Ho completato la 13° lezione del corso di filosofia morale/politica/quello che è: in pratica è la continuazione della 12° della quale riprende e approfondisce molti temi.
In generale sto apprezzando molto il professor Sandel che riesce a rendere comprensibili e digeribili degli argomenti normalmente piuttosto astrusi però, proprio in questa lezione, presenta una sua interpretazione del pensiero di Kant che non mi convince per niente.
In realtà in questo caso particolare nemmeno Kant mi convince: dovrei leggere il testo originale per chiarirmi le idee ma la traduzione in italiano che ho (sigh!) comprato è completamente incomprensibile (*1).
Io stesso non mi so decidere e ho la sensazione che la questione resterà a sobbollire nel mio cervello per molti anni prima che mi decida del tutto in una direzione...
Ma qual è il problema all'origine di tutti questi dubbi?
La questione è molto semplice: Kant nella sua opera aveva precisato che non si debba MAI mentire.
Un filosofo francese, Benjamin Constant, l'aveva pubblicamente sfidato presentandogli il seguente semplice scenario: supponiamo che un nostro amico si presenti a casa nostra, inseguito da un assassino, e ci chieda di nasconderlo. Subito dopo arriva l'assassino che ci chiede se il nostro amico è da noi: in questo caso è moralmente lecito mentire all'assassino per salvare il nostro amico? Secondo Constant sì perché l'assassino non si merita la nostra onestà.
Kant rispose dicendo che agli imperativi categorici (le cose giuste da fare e, in questo caso, dire sempre la verità) non si possono trovare eccezioni perché altrimenti non sarebbero imperativi categorici: in altre parole, per Kant, nemmeno nello scenario in questione sarebbe moralmente corretto mentire. Non importa quale sia il pericolo corso dall'amico: la sua eventuale morte sarebbe solo una conseguenza e la moralità di un'azione va considerata di per sé e non per ciò che comporta.
O questa è almeno quanto ho capito della spiegazione dell'opinione di Kant fornita dal professor Sandel...
E a questo punto il professor Sandel ha introdotto la propria opinione personale.
Io ho chiamato “bugie bianche” le bugie dette a fin di bene ma il professor Sandel usa tale definizione per le verità volutamente fuorvianti: come spiegato nel precedente Abbasso le bugie bianche non c'è dubbio che Kant fosse contrario alle bugie dette a “fin di bene” ma, secondo Sandel, potrebbe aver considerato lecito dire qualcosa di vero ma volutamente fuorviante.
Nello scenario ipotizzato, se l'assassino si fosse presentato alla porta di Kant, egli gli avrebbe potuto dire “non so dove sia...” perché, in quel preciso momento, effettivamente non avrebbe saputo dire se si nascondesse sotto il letto o se si fosse chiuso nell'armadio...
Mi pare però palese che questo modo di ragionare sia in contraddizione col principio basilare di Kant dell'importanza della motivazione nell'azione morale: per Kant non basta fare la cosa giusta ma bisogna anche volerla fare per il giusto motivo. Il voler ingannare un'altra persona non potrà mai essere un giusto motivo visto che equivalerebbe a trattarla come un mezzo e non come un fine: di conseguenza il voler ingannare è una motivazione che non dà alcuna legittimità morale al dire una verità volutamente fuorviante.
Sandel giustifica la sua supposizione basandosi su una lettera che Kant scrisse all'imperatore Guglielmo II che gli ordinava di interrompere il suo insegnamento su alcuni specifici argomenti in contrasto con la religione. Kant gli rispose con una lettera che iniziava con “Come leale suddito di Vostra Maestà, sospendo le mie lezione bla bla bla...”
Secondo Sandel, Kant sapeva che l'imperatore non sarebbe vissuto a lungo e per questo aveva volutamente pesato bene le proprie parole: il “Come leale suddito di Vostra Maestà” va interpretato come “fin tanto che l'imperatore è vivo” e, infatti, appena l'imperatore morì, Kant si sentì libero di riprendere a insegnare anche le materie contestate.
Eppure a me non pare la stessa cosa: la frase di Kant era completamente vera non solo nella forma ma anche nella sostanza almeno fino a quando l'imperatore fosse stato vivo; e, inoltre, per quanto si dicesse che l'imperatore sarebbe morto presto ciò non era sicuramente detto... (*2)
Al contrario la “bugia bianca” detta all'assassino è vera nella forma ma è anche, da subito, falsa nella sostanza.
Quindi la penso esattamente come Kant? Non proprio...
Anche Kant afferma che l'uomo vive contemporaneamente nel mondo sensibile (delle necessità) e nel mondo intellegibile (della ragione): proprio questa ambiguità di collocazione provoca lo scollamento fra quello che si fa e quello che si dovrebbe fare.
La mia sensazione è che lo scenario dell'assassino sia un caso limite in cui si debba agire sul piano puramente sensibile: l'irrazionalità stessa della volontà di uccidere dell'assassino ci dà una traccia in tal senso. In una simile contingenza il mentire non è né vuole esserlo un'azione morale ma è invece una azione puramente sensibile. Questo non significa che l'imperativo categorico di dire sempre la verità abbia almeno questa eccezione: l'imperativo categorico è infatti sempre valido ma solo nel mondo intellegibile!
Anzi, l'azione che nel mondo sensibile era “dire una bugia” equivale nel mondo intellegibile a “salvare una vita”: è la contingenza estrema che giustifica la trasformazione.
Eppure qui l'ho scritto e qui lo nego: piegare la morale a un'emergenza mi pare pericoloso e troppo facilmente abusabile. Come spiegato non sono ancora totalmente convinto del mio punto di vista.
Sono certo che l'interpretazione del professor Sandel sia sbagliata ma non sono altrettanto sicuro che Kant abbia torto: certamente non bisogna valutare l'azione in base alle sue conseguenze...
Ad esempio io potrei mentire all'assassino, salvando probabilmente il mio amico, ma il primo potrebbe allora scendere le scale e uccidere mia moglie e decine di altri innocenti: la differenza è che questa seconda ipotesi sarebbe leggermente più improbabile. Ma lo scenario è improbabile di per sé dato che si basa tutto sul dire il vero o falso all'assassino quando basterebbe semplicemente tenere la porta chiusa!
Conclusione: forse, come ha suggerito uno studente, è un falso problema e si tratta solo di scegliere fra due imperativi categorici: salvare un innocente e dire la verità.
Non so l'opinione di Kant al riguardo ma ho la sensazione che fare una gerarchia di imperativi categorici puzzi di utilitarismo... comunque la prossima settimana torno alla modellizzazione!
Nota (*1): per i particolari rimando a Tuffo nel passato...
Nota (*2): Sandel ha anche ricordato la “relazione sessuale” che Clinton aveva pubblicamente negato di aver avuto con Monika Lewinsky: la difesa di Clinton fu, giocando sulle definizioni del vocabolario, che un “rapporto orale” non equivaleva a una relazione sessuale ma era “sesso improprio”. Come dire che infilare un cacciavite nel cuore di un uomo non equivale a pugnalarlo perché il cacciavite è un pugnale improprio...
Probabilmente, se Clinton non fosse stato il presidente degli USA, sarebbe stato condannato per offesa alla corte avvalendosi di una tale difesa!
Per la cronaca, dal mio punto di vista, la frase di Clinton era falsa al 99% nella forma e al 200% nella sostanza...
L'esempio di Benjamin Franklin
29 minuti fa
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