Oggi sono di umore melanconico: non so da cosa dipenda... però ultimamente il mio naturale buon umore sta perdendo colpi...
Per questo ho voglia di parlare di me: Freud diceva che l'introverso è morbosamente interessato a sé stesso... Ma è possibile negare assolutamente l'utilità dell'introspezione?
Sono convinto che per avanzare talvolta sia necessario dirigersi dentro noi stessi. Certo non bisogna esagerare!
Comunque, proprio stanotte, complice la periodica insonnia, mi è capitato un fenomeno che, fin da quando ero un ragazzo, talvolta si manifesta...
È difficile da spiegare: è primariamente una sensazione di distacco fra me e... me!
Non è che “esco” dal corpo: assolutamente no! (*1)
Piuttosto, perdonate l'inadeguatezza delle mie parole, perdo il senso della realtà: cioè la vita di tutti i giorni con le sue gioie e i suoi dolori mi pare divenire una finzione, una specie di commedia (o tragedia) nella quale recito, senza troppa convinzione né talento, la mia parte.
Attenzione, non è che cado in una specie di solipsismo, ovvero non ritengo irreale, frutto della mia immaginazione, quello che succede intorno a me (*2): piuttosto è la mia prospettiva sulla vita che si amplia enormemente e mi permette di contemplarla con inusitato distacco.
Un'analogia potrebbe essere il vedere una strada percorrendola in auto, quindi sequenzialmente e sempre, più o meno, nel presente oppure vederla dal finestrino di un aereo, riassunta tutta insieme nella sua interezza.
In questi momenti sono perfettamente consapevole di come tutto, sia gioie che dolori, sia futile, irrilevante nello schema più grande dove la nostra vita è solo un piccolo dettaglio. Sì, perché, tornando alla mia analogia, se si immagina la vita come un viaggio in macchina fra la partenza, la nascita, e l'arrivo, la morte, si potrebbe avere la sensazione che essa sia solo ciò che si vede (e si è visto) attraverso il parabrezza; se però ci alziamo in volo, allora possiamo vedere chiaramente anche tutte le strade che non abbiamo preso, ciò che è prima della partenza e quello che è oltre l'arrivo: possiamo cioè osservare non solo la nostra strada ma l'intera regione della quale essa è solo una delle tante arterie...
Credo che molte filosofie e religioni orientali si propongano di raggiungere questo distacco dal sé che a me viene così naturale: anzi credo che oramai potrei calarmi (anzi innalzarmi!) in questo stato a volontà... Forse, proprio per questo, non lo ritengo un grande obiettivo: anche perché di natura sono un ottimista romantico mentre, in tale stato di coscienza, tutto è neutro e indifferente. Per quanto lo sguardo possa spaziare lontano non ne sono particolarmente affascinato...
Chiedo venia ai miei lettori per il pezzo particolarmente tedioso e vano.
Nota (*1): mi piacerebbe provare a “uscire” dal corpo ma non mi è mai successo!
Nota (*2): ecco, credo che questo particolare sia molto importante per distinguere il mio stato da qualche strana forma di nevrosi. Rimango conscio di cosa sia la realtà e di cosa essa rappresenti: per questo, ad esempio, non mi passerebbe mai per la mente di tagliarmi un dito perché “tanto il dolore è irreale”, “tanto non mi serve” o cose del genere!
alla prima stazione
1 ora fa
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