Il corso di modellizzazione continua a stupirmi: mi aspettavo qualcosa di diverso, ovvero un corso che insegnasse come costruire nuovi modelli, su quali principi basarsi, a cosa stare attenti, etc...
In realtà, dopo quattro lezioni, mi sono reso conto che non è così. Il corso mostra diversi tipi di modelli (alcuni appena lontanamente considerabili tali) e gli usi che si possono fare di essi.
Invece di insegnare i principi generali si esaminano tanti casi particolari: eppure, forse anche grazie a questa varietà di contenuti, non mancano gli spunti interessanti.
Nell'ultima lezione il professor Page ha mostrato dei semplici modelli di crescita economica di cui il primo non prevede l'innovazione mentre il secondo (chiamato "modello di Solow" dal nome del suo ideatore) sì.
Come detto si tratta di modelli estremamente semplici ma, proprio per questo, importanti perché mettono chiaramente in evidenza quali siano gli elementi essenziali dell'economia.
Nel primo modello le uniche variabili presenti sono i lavoratori, il capitale di produzione (*1) ovvero gli investimenti e due tassi: quello di investimento (*1) ti e quello di obsolescenza (*1) to.
Il tasso di investimento indica la parte di produzione che viene reinvestita mentre quello di obsolescenza indica la parte di investimento che viene persa nel tempo. Ah, c'è anche il coefficiente β che indica semplicemente quale peso dare ai lavoratori e quale agli investimenti: un buon β può essere ½.
Da questi fattori è possibile calcolare la produzione (o il GDP se si applica a uno stato).
Al tempo t si ha infatti:
Produzione P = L^(β)*I^(1- β)
Ma l'investimento I al tempo t+1 non rimane costante ma varia secondo la seguente formula:
I(t+1)=I(t) + ti * P(t) – to * I(t)
Con qualche semplice calcolo si può osservare che la produzione (ovvero P) non cresce indefinitamente ma raggiunge un equilibrio.
Il modello di Solow introduce al precedente modello la sola variabile ricerca R:
P = R * L^(β)*I^(1- β)
Con altri semplici calcoli si osserva che l'investimento I dipende in maniera esponenziale da R. Ovvero (con β = ½) se A triplica allora l'I cresce di nove volte e parimenti cresce la produzione.
Ovviamente se A fosse costante si raggiungerebbe comunque un punto di equilibrio anche se (a parità degli altri parametri) molto più alto.
Se però si presuppone che una parte della produzione venga investita in ricerca allora si può avere una crescita indefinita.
Ma cosa c'è di così importante in quanto detto?
Semplicemente la constatazione di quanto sia (o dovrebbe essere) universalmente risaputo, almeno fra chi ha fatto studi di economia, l'importanza della ricerca.
I nostri politici se ne riempiono la bocca ma è ovvio che non si rendono conto della sua reale importanza: è qualcosa che i sudditi (ehmm... cioè le aziende private) dovrebbero fare ma che alla politica interessa ben poco. Eppure una piccola crescita della ricerca (che può essere vista anche come tecnologia) ha effetti enormi sulla crescita economica del paese (o dell'azienda).
Anzi, rinunciare alla ricerca equivale a rinunciare alla crescita perché senza di essa la stagnazione è inevitabile.
Ho la sensazione che nei paesi anglosassoni, o comunque culturalmente più evoluti del nostro, questa semplice verità sia ormai una conoscienza scolastica nota a tutti: per questo considerata un'ovvietà tanto che, chi afferma il contrario, deve essere un pazzo o uno stolto. Il professor Page ha citato le dichiarazioni di due presidenti USA, Regan e Obama, dove entrambi hanno ribadito l'importanza per l'economia della ricerca.
Ma cos'è di preciso la variabile R che nel modello ho chiamato “ricerca”? Beh, un modello così semplice, che però vuole rappresentare una realtà estremamente complessa come l'economia di un paese, deve essere interpretato con una certa elasticità: con R non si intende quindi la sola ricerca ma anche l'innovazione tecnologica e la formazione di scienziati e ingegneri.
Anzi, alla fine della lezione, il professore ha spiegato che questo modello di crescita può essere un'utile lezione su come anche il singolo individuo dovrebbe gestirsi per divenire più produttivo: in pratica non dovrebbe mai smettere di imparare perché così facendo moltiplica le proprie capacità ed efficienza.
Il professore ha anche brevemente accennato al perché alcuni paesi non crescano: uno dei motivi è la corruzione che sottrae risorse all'economia. Tale corruzione C può essere vista come una variabile analoga a quella della ricerca (R) ma minore di uno: anch'essa ha un effetto esponenziale sull'economia. Se la corruzione assorbe un decimo delle risorse (C=.9) la produzione (o la ricchezza collettiva) si riduce del 20% (0.81).
Probabilmente potrei chiudere qui questo pezzo che già così com'è dovrebbe dare molto da pensare a quanto dovrebbero fare i nostri politici ma, anche per soddisfazione personale, preferisco unire personalmente i vari puntini....
L'anno scorso, per farmi qualche risata, mi misi a cercare in rete i video con Renzi che parlava in inglese. Un giorno ne trovai uno dove veniva intervistato da una nota giornalista della CNN che, fra le altre cose, gli chiese cosa pensasse del problema della “fuga dei cervelli”. Renzi non si scompose e disse qualcosa del tipo “Non è un problema...” al che la giornalista ebbe un evidente sobbalzo di stupore e riformulò la domanda per verificare di aver capito bene: sì, aveva capito bene, Renzi le spiegò infatti che questi cervelli in fuga permettevano all'Italia “di essere conosciuta nel mondo”.
All'epoca pensai che Renzi non si era mai neppure lontanamente posto il problema e, anche se si era accorto dello stupore allibito della giornalista, piuttosto che fare un passo indietro aveva preferito arrampicarsi sugli specchi inventandosi su due piedi una puerile spiegazione.
Ora però capisco meglio anche la reazione della giornalista: per lei doveva essere ovvio che la “fuga dei cervelli” impoverisce sensibilmente il paese. In altre parole la fuga dei cervelli contribuisce a quello che nel modello di Solow è il fattore della ricerca che, come spiegato, è l'elemento indispensabile per far crescere l'economia di un paese.
Suppongo che la giornalista americana, almeno intuitivamente ben consapevole della relazione fra benessere di una nazione e la ricerca, si aspettasse una risposta magari di circostanza (tipo “faremo di tutto per combattere la fuga dei cervelli, vogliamo promuovere la ricerca nel nostro paese per rilanciare l'economia e...”) ma di tenore completamente opposto a quella ricevuta...
Da quel momento in poi mi sembrò che l'atteggiamento della giornalista fosse profondamente cambiato: “vabbè... ho capito con chi ho a che fare...”
Ecco adesso mi è venuto voglia di rivedere quell'intervista! Spero di riuscire a ritrovarla... se ci riesco, ovviamente, pubblicherò qui il collegamento a essa...
Modificato 18/4/2016: a distanza di un anno ricordavo abbastanza bene... Ho ritrovato il video! Ecco qui:
La parte incriminata va da 2' 10” a 3' 05”: notare il “really?!” stupito della giornalista quando Renzi le risponde che il “brain drain” non è un problema. Poi, per la precisione, Renzi non dice che gli italiani all'estero sono un bene perché fanno “conoscere l'Italia” ma dà un'altra spiegazione comunque sempre piuttosto casuale: gli italiani all'estero aiuteranno a cambiare non l'Italia ma il mondo.
Comunque l'inglese di Renzi è raccapricciante... almeno evitasse di fare tutte quelle smorfie...
Sempre rimanendo in tema d'attualità il professor Page ha spiegato anche il concetto della “creatività distruttrice”: ovvero delle innovazioni tecnologiche che distruggono un tipo di industria ma ne creano un'altra. L'esempio più calzante è stato quello dell'industria musicale: immaginatevi una serie di curve a campana, sempre più grandi che si susseguono una dopo l'altra.
La prima campana è quella dell'industria del vinile, contemporaneamente alla sua parabola discendente c'è l'ascesa dei nastri magnetici, poi quella del CD che, al momento, è in picchiata mentre è invece in vertiginosa ascesa il digitale in rete...
Queste rivoluzioni, sebbene possano temporaneamente penalizzare una fascia di lavoratori, nel lungo periodo creano nuove opportunità di lavoro in altri campi e contribuiscono alla crescita del benessere collettivo. Va da sé che quando un settore entra nella parabola discendente ha poco senso cercare di sostenerlo artificialmente a scapito della novità che andrà a sostituirlo: l'industria aiutata può averne un sollievo temporaneo ma la collettività ci rimette perché nel frattempo opportunità favorevoli per le nuove tecnologie vanno in fumo o accumulano gravi ritardi nei confronti dei concorrenti che operano in altri paesi più lungimiranti.
Valutate voi il comportamento del governo Renzi da questo punto di vista. Copio e incollo alcuni passaggi tratti dall'articolo L'appello di 50 professori e scienziati per il “sì” al referendum (v. il corto Buchi nell'acqua):
«...il consumo dei combustibili fossili è in continuo calo (- 22% di gas e -33% di petrolio negli ultimi 10 anni), grazie al boom delle fonti rinnovabili (idroelettrico, fotovoltaico, eolico, geotermico, biomasse) che hanno già contribuito a cambiare il sistema energetico italiano ed oggi coprono il 40% della domanda elettrica...»
e anche
«Oggi tutto sta cambiando: le rinnovabili costituiscono il presente ed il futuro dello sviluppo e rappresentano la prima voce di investimento nel mondo, mentre le fonti fossili rappresentano il passato e gli investimenti in questo settore sono crollati e il 35% delle compagnie petrolifere, secondo l’ultimo rapporto della società di consulenza Deloitte, è ad alto rischio di fallimento già a partire dal 2016, con un debito accumulato complessivamente di 150 miliardi di dollari.»
e
«...le stime ufficiali (fonte Isfol) riguardanti l’intero settore di estrazione di petrolio e gas in Italia parlano di 9mila impiegati in tutta Italia e 3mila nelle piattaforme oggetto del referendum. …
...per le politiche volute dagli ultimi governi ed aggravate dal governo Renzi, nel 2015 si sono persi circa 4 mila posti nel solo settore dell’eolico e 10mila in tutto il comparto. L’unico modo per garantire un futuro occupazionale duraturo è quello di investire in innovazione industriale e in una nuova politica energetica. Tutte le previsioni parlano di un settore delle rinnovabili in espansione, che in Italia potrebbe generare almeno 100mila posti di lavoro al 2030.»
E gli scienziati che hanno elaborato questo documento non sono contro Renzi: adesso mi è evidente che illustrano una tendenza globale già in atto e, probabilmente, ben nota a chi si intende minimamente di macro economia.
Ma in Italia la linea politica la dettano le lobbi e i fidanzati delle ministre. E sapete quale sarà il risultato? anche da noi arriveranno le fonti energetiche alternative perché è inevitabile: ma arriveranno più tardi e saranno in mani straniere perché noi (cioè i vari governi) non abbiamo avuto la lungimiranza di promuovere lo sviluppo di questo settore strategico...
Conclusione: questa settimana voglio tornare al corso di filosofia...
Nota (*1): come al solito non conosco gli equivalenti termini tecnici in italiano e quindi li traduco a mio piacimento e, forse, impropriamente...
L'esempio di Benjamin Franklin
47 minuti fa
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