizia ([E] 14.7).
Nel secondo dopoguerra, nei paesi occidentali, c’era stato un aumento dell’uguaglianza che si era trasformato in un benessere diffuso. Ma questa tendenza si è arrestata nel giro di una generazione e nel corso di un’altra si è decisamente invertita…
Davvero ho la sensazione che sia una lotta inutile: è l’uomo che è progettato così. È fatto per essere sfruttato, per accontentarsi delle briciole, per subire soprusi e ingiustizie. E come vi riesce?
Si illude di vivere nel migliore dei mondi possibile, crede alle favole dei media, agli sguardi mesmerici (e perfino a quelli da pesce lesso) dei politici, si beve i miti delle più assurde religioni su paradisi di beatitudine e inferni di punizione dopo la morte…
Inutile negarlo: c’è un buon 75% della popolazione composta da babbei che si fanno condurre per la cavezza da chiunque abbia il potere di trascinarli dove gli aggrada.
Nella realtà, nella stragrande maggioranza delle rivoluzioni, semplicemente uno sfruttatore si è sostituito a un altro: il popolo al massimo è stato usato come mezzo. Talvolta, a posteriori, si è voluto rileggere la storia dando alla popolazione degli ideali, delle motivazioni, che in verità, al momento dei fatti, neppure sognava esistessero ma che sono utili per giustificare il successivo stato delle cose…
In realtà questo pessimismo l’ho già avvertito ieri leggendo Marcuse. A meno di colpi di scena, al momento, il filosofo tedesco presenta una bellissima utopia per una nuova società completamente diversa dall’attuale: ma a margine ho già annotato una mia obiezione che va oltre la realizzabilità della visione di Marcuse ma che semplicemente ne evidenzia una contraddizione interna: per funzionare gli uomini dovrebbero essere degli artisti, degli spiriti indipendenti dotati di un’immaginazione capace di contrastare e, anzi, piegare a sé la ragione. Quante ne conoscete di queste persone? Vero è che adesso non possono vivere come vorrebbero ma anche così, a occhio, sarebbero forse l’1% della popolazione totale. Come la maggioranza delle persone non ha la razionalità necessaria per vedere oltre i più palmari inganni, ancora meno numerose sono quelle dotate di una creatività degna di nota. La maggior parte degli individui, al “principio del gioco” di Marcuse, probabilmente preferirebbero il cappio dell’attuale “principio di realtà” proprio per evitare lo sforzo di essere liberi.
Non ricordo dove l’ho letto né di chi sia ma cito a memoria: “La maggior parte delle persone non vuole essere libera ma semplicemente avere dei padroni che non l’opprimano”.
Ed è la verità, temo.
Quindi?
Quindi, indipendentemente dalla correttezza o meno delle mie teorie (o di quelle di pensatori/statisti/filosofi ben più illustri di me), l’uomo non sarà mai libero perché in realtà non vuole esserlo.
Perché le pecore vivono in greggi? Non dipende dal pastore! Se anche l’umanità sparisse dall’oggi al domani le pecore continuerebbero a stare vicine l’una all’altra: non ci sarebbero pecore coraggiose che andrebbero a vivere per conto proprio. Questa è la natura della pecora mentre la natura dell’uomo è avere un padrone e imitare l’esempio dei propri simili ignorando sia la ragione (che mostra come l’ingiustizia sia palese) che la fantasia (che dovrebbe fornire la capacità di immaginarsi un’esistenza migliore).
Conclusione: cari miei belanti e zelanti lettori cosa posso dirvi? La verità per quanto nascosta e falsata dai media è ormai palese: abbiate quindi la fantasia, in questo caso il coraggio, di trarne le giuste conclusioni. Prendete in mano la vostra vita e smettete di subirla: se non vi piace cambiatela, non state a sentire i vostri conoscenti: nella stragrande maggioranza dei casi saranno pecore e vi daranno consigli da pecora!...
alla prima stazione
1 ora fa
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