Era un masso, un bel masso: squadrato ma non troppo, cubeggiante ma smussato.
Ogni mattina si svegliava, su un alto sperone di roccia, a precipizio sul fianco della montagna: si riscaldava ai raggi del primo Sole e guardava lontano fin dove il panorama si perde nella foschia. Il vento l'accarezzava e la pioggia lo rinfrescava: certo era un po' solo ma, essendo nato e vissuto sempre lì, non sapeva di esserlo e perciò non se ne rammaricava.
Poi un giorno un semino portato dal vento si appoggiò a lui tutto tremante, il masso lo vide e lo trattenne a sé proteggendolo col suo corpo. Il semino mise radici e lentamente sbocciò una fiorellina bellissima, dalla pelle lattea e le ciglia lunghissime.
Il masso, anche se lei era molto più giovane di lui, se ne innamorò subito e ogni giorno gli sembrava ancora più bello per il solo fatto di viverlo con lei al suo fianco. Il masso aveva grandi progetti: a lungo termine come solo i massi sanno fare. La fiorellina in realtà non si curava dell'amore del masso ma lui non se ne preoccupava perché era paziente e si illudeva che le sue lente parole, prima o poi, avrebbero fatto breccia nel cuore di lei.
Invece accadde l'inverso: la piantina cresceva e non ascoltava il masso che le chiedeva di stare attenta con le sue radici che gli solleticavano la pancia. Infatti la fiorellina seguiva il suo istinto che le diceva di crescere il più possibile per poi trovarsi come amante un suo simile, un altro fiore cioè, più bello e colorato del brutto masso accanto a lei. Seguiva la sua natura, seguiva la sua strada: chi avrebbe potuto darle torto?
E così furono le sue radici che, strisciando in profondità nel terreno, fecero breccia! Crescendo e facendosi forti lentamente crearono una fessura nel palmo di terra dove giaceva il masso: una sera piovve e l'acqua penetrò nel terreno, la notte l'acqua divenne ghiaccio e al mattino, subito prima dell'alba, il masso si svegliò di soprassalto rendendosi conto che stava precipitando!
Mai prima di allora il masso aveva parlato (se non con il suo cuore) ma mentre cadde ad altissima velocità urlò sibilando sia per il dolore ma soprattutto per la paura: rimbalzò scheggiandosi su altre rocce e, in pochi attimi, fece salti nell'aria di centinaia e centinaia di metri.
Alla fine piombò su un ghiacciaio dove scivolò a lungo, verso valle, prima di fermarsi tutto indolenzito. Il masso era capovolto e, per questo, molto confuso: non capiva perché il cielo fosse in basso e la terra, ovvero il ghiaccio, in basso.
Proprio quando stava iniziando ad abituarsi alla sua nuova posizione il ghiacciaio iniziò a sciogliersi e, improvvisamente, il masso riprese a scivolare, sempre più velocemente, sempre più verso valle.
Finì nello stretto letto di un ruscello ai piedi del ghiacciaio. A forza di rotolare gli girava la testa: si guardò intorno preoccupato. Era abituato a vedere sempre e soltanto il Sole, le nuvole e grandi spazi aperti: ma adesso era circondato da muschio gigante (non sapeva che si trattava di alberi!) che gli facevano ombra e gli permettevano di vedere solo un piccolo spicchio del cielo. Inoltre si allarmò per l'acqua che gli scorreva all'altezza della vita: in poche migliaia di anni lo avrebbe levigato tutto!
Però il masso era un inguaribile ottimista e nutriva sempre la speranza di riuscire a rotolare verso l'alto fin su, in cima al suo vecchio sperone di roccia, sul fianco della montagna dove sicuramente la sua fiorellina lo aspettava trepidante. Provò e riprovò ma quando, dopo innumerevoli tentativi infruttuosi, capì che per rotolare era necessaria una pendenza, si consolò pensando che almeno la sua nuova posizione sembrava sicura: era ben incastrato nel terreno e, la poca acqua che scorreva intorno a lui, non sarebbe mai riuscita a smuoverlo.
Ma poi arrivarono le piogge, piogge torrenziali che raramente aveva visto di tale furia quando viveva sul suo sperone protetto dalla montagna: l'acqua iniziò ad alzarsi e a spingerlo sempre più forte, il masso cercò con tutte le sue forze di rimanere immobile ma la sua volontà fu spazzata via dall'impeto della corrente e così prese a rotolare lungo il letto del ruscello.
Rispetto alle testate che aveva preso cadendo dalla montagna i colpi che prendeva adesso non erano niente: si disse che doveva aver solo un po' di pazienza, che la pioggia avrebbe cessato di cadere e il ruscello l'avrebbe lasciato riposare da qualche parte.
La pioggia in effetti cessò ma il ruscello non diventò meno irruento perché, nel frattempo, era cresciuto ed era diventato un torrente.
Per molto tempo il masso continuò a rotolare sguazzando nell'acqua: più volte chiese aiuto ai grossi macigni ai quali passava vicino ma questi lo ignorarono sempre. A volte rimaneva impantanato nel fango ma non rimase mai nello stesso posto troppo a lungo perché l'acqua, almeno così gli sembrava, ce l'aveva con lui e, presto o tardi, iniziava a spingerlo con abbastanza forza da farlo ricominciare a rotolare.
Un giorno che aveva piovuto e l'acqua fangosa scorreva impetuosa facendolo rotolare molto più velocemente del solito andò a sbattere con tale violenza contro il pilastro di un ponte che, per un attimo, fu catapultato fuori dall'acqua per ricaderci subito dopo, di pancia, con un tonfo sordo e alti schizzi tutt'intorno.
Il masso ancora non lo sapeva ma quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe respirato l'aria: infatti poco dopo il torrente si gettò in un fiume, grande e forte, e il povero masso si trovò sul fondo dell'alveo a essere spintonato da pietroni ben più grossi di lui che cercavano di intimidirlo con la loro prepotenza.
Il masso perse così il senso del tempo: oramai, più o meno velocemente, rotolava quasi sempre...
Un giorno il fiume attraversò una città ma lui non se ne accorse fino a quando non bevve per sbaglio un sorso d'acqua: questa aveva un sapore terribile perché una fogna di liquami ne inquinava il corso. Da allora stette attentissimo a tenere la bocca chiusa.
C'erano molte altre cose schifose che fluttuavano nell'acqua ma, almeno in questo caso, il fato volle essere clemente con il povero masso e lo fece impigliare in un sacchetto di plastica che gli impedì di vedere la sozzura che lo circondava.
Dopo qualche giorno il sacchetto era così lacero che il masso riuscì a liberarsi dalla sua stretta appiccicosa: l'acqua era sempre sporca ma il lordume si era diluito e non si notava più tanto.
Proprio quando il masso stava imparando a rotolare senza farsi male, si ritrovò su un fondo sabbioso e si accorse che il fiume non lo spingeva più come prima, come se la sua forza si fosse rarefatta dimenticandosi di lui.
Poi arrivò la marea è il masso si ritrovò la pelle tutta irritata dal sale: almeno però l'acqua sembrava più pulita, lo si capiva anche dai pesci che gli nuotavano intorno e l'annusavano incuriositi. Fu così che, con molta prudenza, il masso provò ad assaggiare la nuova acqua: fu costretto a sputacchiarla subito perché era troppo salata e gli faceva dolere lo stomaco!
Non c'era più il fiume a spingerlo ma adesso erano le correnti marine che lo facevano rotolare sul fondo del mare: a volte lo facevano avvicinare alla riva ma, molto più spesso lo facevano sprofondare sempre di più.
Il masso poteva ancora capire quando era giorno dalla luce in alto sopra di lui e, quando l'acqua era più limpida, si meravigliava dei pesci colorati che sembravano volargli intorno.
Un giorno, dopo una tempesta particolarmente forte, iniziò a rotolare lungo una scarpata subacquea per un dislivello addirittura maggiore di quello dallo sperone, sulla natia montagna, fino al ghiacciaio mille e passa metri al di sotto. L'acqua era decisamente più buia e fredda e il masso involontariamente rabbrividì: però la corrente, seppur lentamente, continuava a spostarlo. Piano piano questa corrente gelida diventò più debole fino a quando, dopo averlo spinto con un ultimo sforzo dentro una depressione, sparì del tutto: il povero masso si ritrovò fermo accanto a un vecchio sasso dalla barba bianca che lo salutò con una smorfia di disprezzo. Visto che l'anziano sasso sembrava così ben disposto nei suoi confronti gli chiese da quanto tempo si trovasse lì e se la corrente tornava mai a essere forte. Il vecchio era un solitario, squadrato come un mattone, e non aveva molta voglia di parlare con questo invadente sconosciuto ma pensò che, se voleva avere un po' di pace, era meglio placare subito la curiosità del giovane scocciatore. Figliolo, gli disse, qui siamo in una buca e non c'è mai nessuna corrente: da quando, mille e mille anni fa, finii quaggiù non mi sono mai mosso di un millimetro, e ora stai zitto e lasciami riposare in pace!
Il masso ringraziò educatamente e si preparò ad aspettare (i massi sanno essere molto pazienti anche quando non hanno niente da fare) facendo un pisolino.
Si era appena abbioccato quando fu svegliato di soprassalto da una pedata!
Due calamari giganti, lunghi oltre dieci metri, stavano lottando fra loro e il povero masso si era ritrovato nel vivo dello scontro: la battaglia infuriava senza esclusioni di colpi e il masso cercò di farsi piccino piccino (ma senza riuscirci!) per evitare di essere urtato nuovamente. Ma, proprio quando la mischia si fu allontanata di qualche metro, e il peggio sembrava essere passato, il gambero sconfitto e inseguito corse via disperatamente e, passando vicino al masso, lo urtò con tale violenza da scagliarlo fuori dalla depressione dove si trovava.
Pur nella luce fiochissima il masso non poté non notare lo sguardo di disapprovazione del vecchio sasso...
Fuori dalla buca il fondale era di nuovo in pendenza e la corrente, decisamente intensa, riprese a farlo rotolare verso il basso, nell'acqua sempre più scura e fredda, verso una spaccatura nel fondale che sembrava gigantesca e senza fondo.
Fortunatamente il bordo di quel canyon sottomarino era rialzato, come fosse il margine irregolare di una ferita infetta, e così il masso smise di rotolare a una distanza di sicurezza di svariati metri dal baratro.
La posizione sembrava ragionevolmente sicura: la corrente era lenta e costante, una fredda mano che lo spingeva verso la fenditura nella terra (non la poteva vedere ma ne sentiva l'oscura presenza) ma non abbastanza forte da fargli risalire il dislivello di pochi centimetri di solida roccia che lo separavano dal vuoto. Era freddo, buio e c'era molto silenzio. La luce del sole era fiochissima e appena si intuiva quando era giorno. Il masso, non avendo di meglio da fare, si mise a contare i giorni: era quasi arrivato a diecimila quando l'ombra di una balena lo distrasse e lui dovette ricominciare da capo. Dovete sapere che contare i giorni per un masso e come per un uomo contare le pecore: senza accorgersene il masso sprofondò in un sonno profondo. Sognò che un sottomarino lo trovava e con delle pinse metalliche lo prendeva con sé per riportarlo in superficie; qui un anziano montanaro in pensione, con la barba e i capelli bianchi come neve, lo scrutava per bene con una grande lente. Improvvisamente lo riconosceva come un suo vecchio amico e, dopo avergli sorriso e salutatolo con una carezza sul suo testone duro, lo affidava al proprio giovane nipote affinché lo mettesse nello zaino per riportarlo su su fino al suo vecchio sperone in cima alla montagna: qui fiorellina, per farsi scusare per la brutta disavventura che pur senza volerlo aveva provocato, aveva preparato per lui una bella torta di licheni. E per molti anni visse felice insieme a fiorellina: i sogni dei massi sono infatti molto lenti e durano a lungo. Un sogno bellissimo da cui però il masso fu bruscamente svegliato.
Un debole terremoto lo fece tremare mentre rumori cupi e profondi venivano dalla voragine. Ma le deboli scosse in verità lo fecero scivolare indietro, allontanandolo di un mezzo passo dal bordo dell'abisso.
Sono stato fortunato! anzi il terremoto mi ha appena spostato di un poco dall'orlo del precipizio! Pensò soddisfatto il masso ma, proprio in quel momento, il costone su cui si trovava collassò con un boato terribile e sprofondò nelle viscere della terra.
Il masso cadde e cadde sempre più in profondità attraversando l'altezza di dieci montagne finché non arrivò sull'estremo fondale della Fossa delle Arianne (così nella sua ignoranza di masso di montagna pensava si chiamasse).
Quando il masso si riprese tutto era buio, veramente e totalmente buio, l'acqua era immota e non c'era alcun suono: la pressione era però fortissima e il masso dovette compensare per non farsi sfondare i timpani.
Il silenzio era assoluto ma dopo un periodo di tempo lunghissimo i sensi del masso si affinarono a tal punto che questi si accorse di essere in grado di percepire delle debolissime vibrazioni propagarsi dal fondo del terreno: dei rombi lenti e titanici di una potenza inaudita. Allora il masso capì di essere giunto vicino al grembo di sua madre, la Terra, che l'aveva generato tanti milioni d'anni prima dall'altra parte del mondo.
Capì che presto (relativamente a un masso giovane come lui, che si sarebbe ragionevolmente potuto aspettare di vivere per altre centinaia di milioni d'anni) sarebbe tornato, com'è giusto che sia, alla madre per morire e poi rinascere forgiato a nuovo.
Ripensò allora all'aria pura della montagna, alla splendente luce del Sole e alla delicata pioggia che solea solleticarlo tutto: se avesse avuto gli occhi avrebbe pianto amare lacrime. Eppure il suo rimpianto più grande ma anche il suo ricordo più caro era sempre e solo l'amatissima fiorellina. Perché è vero, come si dice, che i massi sono duri, molto duri, di comprendonio ma è altrettanto vero che il loro cuore quando ama è sincero e fedele. Si dice anche che il cuore di un masso sia più prezioso di un diamante ma questo, in verità, io che scrivo non so se sia vero perché, almeno così mi risulta, pochi l'apprezzano...
lunedì 8 aprile 2013
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