Sono in partenza quindi pubblico solo questo breve corto.
Mentre facevo colazione ho guardato questo video: Why you don’t hear about the ozone layer anymore su YouTube.com
Ripercorre rapidamente la “storia” del buco dell’ozono scoperto nel 1985. In poco tempo si teorizzò una relazione fra i CFC e la diminuzione dell’ozono. Poco dopo si arrivò all’accordo di Montreal che mise al bando (dando più tempo ai paesi poveri per adeguarsi) i CFC che, praticamente dal 2005, non sono più usati. Gli USA già non usavano più i CFC. L’accordo di Montreal è l’unico accordo firmato da tutti gli Stati della Terra. Recentemente il buco nell’ozono ha iniziato a restringersi.
All’epoca ricordo bene i fatti perché andavo al liceo. Ricordo anche che il mio professore di chimica (un chimico/fisico) ci ammonì dicendo che, contrariamente a quanto dicevano i media, la connessione fra CFC e ozono non era certa. Nel complesso gli sembrava che la reazione degli stati fosse ingiustificata scientificamente, insomma prematura mancando la certezza fra gli stessi scienziati.
Su cosa si basasse il mio insegnante non lo so: ricordo che le sue parole mi fecero sorridere perché tutti i media erano certi di quello che stava avvenendo ed era impossibile conoscere opinioni diverse. Insomma a quel tempo mi fidavo molto più dei media che del mio insegnante nonostante quest’ultimo avesse le conoscenze scientifiche per orientarsi abbastanza agevolmente nella problematica.
Ma del resto che motivi avrebbero avuto i media per mentire? Al riguardo l’unica ipotesi che mi viene in mente è che gli USA già stavano smettendo di usare i CFC: se gli altri stati, soprattutto europei, avessero dovuto smettere di adoperarli allora ne sarebbero stati avvantaggiati. Non so: magari questa ipotesi non regge, non ne ho idea. Sembra debole pure a me!
In realtà la vera stranezza è di carattere scientifico e non economico. Già all’epoca si diceva che intervenire adesso sarebbe servito a poco perché i CFC sopravvivevano a lungo (150 anni) nell’atmosfera e smettere di aggiungerli (oltretutto molto progressivamente) non avrebbe eliminato quelli già presenti. Anche il video ribadisce che la vita dei CFC nell’atmosfera è di 150 anni: allora come è possibile che adesso il buco si stia rimpicciolendo?
Non sapendo niente in materia mi viene da pensare che la vita dei CFC sia molto più breve di quella prevista, qualcosa tipo 5 anni: ecco che allora l’abolizione dei CFC sarebbe l’unica ragione della riduzione della grandezza del buco.
O magari, per chissà quali altri motivi, la produzione di ozono è talmente aumentata che nonostante i CFC ancora nell’atmosfera lo spessore dello strato d’ozono sta comunque incrementandosi?
Perché tutti questi dubbi?
È un po’ l’effetto della lettura de “Il fato di Roma”. Il punto è che i cambiamenti climatici avvengono anche senza l’intervento umano. La sola eruzione del vulcano di La Palma ha emesso in poche settimane una quantità di S-qualcosa (un inquinante) pari a quanto prodotto dalla UE in un anno. Cosa potrebbero fare eruzioni più grandi?
Inoltre, come accennato, mi è tornato a mente l’accenno del mio professore sul fatto che gli scienziati non fossero concordi su quali fossero le cause del buco dell’ozono. All’epoca però non c’era Internet e al grande pubblico arrivava solo la voce ufficiale della scienza promossa dai media.
Ma adesso capisco cosa intendeva il mio professore quando diceva che gli Stati stavano reagendo in maniera frettolosa e non in accordo con la verità scientifica.
Ora sta accadendo qualcosa di analogo: solo che ci arriva anche la voce di chi la pensa diversamente grazie a forme alternative di comunicazione via Internet; gli interessi in gioco sono poi evidenti…
Non solo questo corto non è più un corto ma nel frattempo è passato anche un giorno! Soprattutto però non ricordo più dove volevo andare a parare…
Vabbè, provo a concludere.
Io vi vedo delle analogie, ma anche significative differenze, con la gestione della pandemia.
Analogie:
- comunità scientifica divisa. (*1)
- i media danno spazio a una sola voce.
Differenze:
- oggi è chiaro chi ci guadagna: le grandi case farmaceutiche occidentali, le sole i cui vaccini siano stati approvati in occidente. Il fatto che nel passato non fosse così evidente chi, e se, ci guadagnasse faceva credere alla buona fede della politica cosa che adesso manca del tutto.
- oggi i mezzi di comunicazione alternativi permettono l’emersione fino al grande pubblico di teorie alternative. I media ufficiali screditano tali teorie e trattano da idioti o paranoici chi le propone (siano anche dei premi Nobel).
- il mondo è diviso: l’occidente ha adottato una strategia diversa dal resto del mondo e i dati non sembrano dargli ragione. (vedi, per esempio, Coronavirus Pandemic da OurWorldInData.org e osservate nazioni come Brasile, Russia, Sudafrica ma anche Svezia etc.)
Incerto:
- perché il buco nell’ozono si sta riducendo? È realmente merito dell’eliminazione dei CFC o ci sono altre ragioni?
Personalmente non ne ho idea. Vediamo se trovo una vecchia ricerca su CFC e ozono per vedere cosa si prevedeva qualche decennio fa (*2).
Conclusione: vabbè, era meglio se ci facevo davvero un corto! Il fatto che altre fonti smentiscano il video che avevo citato a inizio del pezzo è un anticlimax.
In pratica ho trovato analogie e differenze fra le due vicende: ma il succo è che nel caso del buco nell’ozono mancava il movente, chi ci guadagnasse cioè dall’eliminazione dei CFC, nel caso della pandemia ci sono centinaia di miliardi di euro di moventi.
Il primo caso fa pensare a una buona gestione di un’emergenza globale, il secondo a una pessima...
In entrambi i casi la politica ha agito senza prendere in considerazione le teorie scientifiche minoritarie: nel primo caso però le controindicazioni di eliminare i CFC erano solo economiche, nella situazione attuale le controindicazioni corrispondono al sacrificio di centinaia di migliaia di vite. Insomma vi è una bella differenza...
Nota (*1): il punto non è tanto che la comunità scientifica sia/fosse divisa (è inevitabile) o chi abbia/avesse ragione: piuttosto che la politica ascolti un’unica voce ignorando tutte le altre. Lo vedo come un puntare tutto solo sul risultato più probabile: in genere si vince ma si rischia anche di perdere l’intera scommessa. Mi aspetterei dalla politica almeno un piano B da adottare se quello principale fallisse.
Nota (*2): in realtà mi sono fermato a un articolo recente (Ozone da EarthObservatory.Nasa.gov) secondo il quale la riduzione del buco nell’ozono del 2019 è un’anomalia dovuta alle correnti stratosferiche. Sarebbe quindi il video che ho visto a essere fuorviante...
lunedì 31 gennaio 2022
domenica 30 gennaio 2022
Lo Mattarella 2
[E] Attenzione! Per la comprensione di questo pezzo è necessaria la lettura della mia Epitome (V. 1.8.0 "Verdepasso").
Dal primo pomeriggio danno per certa la rielezione del Mattarella a presidente della repubblica.
Non l’avevo previsto (v. il corto Nuovo presidente): premesso che vista la composizione del parlamento non sarebbe potuto uscire un nome decente non avevo cercato di scoprire in anticipo chi sarebbe stato eletto preferendo usare il mio tempo diversamente. Detto questo mi aspettavo un Draghi o una sua qualche emanazione incolore.
Già negli ultimi giorni mi ero però accorto che i vari partiti, come cani randagi, considerano l’elezione del presidente un osso prezioso e se lo litigano ringhiandosi fra di loro: soprattutto all’interno delle coalizioni dello stesso colore.
Insomma, nonostante le pressioni dall’estero che sicuramente ci saranno state, ogni partito politico voleva mettere un proprio uomo. Non riuscendoci si è optato per un compromesso: lo Mattarella 2.
Riguardo il Mattarella continua a valere cosa scrissi a suo tempo nel corto Sul presidente del 2 marzo 2015:
«“Molti dei miei amici si chiedono come sarà il nuovo presidente della repubblica. Qualcuno è “speranzoso” e dice che, peggio di Napolitano, non potrà essere. Io dico che al peggio non c'è limite e, se lo ha scelto Renzi, sicuramente non potrà essere un buon presidente.”»
In questi anni ha poi confermato quanto vale: io, sfortunatamente, ho buona memoria e ricordo come intervenne a gamba tesa nella formazione del governo Conte I bocciando ministri per motivi puramente politici (che non l’avrebbero dovuto riguardare e che, al contrario, avrebbe dovuto tutelare da ingerenze esterne) e come ha poi imposto all’Italia, invece di elezioni democratiche, un presidente del consiglio scelto da Bruxelles: Monti fu il liquidatore dell’Italia, Draghi ne è il becchino. E il Mattarella ne è complice.
In realtà oggi, invece di lamentarmi del “nuovo” presidente, volevo esaminarne la figura alla luce della teoria dell’Epitome.
Chiaramente il presidente della repubblica è scelto attraverso un’elezione di secondo livello.
Questo elemento da solo, per la legge dei gradi di distanza ([E] 5.5), fa sì che tendenzialmente gli obiettivi del presidente saranno ancor più distanti da quelli degli italiani rispetto al parlamento.
Per un’analisi più approfondita basta analizzare le varie CdRI (v. legge della rappresentatività [E] 5.4) e vedere quante e quanto sono verificate (stesso procedimento usato in [E] 11.5).
Dovremmo vedere che relazione vi è fra il presidente e il popolo italiano.
1. Provenienza dei membri del gruppo delegato.
Il presidente è scelto in genere fra i politici di professione (o, peggio, fra i banchieri: vedi Ciampi). Egli non si identifica con gli italiani ma con i politici e a questi ultime va la sua simpatia.
2. Durata del mandato.
Il mandato è piuttosto lungo, ben 7 anni, ma il punto centrale qui è che gli italiani guardano l’elezione del presidente alla televisione: non l’eleggono direttamente. Questo significa che, anche rispetto a questa condizione, il presidente non sente alcun vincolo verso il popolo italiano.
3. Controllo dei rappresentati sui delegati.
Il controllo del popolo italiano sul presidente è nullo.
4. I delegati credono sinceramente nel proprio ruolo.
Credo che in passato, penso a Pertini, qualche presidente si sia effettivamente sentito come il primo rappresentante degli italiani. Da decenni però, da quando il suo ruolo è diventato sempre più attivo, i diversi presidenti si sono sentiti e comportati prima da politici e poi da rappresentanti.
Adesso Mattarella sa bene che il suo compito è fare in modo che l’agenda economica della camarilla europea venga portata a termine: non gli può importare di meno che essa sia totalmente contraria agli interessi dell’Italia e degli italiani. Ci sono ancora da piantare i chiodi nella bara dell’Italia prima che l’inumazione sia completata.
5. Trasparenza.
Fermo restando che, come detto, gli italiani non votano direttamente per l’elezione del presidente, la trasparenza è scarsa: al di là delle comparsate in televisione della vera attività del presidente non si sa niente, cioè sappiamo che incontra, per esempio, papa Francesco o la von der Leyen ma non cosa si dicono…
Nel complesso tutte e cinque le CdRI sono verificate e, per questo, la legge della rappresentatività è massimamente verificata. In altre parole gli obiettivi del presidente e quelli del popolo italiano possono essere completamente diversi.
Lo stesso esercizio fatto considerando il presidente e il popolo italiano lo si potrebbe rifare considerando presidente e parlamento: in questo caso si arriverebbe alla conclusione che alcune CdRI non sono verificate e che quindi, almeno parzialmente, gli obiettivi del presidente e quelle del parlamento si sovrappongono.
In definitiva sarebbe molto più corretto dire che il Mattarella è il presidente dei parlamentari invece che degli italiani.
Conclusione: deluso? Assolutamente no: non mi aspettavo niente di meglio!
Dal primo pomeriggio danno per certa la rielezione del Mattarella a presidente della repubblica.
Non l’avevo previsto (v. il corto Nuovo presidente): premesso che vista la composizione del parlamento non sarebbe potuto uscire un nome decente non avevo cercato di scoprire in anticipo chi sarebbe stato eletto preferendo usare il mio tempo diversamente. Detto questo mi aspettavo un Draghi o una sua qualche emanazione incolore.
Già negli ultimi giorni mi ero però accorto che i vari partiti, come cani randagi, considerano l’elezione del presidente un osso prezioso e se lo litigano ringhiandosi fra di loro: soprattutto all’interno delle coalizioni dello stesso colore.
Insomma, nonostante le pressioni dall’estero che sicuramente ci saranno state, ogni partito politico voleva mettere un proprio uomo. Non riuscendoci si è optato per un compromesso: lo Mattarella 2.
Riguardo il Mattarella continua a valere cosa scrissi a suo tempo nel corto Sul presidente del 2 marzo 2015:
«“Molti dei miei amici si chiedono come sarà il nuovo presidente della repubblica. Qualcuno è “speranzoso” e dice che, peggio di Napolitano, non potrà essere. Io dico che al peggio non c'è limite e, se lo ha scelto Renzi, sicuramente non potrà essere un buon presidente.”»
In questi anni ha poi confermato quanto vale: io, sfortunatamente, ho buona memoria e ricordo come intervenne a gamba tesa nella formazione del governo Conte I bocciando ministri per motivi puramente politici (che non l’avrebbero dovuto riguardare e che, al contrario, avrebbe dovuto tutelare da ingerenze esterne) e come ha poi imposto all’Italia, invece di elezioni democratiche, un presidente del consiglio scelto da Bruxelles: Monti fu il liquidatore dell’Italia, Draghi ne è il becchino. E il Mattarella ne è complice.
In realtà oggi, invece di lamentarmi del “nuovo” presidente, volevo esaminarne la figura alla luce della teoria dell’Epitome.
Chiaramente il presidente della repubblica è scelto attraverso un’elezione di secondo livello.
Questo elemento da solo, per la legge dei gradi di distanza ([E] 5.5), fa sì che tendenzialmente gli obiettivi del presidente saranno ancor più distanti da quelli degli italiani rispetto al parlamento.
Per un’analisi più approfondita basta analizzare le varie CdRI (v. legge della rappresentatività [E] 5.4) e vedere quante e quanto sono verificate (stesso procedimento usato in [E] 11.5).
Dovremmo vedere che relazione vi è fra il presidente e il popolo italiano.
1. Provenienza dei membri del gruppo delegato.
Il presidente è scelto in genere fra i politici di professione (o, peggio, fra i banchieri: vedi Ciampi). Egli non si identifica con gli italiani ma con i politici e a questi ultime va la sua simpatia.
2. Durata del mandato.
Il mandato è piuttosto lungo, ben 7 anni, ma il punto centrale qui è che gli italiani guardano l’elezione del presidente alla televisione: non l’eleggono direttamente. Questo significa che, anche rispetto a questa condizione, il presidente non sente alcun vincolo verso il popolo italiano.
3. Controllo dei rappresentati sui delegati.
Il controllo del popolo italiano sul presidente è nullo.
4. I delegati credono sinceramente nel proprio ruolo.
Credo che in passato, penso a Pertini, qualche presidente si sia effettivamente sentito come il primo rappresentante degli italiani. Da decenni però, da quando il suo ruolo è diventato sempre più attivo, i diversi presidenti si sono sentiti e comportati prima da politici e poi da rappresentanti.
Adesso Mattarella sa bene che il suo compito è fare in modo che l’agenda economica della camarilla europea venga portata a termine: non gli può importare di meno che essa sia totalmente contraria agli interessi dell’Italia e degli italiani. Ci sono ancora da piantare i chiodi nella bara dell’Italia prima che l’inumazione sia completata.
5. Trasparenza.
Fermo restando che, come detto, gli italiani non votano direttamente per l’elezione del presidente, la trasparenza è scarsa: al di là delle comparsate in televisione della vera attività del presidente non si sa niente, cioè sappiamo che incontra, per esempio, papa Francesco o la von der Leyen ma non cosa si dicono…
Nel complesso tutte e cinque le CdRI sono verificate e, per questo, la legge della rappresentatività è massimamente verificata. In altre parole gli obiettivi del presidente e quelli del popolo italiano possono essere completamente diversi.
Lo stesso esercizio fatto considerando il presidente e il popolo italiano lo si potrebbe rifare considerando presidente e parlamento: in questo caso si arriverebbe alla conclusione che alcune CdRI non sono verificate e che quindi, almeno parzialmente, gli obiettivi del presidente e quelle del parlamento si sovrappongono.
In definitiva sarebbe molto più corretto dire che il Mattarella è il presidente dei parlamentari invece che degli italiani.
Conclusione: deluso? Assolutamente no: non mi aspettavo niente di meglio!
sabato 29 gennaio 2022
Indietro su Sartori (5/?)
Oggi, in attesa dell’elezione del nuovo presidente della repubblica, ne approfitto per andare avanti nel mio commento di “Democrazia cosa è” di Sartori. Vale la “solita” introduzione che potete leggere, per esempio, in Indietro su Sartori (4/?)…
Il capitolo X è intitolato “Uguaglianza”: chiaramente l’approccio, rispetto a Rawls, sarà non filosofico ma pratico analogamente a quanto avvenuto per la libertà nel capitolo precedente.
Come spesso avviene è citato Rousseau: «È precisamente perché la forza delle cose tende sempre a distruggere l’uguaglianza, che la forza della legislazione deve sempre tendere a mantenerla.» (*1)
[KGB] Perfettamente d’accordo, anzi userò questa frase come epigrafe per la mia Epitome!
In [E] 5.9 definisco la “legge del più forte” così: «I parapoteri, in assenza di interventi esterni al sistema esaminato, tendono a divenire sempre più forti in genere a scapito della democratastenia.»
Sartori spiega poi come il concetto di uguaglianza sia strettamente connesso a quello di giustizia e che per la politica sia difficile realizzarlo praticamente.
Bella la citazione di Aristotele (che proprio superato certo non è): «ingiustizia è ineguaglianza, giustizia è uguaglianza» (*2)
Sartori elenca quattro tipi di uguaglianza secondo la “classificazione tradizionale”.
1. eguaglianza giuridico-politica
2. eguaglianza sociale
3. eguaglianza di opportunità
4. eguaglianza economica
[KGB] Rawls non fa questa divisione: del resto si tratta di concetti tutti interconnessi fra loro. Di questa classificazione mi sfugge la differenza fra la 1 e la 2: mi pare infatti che l’eguaglianza sociale sia implicita in quella giuridico-politico. FORSE la distinzione su cui vuole insistere Sartori è che l’eguaglianza giuridico-politico, può essere completamente formale, ovvero solo sulla carta, mentre con “sociale” intende qualcosa di più concreto ed effettivo…
Poi vi è il concetto che la meritocrazia di per sé è solo apparentemente giusta se non si considerano le diverse posizioni economiche di partenza.
[KGB] Qui sono d’accordo con Sartori mentre Rawls va oltre e, ancora non ho visto come, vorrebbe pareggiare anche le caratteristiche individuali.
Altre varie considerazioni che ritengo piuttosto ovvie su libertà/giustizia/uguaglianza e poi viene di nuovo citato Aristotele dalla solita “Etica nicomachea” che distingue fra eguaglianza aritmetica ed eguaglianza proporzionale: nel primo caso 1 vale 1, nel secondo invece vi è una proporzionalità alla qualità umana: chi è “meglio” deve ottenere proporzionalmente di più. La giustizia in questo secondo caso è che chi è meglio due volte deve ottenere non il triplo o quanto chi vale uno ma esattamente il doppio.
[KGB] chiaro che l’idea di Aristotele era adeguata a una società con schiavi, uomini liberi e aristocratici (per non parlare di donne e bambini).
La teoria di Aristotele in realtà non è stata abbandonata del tutto ma, in realtà, è il principio su cui è basata la tassazione: chi ha di più paga (in teoria!) di più.
Invece è difficile se non impossibile trovare un criterio che indichi quanto “valga” esattamente un uomo.
Spigolo poi da come la politica cerca di realizzare l’uguaglianza. Un concetto molto importante è la generalità delle leggi: queste non solo non devono introdurre discriminazioni ma, soprattutto, includere anche chi la promulga.
Ovvio poi che una legge, anche se generale, può comunque essere stupida, sbagliata o inutile!
Altro concetto generale: «tanto più piccola è la popolazione (sottopopolazione) destinataria di una regola, e tanto più grande è la quota di popolazione complessiva trattata inegualmente, in oneri o benefici, da quella regola.» (*3)
In una nota viene citato Rawls e il suo concetto di “beni primari”! (v. Sottocapitoli 13, 14 e 15)
Alla fine, in questa complicata definizione di cosa sia/debba essere l’uguaglianza, Sartori arriva a un’interessante conclusione, a mio parere molto pratica: «La mia tesi è pertanto che “maggiore eguaglianza” è effettivo controbilanciamento di diseguaglianze, un sistema di reciproca compensazione e neutralizzazione tra diseguaglianze.»
[KGB] Mi ricorda molto il mio approccio: se è troppo difficile trovare regole (v. anche la giustizia procedurale pura) che mantengano l’uguaglianza sociale perché non limitarsi a eliminare le diseguaglianze via via che si formano (*4)?
Vabbè: distinzione fra uguaglianza di accesso (formale), di partenza e di esito e i loro vari rapporti con la libertà (che tende a diminuire via via che l’uguaglianza diventa più assoluta). Tutto abbastanza ovvio mi pare.
Conclusione: non lo so, forse la lettura di Rawls mi ha fatto trovare questo capitolo un po’ banale. È chiaro che l’approccio di Sartori è più pratico che teorico perché alla fine la politica deve mettere in pratica dei meccanismi concreti per approssimare il più possibile gli ideali che ci siamo prefissati di raggiungere. Capisco la logica di Sartori: il suo libro vuole fare una panoramica su cosa sia la democrazia nel mondo moderno e non ipotizzare alternative a essa. Per ogni concetto ne ripercorre la storia, lo stesso fa con l’etimologia delle parole e l’evoluzione del loro significato nel tempo.
Ecco forse il punto è questo: Sartori dà una prospettiva della traiettoria della democrazia congelata nel tempo: ne traccia attentamente il percorso già effettuato e analizza il proiettile/democrazia congelato a mezz'aria ma non prova neppure a ipotizzare come proseguirà il suo volo.
Questo mi dà un senso di incompletezza e insoddisfazione. Fermo restando che il libro è veramente bello e utile da leggere.
Nota (*1): tratto da “Democrazia cosa è” di Giovanni Sartori, (E.) RCS, 2007, pag. 178.
Nota (*2): ibidem, pag. 179.
Nota (*3): ibidem, pag. 186-187.
Nota (*4): il motivo in realtà lo intuisco bene: chi ha rispettato tutte le regole della società e nonostante ciò è riuscito ad arricchirsi a dismisura perché deve essere punito per il suo impegno? Io risolvo questo problema col fatto che la mia ipotetica legge sull’ereditarietà sarebbe nota a priori: il super ricco saprebbe da subito che il 99% dei suoi beni verrebbero ridistribuiti alla sua morte. Anzi proprio la consapevolezza di questa legge dovrebbe avere, secondo la mia teoria, vari effetti benefici anche prima della sua applicazione effettiva.
Il capitolo X è intitolato “Uguaglianza”: chiaramente l’approccio, rispetto a Rawls, sarà non filosofico ma pratico analogamente a quanto avvenuto per la libertà nel capitolo precedente.
Come spesso avviene è citato Rousseau: «È precisamente perché la forza delle cose tende sempre a distruggere l’uguaglianza, che la forza della legislazione deve sempre tendere a mantenerla.» (*1)
[KGB] Perfettamente d’accordo, anzi userò questa frase come epigrafe per la mia Epitome!
In [E] 5.9 definisco la “legge del più forte” così: «I parapoteri, in assenza di interventi esterni al sistema esaminato, tendono a divenire sempre più forti in genere a scapito della democratastenia.»
Sartori spiega poi come il concetto di uguaglianza sia strettamente connesso a quello di giustizia e che per la politica sia difficile realizzarlo praticamente.
Bella la citazione di Aristotele (che proprio superato certo non è): «ingiustizia è ineguaglianza, giustizia è uguaglianza» (*2)
Sartori elenca quattro tipi di uguaglianza secondo la “classificazione tradizionale”.
1. eguaglianza giuridico-politica
2. eguaglianza sociale
3. eguaglianza di opportunità
4. eguaglianza economica
[KGB] Rawls non fa questa divisione: del resto si tratta di concetti tutti interconnessi fra loro. Di questa classificazione mi sfugge la differenza fra la 1 e la 2: mi pare infatti che l’eguaglianza sociale sia implicita in quella giuridico-politico. FORSE la distinzione su cui vuole insistere Sartori è che l’eguaglianza giuridico-politico, può essere completamente formale, ovvero solo sulla carta, mentre con “sociale” intende qualcosa di più concreto ed effettivo…
Poi vi è il concetto che la meritocrazia di per sé è solo apparentemente giusta se non si considerano le diverse posizioni economiche di partenza.
[KGB] Qui sono d’accordo con Sartori mentre Rawls va oltre e, ancora non ho visto come, vorrebbe pareggiare anche le caratteristiche individuali.
Altre varie considerazioni che ritengo piuttosto ovvie su libertà/giustizia/uguaglianza e poi viene di nuovo citato Aristotele dalla solita “Etica nicomachea” che distingue fra eguaglianza aritmetica ed eguaglianza proporzionale: nel primo caso 1 vale 1, nel secondo invece vi è una proporzionalità alla qualità umana: chi è “meglio” deve ottenere proporzionalmente di più. La giustizia in questo secondo caso è che chi è meglio due volte deve ottenere non il triplo o quanto chi vale uno ma esattamente il doppio.
[KGB] chiaro che l’idea di Aristotele era adeguata a una società con schiavi, uomini liberi e aristocratici (per non parlare di donne e bambini).
La teoria di Aristotele in realtà non è stata abbandonata del tutto ma, in realtà, è il principio su cui è basata la tassazione: chi ha di più paga (in teoria!) di più.
Invece è difficile se non impossibile trovare un criterio che indichi quanto “valga” esattamente un uomo.
Spigolo poi da come la politica cerca di realizzare l’uguaglianza. Un concetto molto importante è la generalità delle leggi: queste non solo non devono introdurre discriminazioni ma, soprattutto, includere anche chi la promulga.
Ovvio poi che una legge, anche se generale, può comunque essere stupida, sbagliata o inutile!
Altro concetto generale: «tanto più piccola è la popolazione (sottopopolazione) destinataria di una regola, e tanto più grande è la quota di popolazione complessiva trattata inegualmente, in oneri o benefici, da quella regola.» (*3)
In una nota viene citato Rawls e il suo concetto di “beni primari”! (v. Sottocapitoli 13, 14 e 15)
Alla fine, in questa complicata definizione di cosa sia/debba essere l’uguaglianza, Sartori arriva a un’interessante conclusione, a mio parere molto pratica: «La mia tesi è pertanto che “maggiore eguaglianza” è effettivo controbilanciamento di diseguaglianze, un sistema di reciproca compensazione e neutralizzazione tra diseguaglianze.»
[KGB] Mi ricorda molto il mio approccio: se è troppo difficile trovare regole (v. anche la giustizia procedurale pura) che mantengano l’uguaglianza sociale perché non limitarsi a eliminare le diseguaglianze via via che si formano (*4)?
Vabbè: distinzione fra uguaglianza di accesso (formale), di partenza e di esito e i loro vari rapporti con la libertà (che tende a diminuire via via che l’uguaglianza diventa più assoluta). Tutto abbastanza ovvio mi pare.
Conclusione: non lo so, forse la lettura di Rawls mi ha fatto trovare questo capitolo un po’ banale. È chiaro che l’approccio di Sartori è più pratico che teorico perché alla fine la politica deve mettere in pratica dei meccanismi concreti per approssimare il più possibile gli ideali che ci siamo prefissati di raggiungere. Capisco la logica di Sartori: il suo libro vuole fare una panoramica su cosa sia la democrazia nel mondo moderno e non ipotizzare alternative a essa. Per ogni concetto ne ripercorre la storia, lo stesso fa con l’etimologia delle parole e l’evoluzione del loro significato nel tempo.
Ecco forse il punto è questo: Sartori dà una prospettiva della traiettoria della democrazia congelata nel tempo: ne traccia attentamente il percorso già effettuato e analizza il proiettile/democrazia congelato a mezz'aria ma non prova neppure a ipotizzare come proseguirà il suo volo.
Questo mi dà un senso di incompletezza e insoddisfazione. Fermo restando che il libro è veramente bello e utile da leggere.
Nota (*1): tratto da “Democrazia cosa è” di Giovanni Sartori, (E.) RCS, 2007, pag. 178.
Nota (*2): ibidem, pag. 179.
Nota (*3): ibidem, pag. 186-187.
Nota (*4): il motivo in realtà lo intuisco bene: chi ha rispettato tutte le regole della società e nonostante ciò è riuscito ad arricchirsi a dismisura perché deve essere punito per il suo impegno? Io risolvo questo problema col fatto che la mia ipotetica legge sull’ereditarietà sarebbe nota a priori: il super ricco saprebbe da subito che il 99% dei suoi beni verrebbero ridistribuiti alla sua morte. Anzi proprio la consapevolezza di questa legge dovrebbe avere, secondo la mia teoria, vari effetti benefici anche prima della sua applicazione effettiva.
giovedì 27 gennaio 2022
Teoria incastro
Ieri ho finito di leggere un vecchio libro sull’interpretazione dei presagi di nascita fra gli antichi assiri e babilonesi scaricato da ProjectGutenberg.org (di cui probabilmente scriverò a parte) e ho iniziato “Social Psychology” di Myers: si tratta del libro di testo consigliato al corso in linea di psicosociologia (bellissimo) che seguii tanti anni fa…
Il corso in linea si limitava a evidenziare pochi aspetti della psicosociologia mentre il libro dovrebbe dare la panoramica completa. Per adesso ho letto il primo capitolo introduttivo che, grossomodo, ripete concetti che già conoscevo.
La cosa buffa è che ormai li avevo “fatti miei” e non ricordavo di averli già incontrati (probabilmente) al corso in linea.
Fra i vari concetti che già conoscevo c’è quello del “framing” nei sondaggi: in base a fattori minuscoli, come l’ordine delle domande o alcune parole stesse è possibile influenzare la risposta ottenuta. Mi ha comunque colpito il seguente esempio: alla domanda “il governo spende troppo nel welfare” ben il 53% degli americani ha risposto di sì ma cambiando le parole in “il governo spende troppo per l’assistenza ai poveri” tale percentuale scende al 23%. E gli esempi di questo tipo sono infiniti.
Evidentemente l'opposizione degli americani alle spese nell'assistenza è ideologica ma sentono comunque il dovere morale di aiutare chi sta peggio.
Il succo è che, se a un’agenzia che produce statistiche viene commissionato di ottenere un certo risultato, non ci saranno grosse difficoltà a ottenerlo anche senza manipolazioni ovvie dei risultati.
Altro esempio (famoso) - 27/1/2022
Ho poi ritrovato un altro esempio di framing che già conoscevo ma che sempre mi fa riflettere: un seminarista chiede all’eforo se può fumare mentre prega: il sacerdote gli risponde “certamente no!”. Un amico rimprovera il seminarista dicendogli che avrebbe dovuto chiedere: “Mentre fumo posso pregare?”
Individualisti e collettivisti - 28/1/2022
Il libro di psicologia sociale è proprio piacevole da leggere: trattandosi di concetti con cui sono già piuttosto familiare riesco a procedere piuttosto rapidamente limitandomi a evidenziare a margine solo le idee che più mi colpiscono. È contemporaneamente una lettura leggera ma anche utile.
In un capitolo dove affronta la differenza fra individualismo (occidentale) e collettivismo (orientale) ho trovato un’interessante caratterizzazione politica che traduco al volo: «I conservatori tendono a essere individualisti per l’economia (“Non tasse né regolamentazioni economiche”) e collettivisti per la morale (“Legiferare contro immoralità”); i liberali invece tendono a essere collettivisti per l’economia (“Ci vuole l’assistenza medica universale”) e individualisti per la morale (“Tenete le vostre leggi lontane dal mio corpo” (*1))»
Onestamente non so valutare quanto possa essere universale questa relazione ma trovo comunque interessante che almeno in qualche paese (suppongo il Regno Unito) sia valida...
Nota (*1): Originalmente: “keep your laws off my body”.
Interessante? - 28/1/2022
Volevo scrivere un rapido commento sull’elezione del presidente della repubblica ma tanto vale ormai aspettare che venga eletto invece di suggerire illazioni che sarebbero smentite fra poche ore.
Piuttosto preferisco proporre una brevissima riflessione che mi è stata suggerita dal corto precedente: cosa reputo interessante?
Perché l’idea che esista una relazione fra tendenza all’individualismo/collettivismo e l’orientamento politico è interessante per me?
Trovo interessante le idee da cui ne posso ricavare, attraverso vari metodi inferenziali, molte altre. Intendiamoci, si tratta di una sensazione inconscia, non so già a priori come e se potrò usare l’idea interessante in altri ambiti!
In questo caso, per esempio (ora che mi ci sono soffermato a riflettere per qualche secondo), mi chiedo se la categoria individualismo/collettivismo possa essere usata in ambito religioso o magari su problematiche specifiche come l’immigrazione.
Mi chiedo poi quale possa essere il meccanismo psicologico che faccia scattare la tendenza individualistica o quella collettivistica: esso è chiaramente culturale ma quali sono i suoi vantaggi e svantaggi?
Rispondere a questa domanda potrebbe portarmi a un principio generale per cercare di predire se l’atteggiamento verso una generica problematica debba essere individualista o collettivista.
Si intravedono poi le relazioni con la filosofia morale…
Ecco, tutte queste possibilità, percepite inizialmente solo a livello intuitivo stimolano la mia curiosità e mi fanno ritenere un fatto “interessante”!
Carta igienica - 1/2/2022
Ecco perché i paesi che vogliono evitare la diffusione del covid-19 considerano il verdepasso come carta igienica e testano tutti:
Pechino: Malagò positivo, isolato in covid hotel da Ansa.it
Il corso in linea si limitava a evidenziare pochi aspetti della psicosociologia mentre il libro dovrebbe dare la panoramica completa. Per adesso ho letto il primo capitolo introduttivo che, grossomodo, ripete concetti che già conoscevo.
La cosa buffa è che ormai li avevo “fatti miei” e non ricordavo di averli già incontrati (probabilmente) al corso in linea.
Fra i vari concetti che già conoscevo c’è quello del “framing” nei sondaggi: in base a fattori minuscoli, come l’ordine delle domande o alcune parole stesse è possibile influenzare la risposta ottenuta. Mi ha comunque colpito il seguente esempio: alla domanda “il governo spende troppo nel welfare” ben il 53% degli americani ha risposto di sì ma cambiando le parole in “il governo spende troppo per l’assistenza ai poveri” tale percentuale scende al 23%. E gli esempi di questo tipo sono infiniti.
Evidentemente l'opposizione degli americani alle spese nell'assistenza è ideologica ma sentono comunque il dovere morale di aiutare chi sta peggio.
Il succo è che, se a un’agenzia che produce statistiche viene commissionato di ottenere un certo risultato, non ci saranno grosse difficoltà a ottenerlo anche senza manipolazioni ovvie dei risultati.
Altro esempio (famoso) - 27/1/2022
Ho poi ritrovato un altro esempio di framing che già conoscevo ma che sempre mi fa riflettere: un seminarista chiede all’eforo se può fumare mentre prega: il sacerdote gli risponde “certamente no!”. Un amico rimprovera il seminarista dicendogli che avrebbe dovuto chiedere: “Mentre fumo posso pregare?”
Individualisti e collettivisti - 28/1/2022
Il libro di psicologia sociale è proprio piacevole da leggere: trattandosi di concetti con cui sono già piuttosto familiare riesco a procedere piuttosto rapidamente limitandomi a evidenziare a margine solo le idee che più mi colpiscono. È contemporaneamente una lettura leggera ma anche utile.
In un capitolo dove affronta la differenza fra individualismo (occidentale) e collettivismo (orientale) ho trovato un’interessante caratterizzazione politica che traduco al volo: «I conservatori tendono a essere individualisti per l’economia (“Non tasse né regolamentazioni economiche”) e collettivisti per la morale (“Legiferare contro immoralità”); i liberali invece tendono a essere collettivisti per l’economia (“Ci vuole l’assistenza medica universale”) e individualisti per la morale (“Tenete le vostre leggi lontane dal mio corpo” (*1))»
Onestamente non so valutare quanto possa essere universale questa relazione ma trovo comunque interessante che almeno in qualche paese (suppongo il Regno Unito) sia valida...
Nota (*1): Originalmente: “keep your laws off my body”.
Interessante? - 28/1/2022
Volevo scrivere un rapido commento sull’elezione del presidente della repubblica ma tanto vale ormai aspettare che venga eletto invece di suggerire illazioni che sarebbero smentite fra poche ore.
Piuttosto preferisco proporre una brevissima riflessione che mi è stata suggerita dal corto precedente: cosa reputo interessante?
Perché l’idea che esista una relazione fra tendenza all’individualismo/collettivismo e l’orientamento politico è interessante per me?
Trovo interessante le idee da cui ne posso ricavare, attraverso vari metodi inferenziali, molte altre. Intendiamoci, si tratta di una sensazione inconscia, non so già a priori come e se potrò usare l’idea interessante in altri ambiti!
In questo caso, per esempio (ora che mi ci sono soffermato a riflettere per qualche secondo), mi chiedo se la categoria individualismo/collettivismo possa essere usata in ambito religioso o magari su problematiche specifiche come l’immigrazione.
Mi chiedo poi quale possa essere il meccanismo psicologico che faccia scattare la tendenza individualistica o quella collettivistica: esso è chiaramente culturale ma quali sono i suoi vantaggi e svantaggi?
Rispondere a questa domanda potrebbe portarmi a un principio generale per cercare di predire se l’atteggiamento verso una generica problematica debba essere individualista o collettivista.
Si intravedono poi le relazioni con la filosofia morale…
Ecco, tutte queste possibilità, percepite inizialmente solo a livello intuitivo stimolano la mia curiosità e mi fanno ritenere un fatto “interessante”!
Carta igienica - 1/2/2022
Ecco perché i paesi che vogliono evitare la diffusione del covid-19 considerano il verdepasso come carta igienica e testano tutti:
Pechino: Malagò positivo, isolato in covid hotel da Ansa.it
mercoledì 26 gennaio 2022
Sottocapitoli 13, 14 e 15
[E] Attenzione! Per la comprensione di questo pezzo è necessaria la lettura della mia Epitome (V. 1.8.0 "Verdepasso").
Zitto zitto sono riuscito a rimanere indietro su Rawls: è un libro ancor più impegnativo di quello di Sartori e per me è molto importante riassumere i vari sottocapitoli per aiutarmi a memorizzarne il contenuto.
Oggi però, siccome voglio “recuperare” ben tre sottocapitoli, cercherò di essere più conciso del solito.
13. «L’eguaglianza democratica e il principio di differenza»
Il sottocapitolo si apre con una sezione dove viene spiegato il principio di differenza appoggiandosi, anche in questo caso, alla teoria economica. Senza riproporre i grafici mi limito all’essenza: nella teoria di Rawls il principio di differenza è usato per stabilire se una diseguaglianza è accettabile oppure no. Per ogni diseguaglianza nella società (non importa fra chi) si deve verificare se essa massimizza il benessere del gruppo sociale che sta peggio (e solo di questo): se sì allora è accettabile altrimenti è inaccettabile e va eliminata.
Dietro questa scelta vi sono almeno due ragioni: 1. è decisamente più semplice limitarsi ad analizzare la situazione di un unico gruppo sociale piuttosto che tutta la società; 2. massimizzando il benessere del gruppo che sta peggio si migliora anche quella di molti altri gruppi (questo per un’altra teoria, detta della “connessione a catena” di cui non scriverò).
Altro dato interessante è che, osservando i grafici, si può dimostrare che l’utilitarismo, con la sua massimizzazione del benessere di tutti i gruppi, ammette più diseguaglianza del principio di differenza: in pratica il benessere del gruppo che sta peggio nell’utilitarismo sarà sempre minore che sotto il principio di differenza.
Il principio di differenza ci porta alla riformulazione del secondo prerequisito (*1) su cui dovremo basare i principi di giustizia veri e propri. Le condizioni del secondo prerequisito divengono:
2a. le diseguaglianza sono ammissibili se massimizzano i benefici del gruppo che sta peggio.
2b. le diseguaglianze sono ammissibili solo se non influenzano la possibilità di accedere a cariche e opportunità.
14. «L’equa eguaglianza di opportunità e la giustizia procedurale pura»
Il sottocapitolo tratta la seconda condizione del secondo prerequisito e inizia con un’osservazione molto importante.
L’obiettivo di questa condizione, l’apertura a tutti delle cariche, non è per massimizzarne l’efficienza ma per giustizia, per coinvolgere ugualmente tutti i gruppi sociali e non escluderne nessuno.
[KGB] Per capire bene cosa ha in mente Rawls dovrei avere un esempio concreto: non vi voglio annoiare con la mia acribia ma il senso delle parole di Rawls cambia completamente in base a come si definisca un “gruppo sociale” (*2).
Poi viene spiegato in cosa consista la “giustizia procedurale pura”: l’idea intuitiva è che sia un sistema il cui funzionamento porta automaticamente, per come è progettato, a un risultato che sia giusto in ogni caso.
[KGB] concetto molto interessante e che di sicuro piacerebbe a Taleb perché molto antifragile.
Prima di arrivare alla giustizia procedurale pura viene illustrata la giustizia procedurale perfetta e quella imperfetta. Un esempio di giustizia procedurale perfetta è il problema di suddividere una torta in parti esattamente uguali: la procedura consiste nel far tagliare la torta a colui che prenderà l’ultima fetta rimasta. Caratteristica di questo tipo di giustizia è la presenza di un criterio indipendente che indica la bontà del risultato ottenuto (in questo caso le superfici uguali delle fette tagliate).
Un esempio di giustizia procedurale imperfetta: il processo penale. Scopo del processo è condannare gli imputati se e solo se colpevoli e per ottenere tale obiettivo si seguono determinate procedure mirate, in base al crimine, ad arrivare al risultato corretto. Il problema è che non esiste una procedura che garantisca il risultato corretto e a volte un innocente può venire punito e un colpevole liberato. Non si tratta tanto di un errore umano quanto di un limite delle procedure. Anche in questo caso esisterebbe un criterio indipendente per valutare il risultato del processo ma la procedura per arrivare a esso è imperfetta.
La giustizia procedurale pura è “perfetta” perché porta sempre a un risultato giusto ma, contemporaneamente, manca il criterio esterno che definisca la “giustezza”. L’esempio di Rawls è quello delle scommesse eque: se le scommesse sono eque qualsiasi distribuzione di denaro fra i partecipanti che si ha al termine di esse sarà giusto.
[KGB] l’esempio non mi convince del tutto.
Osservazione: mancando un criterio esterno che definisca il giusto la procedura va portata a compimento: non ci si può interrompere prima.
Altra osservazione: una giustizia procedurale pura deve basarsi su un sistema concreto di istituzioni ugualmente ben fatto e che verrà proposto nella seconda parte dell’opera.
Succo: «Il ruolo del principio di equa opportunità è quello di garantire che il sistema di cooperazione sia un sistema di giustizia procedurale pura. Se il principio non venisse soddisfatto, la giustizia distributiva non potrebbe essere abbandonata a se stessa, neppure in un ambito limitato.» (*3)
[KGB] la prima proposizione è chiara e al momento va presa per buona. La seconda è fondamentale: io l’intendo come l’ammissione che la natura umana è tale che, inevitabilmente, i forti si approfitterebbero del loro vantaggio per andare a distorcere i meccanismi della giustizia distributiva (qualunque essa fosse). Il fenomeno è generale e lo vediamo chiaramente nel mondo moderno in più ambiti istituzionali i quali stanno degenerando sempre più rapidamente.
L’utilitarismo, basandosi su un criterio di valutazione esterna (la massimizzazione dell’utile), porta a una giustizia procedurale imperfetta.
Nel prosieguo Rawls elenca tutta una serie di caratteristiche che la giustizia procedurale pura dovrà avere. Io rimango perplesso perché non riesco a immaginare un meccanismo concreto che possa soddisfare tutti i vincoli di Rawls: avrei bisogno di un esempio, o almeno di una metafora, per capire meglio. Ma Rawls segue un approccio completamente “Top-Down”: prima definisce la forma che si vuole ottenere ma rimanda i dettagli ai capitoli successivi: il lettore deve prendere per buono che quello che scrive Rawls sia effettivamente fattibile e aspettare.
15. «I beni primari sociali come base delle aspettative»
(E questo è il sottocapitolo che ho letto stanotte!)
Rawls inizia con una critica dell’utilitarismo abbastanza ovvia: nel calcolo dell’utile complessivo l’osservatore imparziale deve compiere molte valutazioni che saranno inevitabilmente arbitrarie. Per circa mezza pagina Rawls spiega le numerose difficoltà di queste stime poi, in due righi, spara la “bomba”!
Scrive: «La controversia riguardo ai confronti interpersonali tende a oscurare il vero problema, e cioè se la felicità totale (o media) vada massimizzata.» (*4).
Sfortunatamente Rawls non approfondisce detto concetto e passa invece a spiegare come il principio di differenza risolva il problema dei confronti interpersonali.
Siccome il principio di differenza si concentra esclusivamente sul gruppo più svantaggiato basta quindi valutare le aspettative di questo senza doverle confrontare con quelle degli altri gruppi.
[KGB] e come si fa a stabilire qual è il gruppo più svantaggiato allora? (*5)
Inoltre, come ulteriore semplificazione, ciò che si cercherà di massimizzare nel gruppo più svantaggiato saranno solamente i beni primari, ovvero: diritti, libertà, opportunità, reddito, ricchezza e prerogative dell’autorità. Alcuni di questi saranno per definizione uguali per tutti a causa della prima precondizione mentre reddito, ricchezza e prerogative dell’autorità potranno variare in accordo alla seconda precondizione.
Da qui si passa alla definizione di bene: ovviamente Rawls non scende nei dettagli ma spiega di rifarsi ad Aristotele: ovvero che il bene è la soddisfazione di un desiderio razionale, e quindi beni “minori” sono tutti quei fattori che permettono all’uomo di attuare il piano che ha in mente per realizzare il proprio desiderio.
Conclusione: ho compresso significativamente la sintesi di questi sottocapitoli: avessi scritto un pezzo per ciascuno di essi avrei divagato molto di più. Però il risultato mi pare accettabile.
Ora mi frulla per la testa se la mia idea draconiana per risolvere il problema della diseguaglianza economica ([E] 17.3 “Sintesi: contro la diseguaglianza economica”) sia un tipo di giustizia procedurale pura. Io credo sì e no: in effetti non mi preoccupo tanto che il risultato ottenuto sia giusto quanto che non sia ingiusto. E fra il giusto e il non ingiusto esiste una zona grigia piuttosto ampia. Il mio principio (“evitare l’ingiustizia”) è sicuramente più debole di “ottenere il giusto” ma ha il vantaggio gigantesco di essere molto più facile da realizzare praticamente. Inoltre ha una caratteristica di autocorrezione degli eventuali errori che lo rende molto antifragile: supponiamo infatti che il caso vada a premiare per una serie di combinazioni un individuo già ricco e che questi, anche grazie al vantaggio ottenuto, riesca a divenire super ricco: ebbene alla morte di questo individuo anche questo errore verrà corretto con, anzi, grande beneficio per l’intera società.
Nota (*1): nei pezzi precedenti usavo il termine “condizione” usato nel libro ma esso poi genera confusione per il fatto che la seconda di queste è a sua volta composta da due condizioni. Invece adesso potrò scrivere che “il secondo prerequisito ha due condizioni” che mi pare di gran lunga più chiaro.
Nota (*2): per la verità Rawls si riferisce a “individuo rappresentativo del gruppo sociale” dove io scrivo semplicemente “gruppo”.
Nota (*3): tratto da “Una teoria della giustizia” di John Rawls, (E.) Feltrinelli, 2021, trad. Ugo Santini, pag. 99.
Nota (*4): ibidem, pag. 102.
Nota (*5): ho avuto un’intuizione per un nuovo principio: le diseguaglianze sono accettabili solo se favoriscono via via meno persone (forma a piramide); in altre parole il gruppo più svantaggiato sarà sempre quello più numeroso.
Zitto zitto sono riuscito a rimanere indietro su Rawls: è un libro ancor più impegnativo di quello di Sartori e per me è molto importante riassumere i vari sottocapitoli per aiutarmi a memorizzarne il contenuto.
Oggi però, siccome voglio “recuperare” ben tre sottocapitoli, cercherò di essere più conciso del solito.
13. «L’eguaglianza democratica e il principio di differenza»
Il sottocapitolo si apre con una sezione dove viene spiegato il principio di differenza appoggiandosi, anche in questo caso, alla teoria economica. Senza riproporre i grafici mi limito all’essenza: nella teoria di Rawls il principio di differenza è usato per stabilire se una diseguaglianza è accettabile oppure no. Per ogni diseguaglianza nella società (non importa fra chi) si deve verificare se essa massimizza il benessere del gruppo sociale che sta peggio (e solo di questo): se sì allora è accettabile altrimenti è inaccettabile e va eliminata.
Dietro questa scelta vi sono almeno due ragioni: 1. è decisamente più semplice limitarsi ad analizzare la situazione di un unico gruppo sociale piuttosto che tutta la società; 2. massimizzando il benessere del gruppo che sta peggio si migliora anche quella di molti altri gruppi (questo per un’altra teoria, detta della “connessione a catena” di cui non scriverò).
Altro dato interessante è che, osservando i grafici, si può dimostrare che l’utilitarismo, con la sua massimizzazione del benessere di tutti i gruppi, ammette più diseguaglianza del principio di differenza: in pratica il benessere del gruppo che sta peggio nell’utilitarismo sarà sempre minore che sotto il principio di differenza.
Il principio di differenza ci porta alla riformulazione del secondo prerequisito (*1) su cui dovremo basare i principi di giustizia veri e propri. Le condizioni del secondo prerequisito divengono:
2a. le diseguaglianza sono ammissibili se massimizzano i benefici del gruppo che sta peggio.
2b. le diseguaglianze sono ammissibili solo se non influenzano la possibilità di accedere a cariche e opportunità.
14. «L’equa eguaglianza di opportunità e la giustizia procedurale pura»
Il sottocapitolo tratta la seconda condizione del secondo prerequisito e inizia con un’osservazione molto importante.
L’obiettivo di questa condizione, l’apertura a tutti delle cariche, non è per massimizzarne l’efficienza ma per giustizia, per coinvolgere ugualmente tutti i gruppi sociali e non escluderne nessuno.
[KGB] Per capire bene cosa ha in mente Rawls dovrei avere un esempio concreto: non vi voglio annoiare con la mia acribia ma il senso delle parole di Rawls cambia completamente in base a come si definisca un “gruppo sociale” (*2).
Poi viene spiegato in cosa consista la “giustizia procedurale pura”: l’idea intuitiva è che sia un sistema il cui funzionamento porta automaticamente, per come è progettato, a un risultato che sia giusto in ogni caso.
[KGB] concetto molto interessante e che di sicuro piacerebbe a Taleb perché molto antifragile.
Prima di arrivare alla giustizia procedurale pura viene illustrata la giustizia procedurale perfetta e quella imperfetta. Un esempio di giustizia procedurale perfetta è il problema di suddividere una torta in parti esattamente uguali: la procedura consiste nel far tagliare la torta a colui che prenderà l’ultima fetta rimasta. Caratteristica di questo tipo di giustizia è la presenza di un criterio indipendente che indica la bontà del risultato ottenuto (in questo caso le superfici uguali delle fette tagliate).
Un esempio di giustizia procedurale imperfetta: il processo penale. Scopo del processo è condannare gli imputati se e solo se colpevoli e per ottenere tale obiettivo si seguono determinate procedure mirate, in base al crimine, ad arrivare al risultato corretto. Il problema è che non esiste una procedura che garantisca il risultato corretto e a volte un innocente può venire punito e un colpevole liberato. Non si tratta tanto di un errore umano quanto di un limite delle procedure. Anche in questo caso esisterebbe un criterio indipendente per valutare il risultato del processo ma la procedura per arrivare a esso è imperfetta.
La giustizia procedurale pura è “perfetta” perché porta sempre a un risultato giusto ma, contemporaneamente, manca il criterio esterno che definisca la “giustezza”. L’esempio di Rawls è quello delle scommesse eque: se le scommesse sono eque qualsiasi distribuzione di denaro fra i partecipanti che si ha al termine di esse sarà giusto.
[KGB] l’esempio non mi convince del tutto.
Osservazione: mancando un criterio esterno che definisca il giusto la procedura va portata a compimento: non ci si può interrompere prima.
Altra osservazione: una giustizia procedurale pura deve basarsi su un sistema concreto di istituzioni ugualmente ben fatto e che verrà proposto nella seconda parte dell’opera.
Succo: «Il ruolo del principio di equa opportunità è quello di garantire che il sistema di cooperazione sia un sistema di giustizia procedurale pura. Se il principio non venisse soddisfatto, la giustizia distributiva non potrebbe essere abbandonata a se stessa, neppure in un ambito limitato.» (*3)
[KGB] la prima proposizione è chiara e al momento va presa per buona. La seconda è fondamentale: io l’intendo come l’ammissione che la natura umana è tale che, inevitabilmente, i forti si approfitterebbero del loro vantaggio per andare a distorcere i meccanismi della giustizia distributiva (qualunque essa fosse). Il fenomeno è generale e lo vediamo chiaramente nel mondo moderno in più ambiti istituzionali i quali stanno degenerando sempre più rapidamente.
L’utilitarismo, basandosi su un criterio di valutazione esterna (la massimizzazione dell’utile), porta a una giustizia procedurale imperfetta.
Nel prosieguo Rawls elenca tutta una serie di caratteristiche che la giustizia procedurale pura dovrà avere. Io rimango perplesso perché non riesco a immaginare un meccanismo concreto che possa soddisfare tutti i vincoli di Rawls: avrei bisogno di un esempio, o almeno di una metafora, per capire meglio. Ma Rawls segue un approccio completamente “Top-Down”: prima definisce la forma che si vuole ottenere ma rimanda i dettagli ai capitoli successivi: il lettore deve prendere per buono che quello che scrive Rawls sia effettivamente fattibile e aspettare.
15. «I beni primari sociali come base delle aspettative»
(E questo è il sottocapitolo che ho letto stanotte!)
Rawls inizia con una critica dell’utilitarismo abbastanza ovvia: nel calcolo dell’utile complessivo l’osservatore imparziale deve compiere molte valutazioni che saranno inevitabilmente arbitrarie. Per circa mezza pagina Rawls spiega le numerose difficoltà di queste stime poi, in due righi, spara la “bomba”!
Scrive: «La controversia riguardo ai confronti interpersonali tende a oscurare il vero problema, e cioè se la felicità totale (o media) vada massimizzata.» (*4).
Sfortunatamente Rawls non approfondisce detto concetto e passa invece a spiegare come il principio di differenza risolva il problema dei confronti interpersonali.
Siccome il principio di differenza si concentra esclusivamente sul gruppo più svantaggiato basta quindi valutare le aspettative di questo senza doverle confrontare con quelle degli altri gruppi.
[KGB] e come si fa a stabilire qual è il gruppo più svantaggiato allora? (*5)
Inoltre, come ulteriore semplificazione, ciò che si cercherà di massimizzare nel gruppo più svantaggiato saranno solamente i beni primari, ovvero: diritti, libertà, opportunità, reddito, ricchezza e prerogative dell’autorità. Alcuni di questi saranno per definizione uguali per tutti a causa della prima precondizione mentre reddito, ricchezza e prerogative dell’autorità potranno variare in accordo alla seconda precondizione.
Da qui si passa alla definizione di bene: ovviamente Rawls non scende nei dettagli ma spiega di rifarsi ad Aristotele: ovvero che il bene è la soddisfazione di un desiderio razionale, e quindi beni “minori” sono tutti quei fattori che permettono all’uomo di attuare il piano che ha in mente per realizzare il proprio desiderio.
Conclusione: ho compresso significativamente la sintesi di questi sottocapitoli: avessi scritto un pezzo per ciascuno di essi avrei divagato molto di più. Però il risultato mi pare accettabile.
Ora mi frulla per la testa se la mia idea draconiana per risolvere il problema della diseguaglianza economica ([E] 17.3 “Sintesi: contro la diseguaglianza economica”) sia un tipo di giustizia procedurale pura. Io credo sì e no: in effetti non mi preoccupo tanto che il risultato ottenuto sia giusto quanto che non sia ingiusto. E fra il giusto e il non ingiusto esiste una zona grigia piuttosto ampia. Il mio principio (“evitare l’ingiustizia”) è sicuramente più debole di “ottenere il giusto” ma ha il vantaggio gigantesco di essere molto più facile da realizzare praticamente. Inoltre ha una caratteristica di autocorrezione degli eventuali errori che lo rende molto antifragile: supponiamo infatti che il caso vada a premiare per una serie di combinazioni un individuo già ricco e che questi, anche grazie al vantaggio ottenuto, riesca a divenire super ricco: ebbene alla morte di questo individuo anche questo errore verrà corretto con, anzi, grande beneficio per l’intera società.
Nota (*1): nei pezzi precedenti usavo il termine “condizione” usato nel libro ma esso poi genera confusione per il fatto che la seconda di queste è a sua volta composta da due condizioni. Invece adesso potrò scrivere che “il secondo prerequisito ha due condizioni” che mi pare di gran lunga più chiaro.
Nota (*2): per la verità Rawls si riferisce a “individuo rappresentativo del gruppo sociale” dove io scrivo semplicemente “gruppo”.
Nota (*3): tratto da “Una teoria della giustizia” di John Rawls, (E.) Feltrinelli, 2021, trad. Ugo Santini, pag. 99.
Nota (*4): ibidem, pag. 102.
Nota (*5): ho avuto un’intuizione per un nuovo principio: le diseguaglianze sono accettabili solo se favoriscono via via meno persone (forma a piramide); in altre parole il gruppo più svantaggiato sarà sempre quello più numeroso.
martedì 25 gennaio 2022
Tolle... et ambula
A inizio gennaio ho finito di leggere “Un nuovo mondo” di Eckhart Tolle: non sapevo bene cosa aspettarmi ma me l’aveva consigliato un’amica e io ero curioso.
Ho così iniziato a leggerlo come fosse un testo di psicologia, con molta attenzione, inserendo le note a margine, evidenziando le definizioni, insomma come di solito faccio con i libri “impegnativi” che leggo.
Dopo qualche capitolo ho però iniziato a notare dei problemi di consistenza interna, piccole cose, magari frutto di una mia errata interpretazione o ricordo ma che, posso dire a mia difesa, di solito non mi capitano.
In seguito mi sono reso conto che Tolle prende idee, teorie e concetti da vari campi (come la psicologia o le religioni) e le combina insieme, sincretisticamente, in un proprio sistema spirituale. Ecco, alla fine il passo chiave è questo: io mi aspettavo un testo scientifico da capire con la razionalità mentre invece va letto col cuore. Un po’ come fosse un’opera religiosa: senza la pretesa di capire ogni “mistero” ma cercando di intuire i concetti generali.
L’idea di fondo di Tolle è quella di dare al lettore più strumenti, ovvero le idee contenute nel libro, per avviare un cambiamento totale nella visione di sé e del mondo, una vera e propria metanoia.
Secondo Tolle il nostro vero io non è la vocina con cui pensiamo nella nostra testa ma è un’essenza, fuori dal tempo, consapevole solo della propria esistenza e capace di vivere in armonia con la realtà quotidiana in una sorta di eterno presente distaccato e indifferente dalle normali paure: a partire da quella della morte e dell’invecchiamento.
Il seguace dell’insegnamento di Tolle affronta quindi la vita con serena indifferenza e sente di far parte di un qualcosa di più grande, di un’essenza vitale che pervade tutta la realtà, anzi l’intera galassia a detta dell’autore.
Da metà libro in poi sono diventato progressivamente più scettico e ho iniziato ad annotare i dettagli che non mi tornavano o sui quali non ero d’accordo. Credo però sia inutile che mi soffermi su questi singoli elementi: per dargli un senso comprensibile al lettore dovrei cercare di riassumere il pensiero di Tolle (cosa che farei male perché è un testo spirituale e non scientifico) per poi contrapporgli le mie obiezioni. Un’operazione faticosa e difficile per me e comunque noiosa e forse inutile per il lettore.
Mi limiterò quindi a spiegare la mia obiezione di fondo.
Non metto in dubbio che questa teoria di Tolle possa essere di conforto e aiutare realmente chi cerca di applicarla nella vita quotidiana. Sono anche sicuro che chi accetti la sua visione riesca effettivamente a trascorrere una vita più felice, o almeno con l’illusione di esserlo.
L’accenno all’illusione di felicità non è casuale ma è un effetto della mia critica principale e che ricalca il pensiero di Marcuse sulla psicologia alternativa.
Per Freud è la società moderna che causa con la sua ingiustizia inerente gli stress che, alla lunga, rendono infelici la maggioranza degli uomini.
Marcuse riconosce che effettivamente la civiltà moderna è la fonte principale dell’infelicità umana ma crede anche che sarebbe possibile rifondare una nuova società, più giusta ed egalitaria, che abbia i vantaggi del mondo attuale senza i suoi difetti.
Per operare questo cambiamento è però necessario riconoscere quali siano i problemi, le grandi ingiustizie del mondo moderno, e adoperarsi per risolverli.
Insomma per Marcuse il problema alle nevrosi dell’uomo moderno lo si risolve non curando il singolo, convincendolo che il mondo è giusto così com’è e che ci dovremmo accontentare di come stiamo: piuttosto va eliminata la fonte concreta e reale della nevrosi, ovvero le ingiustizie della società.
La spiritualità di Tolle rientra, mi pare, in questo filone di psicologia alternativa secondo la quale, essenzialmente, l’uomo deve accettare il proprio stato di infelicità, le ingiustizie che quotidianamente deve subire, e anzi convincersi che tutto ciò non è veramente importante, che non conta veramente, e accettare quindi serenamente ogni sopruso.
La mia obiezione a Tolle è quindi nella sua essenza morale: è sbagliato accettare l’ingiustizia e non adoperarsi per combatterla, la nostra felicità (o, secondo me più appropriatamente, serenità) non deve prevalere sul giusto. L’indifferenza di Tolle mi pare abbia un’essenza nascosta profondamente egoistica: ignorare il mondo, ignorare le ingiustizie, o accettarlo così come è equivale anche a ignorare il prossimo e le sue sofferenze. Ciò non può essere morale.
L’uomo felice di Tolle è quello che, invece di risolvere i problemi che lo circondano, chiude gli occhi e si immagina di vivere in un mondo perfetto così com’è, non importa come sia. La felicità propugnata da Tolle non è reale ma è un’illusione egoistica di felicità.
Un’ultima metafora per ribadire come considero il pensiero di Tolle: se la società fosse un formicaio gli uomini dovrebbero essere felici di essere come semplici formiche operaie; dovrebbero accontentarsi di lavorare tutto il giorno per il beneficio della formica regina e di altri pochi privilegiati: ritenerlo lo schema naturale e ineluttabile delle cose, uno stato armonico a cui bisogna piegarsi invece di resistere. Il problema è che gli uomini non sono formiche e hanno diritto a un’esistenza più completa e piena.
Conclusione: non saprei come concludere, mi sembra di aver ben espresso il mio pensiero. Allora ne approfitto per spiegare il titolo, particolarmente sciocchino, di questo articolo: è frutto di un “corto circuito” associativo nella mia memoria allenata con Anki. Ogni volta che leggevo il nome “Tolle”, scritto in grande nel mezzo della copertina, mi veniva in mente la frase evangelica «surge, tolle grabattum tuum, et ambula» che è menzionata nella definizione della Treccani.it per “carabattola”!
Ho così iniziato a leggerlo come fosse un testo di psicologia, con molta attenzione, inserendo le note a margine, evidenziando le definizioni, insomma come di solito faccio con i libri “impegnativi” che leggo.
Dopo qualche capitolo ho però iniziato a notare dei problemi di consistenza interna, piccole cose, magari frutto di una mia errata interpretazione o ricordo ma che, posso dire a mia difesa, di solito non mi capitano.
In seguito mi sono reso conto che Tolle prende idee, teorie e concetti da vari campi (come la psicologia o le religioni) e le combina insieme, sincretisticamente, in un proprio sistema spirituale. Ecco, alla fine il passo chiave è questo: io mi aspettavo un testo scientifico da capire con la razionalità mentre invece va letto col cuore. Un po’ come fosse un’opera religiosa: senza la pretesa di capire ogni “mistero” ma cercando di intuire i concetti generali.
L’idea di fondo di Tolle è quella di dare al lettore più strumenti, ovvero le idee contenute nel libro, per avviare un cambiamento totale nella visione di sé e del mondo, una vera e propria metanoia.
Secondo Tolle il nostro vero io non è la vocina con cui pensiamo nella nostra testa ma è un’essenza, fuori dal tempo, consapevole solo della propria esistenza e capace di vivere in armonia con la realtà quotidiana in una sorta di eterno presente distaccato e indifferente dalle normali paure: a partire da quella della morte e dell’invecchiamento.
Il seguace dell’insegnamento di Tolle affronta quindi la vita con serena indifferenza e sente di far parte di un qualcosa di più grande, di un’essenza vitale che pervade tutta la realtà, anzi l’intera galassia a detta dell’autore.
Da metà libro in poi sono diventato progressivamente più scettico e ho iniziato ad annotare i dettagli che non mi tornavano o sui quali non ero d’accordo. Credo però sia inutile che mi soffermi su questi singoli elementi: per dargli un senso comprensibile al lettore dovrei cercare di riassumere il pensiero di Tolle (cosa che farei male perché è un testo spirituale e non scientifico) per poi contrapporgli le mie obiezioni. Un’operazione faticosa e difficile per me e comunque noiosa e forse inutile per il lettore.
Mi limiterò quindi a spiegare la mia obiezione di fondo.
Non metto in dubbio che questa teoria di Tolle possa essere di conforto e aiutare realmente chi cerca di applicarla nella vita quotidiana. Sono anche sicuro che chi accetti la sua visione riesca effettivamente a trascorrere una vita più felice, o almeno con l’illusione di esserlo.
L’accenno all’illusione di felicità non è casuale ma è un effetto della mia critica principale e che ricalca il pensiero di Marcuse sulla psicologia alternativa.
Per Freud è la società moderna che causa con la sua ingiustizia inerente gli stress che, alla lunga, rendono infelici la maggioranza degli uomini.
Marcuse riconosce che effettivamente la civiltà moderna è la fonte principale dell’infelicità umana ma crede anche che sarebbe possibile rifondare una nuova società, più giusta ed egalitaria, che abbia i vantaggi del mondo attuale senza i suoi difetti.
Per operare questo cambiamento è però necessario riconoscere quali siano i problemi, le grandi ingiustizie del mondo moderno, e adoperarsi per risolverli.
Insomma per Marcuse il problema alle nevrosi dell’uomo moderno lo si risolve non curando il singolo, convincendolo che il mondo è giusto così com’è e che ci dovremmo accontentare di come stiamo: piuttosto va eliminata la fonte concreta e reale della nevrosi, ovvero le ingiustizie della società.
La spiritualità di Tolle rientra, mi pare, in questo filone di psicologia alternativa secondo la quale, essenzialmente, l’uomo deve accettare il proprio stato di infelicità, le ingiustizie che quotidianamente deve subire, e anzi convincersi che tutto ciò non è veramente importante, che non conta veramente, e accettare quindi serenamente ogni sopruso.
La mia obiezione a Tolle è quindi nella sua essenza morale: è sbagliato accettare l’ingiustizia e non adoperarsi per combatterla, la nostra felicità (o, secondo me più appropriatamente, serenità) non deve prevalere sul giusto. L’indifferenza di Tolle mi pare abbia un’essenza nascosta profondamente egoistica: ignorare il mondo, ignorare le ingiustizie, o accettarlo così come è equivale anche a ignorare il prossimo e le sue sofferenze. Ciò non può essere morale.
L’uomo felice di Tolle è quello che, invece di risolvere i problemi che lo circondano, chiude gli occhi e si immagina di vivere in un mondo perfetto così com’è, non importa come sia. La felicità propugnata da Tolle non è reale ma è un’illusione egoistica di felicità.
Un’ultima metafora per ribadire come considero il pensiero di Tolle: se la società fosse un formicaio gli uomini dovrebbero essere felici di essere come semplici formiche operaie; dovrebbero accontentarsi di lavorare tutto il giorno per il beneficio della formica regina e di altri pochi privilegiati: ritenerlo lo schema naturale e ineluttabile delle cose, uno stato armonico a cui bisogna piegarsi invece di resistere. Il problema è che gli uomini non sono formiche e hanno diritto a un’esistenza più completa e piena.
Conclusione: non saprei come concludere, mi sembra di aver ben espresso il mio pensiero. Allora ne approfitto per spiegare il titolo, particolarmente sciocchino, di questo articolo: è frutto di un “corto circuito” associativo nella mia memoria allenata con Anki. Ogni volta che leggevo il nome “Tolle”, scritto in grande nel mezzo della copertina, mi veniva in mente la frase evangelica «surge, tolle grabattum tuum, et ambula» che è menzionata nella definizione della Treccani.it per “carabattola”!
sabato 22 gennaio 2022
Indietro su Sartori (4/?)
Inutile ripetere la stessa introduzione per ogni pezzo ma, per chiarezza, non riesco a trattenermi: a distanza di mesi ricordo poco o nulla di quanto letto questa estate ma basandomi sulle mie annotazioni a margine sono sicuro che riuscirò a tirarci fuori qualcosa di interessante…
I miei commenti li evidenzierò col “solito” marcatore [KGB].
Il capitolo IX è intitolato “Libertà e legge”: considerando i tempi che stiamo passando mi pare attualissimo.
Secondo Sartori bisogna distinguere fra libertà interiore e di volere, che riguarda la filosofia, e la libertà di fare che invece riguarda la politica.
[KGB] Ma… veramente la filosofia si preoccupa anche della libertà di fare altrimenti sarebbe priva di senso! Suppongo che Sartori volesse sottolineare l’approccio puramente pratico della politica al principio della libertà.
Non provo neppure a riassumerlo con parole mie: «Lo Stato tirannico è libero di comandare a suo piacimento, ma perciò priva i sudditi di ogni libertà: non è uno Stato libero ma oppressivo. Quando si parla di libertà politica si parla dunque di un’attribuzione di potere a dei poteri dispersi, minimi, o comunque minori. Il problema della libertà in senso politico si apre con questa domanda: come tutelare e garantire dei poteri potenzialmente soccombenti?» (*1)
[KGB] Il precedente paragrafo riassume il senso di una mezza paginetta. Ne do la mia interpretazione: il problema della libertà non sono quali debbano essere i poteri dello Stato, o comunque dei forti, ma invece quali debbano essere i diritti, ovvero le libertà, dei deboli. Non solo: proprio perché sono diritti e libertà dei deboli, questi avranno scarse capacità di difenderli e, quindi, andrebbero tutelati con particolare attenzione.
Proseguendo il proprio ragionamento Sartori spiega che la libertà dei deboli è una “libertà difensiva”: i cittadini devono essere liberi da XXX per poter essere liberi di fare YYY.
«[…] la libertà politica non è caratterizzata da questa [libertà di fare] implicazione positiva ma dal suo presupposto protettivo [libertà da]. Tutte le libertà sono libertà di: ma la condizione di tutte le libertà è di essere liberi da.» (*2)
[KGB] Già su questo solo concetto ci sarebbe da scrivere un intero pezzo: se la libertà si riducesse a un lungo elenco di libertà di fare XXX senza alcuna protezione allora nulla vieterebbe al governo di cambiare tale lista a proprio piacimento. Per essere vera libertà ci devono quindi essere delle protezioni che limitino il potere dello Stato affinché esso non diventi arbitrario: ovvero libertà da.
Nel concreto nessuna “libertà da” sarà assoluta: il punto è comunque quello di limitare il potere dei forti (dello Stato) per impedirgli di divenire arbitrario e porre così divieti ingiustificati sui deboli, cioè il popolo.
Il sottocapitolo 9.2 è intitolato “La libertà liberale”: vi ricorda qualcosa? Per un esempio di serendipità leggete Sottocapitolo 12…
Il succo del sottocapitolo, invero molto semplicistico avendo in mente il pensiero di Rawls, è che il potere dei forti, ovvero dello Stato, è limitato dalla costituzione: ma infatti Sartori aveva avvisato che la sua interpretazione della libertà sarebbe stata “pratica”.
[KGB] Manca il problema della giustizia, cioè è implicito che la costituzione dovrà essere giusta ma Sartori non si preoccupa di definire quali dovrebbero essere i suoi principi affinché lo sia se non, ancora implicitamente, intesa e ridotta a una serie di “libertà da”.
Per un intero sottocapitolo e passa Sartori scrive della libertà politica secondo Rousseau ma solo per mostrarne i limiti e per introdurre una polemica, suppongo viva all’epoca della stesura di “Democrazia cosa è”: ovvero se Rousseau avesse anticipato o no il concetto di libertà come autonomia. La risposta di Sartori è, in breve, no.
Poi si arriva a Kant e il livello si alza: ma Sartori subito lo riabbassa! Secondo Sartori infatti la libertà come autonomia di Kant è una libertà sostanzialmente interiore mentre quella politica è esteriore: è la libertà di fare, non di pensare.
[KGB] di nuovo non sono convinto che la filosofia morale sia materia esclusivamente astratta e senza ripercussioni sul concreto, anzi.
Riporto questa frase perché suona bene: «Tramite la forma – il rispetto di determinate procedure – si vuole assicurare il controllo del contenuto.» (*3)
[KGB] Provo a “tradurla”: è tramite la costituzione (forma) che le nuovi leggi (contenuto) devono essere stabilite. La pecca è che la costituzione deve essere giusta per ottenere poi leggi giuste: anche la Germania di Hitler e l’URSS di Stalin, suggerisce Sartori, avevano delle costituzioni ma ciò non impedì leggi ingiuste.
Questo invece è un concetto importante: «E deve essere altrettanto chiaro che quanto più accediamo alla interpretazione puramente formale e positivistica del diritto, tantomeno il diritto ci tutela dall’oppressione. Se alla legge basta la “forma di legge” e se, di pari passo, la legalità inghiottisce la legittimità, allora nulla vieta che il tiranno eserciti la sua tirannide in nome della legge e mediante ordini travestiti da leggi.» (*4)
[KGB] Questo passaggio mi pare molto attuale: quando si perde il rapporto fra volontà popolare e operato del potere, che corrisponde alla legittimazione, e tutto si riduce alla più pura formalità (“il governo è legittimo perché ha i voti dei parlamentari”) ecco che allora salta tutto il meccanismo democratico e ci ritroviamo nella situazione evocata da Sartori.
E prosegue: «Ma anche nei nostri sistemi assistiamo a sviluppi degenerativi facilitati dal formalismo giuridico: specialmente il refluire della rule of law nella rule of legislators, del comando del diritto nel comando dei legislatori.» (*5)
[KGB] che, papale papale, significa che il legislatore aggira facilmente le regole imposte dalla costituzione che invece dovrebbe avere la precedenza come tutela fondamentale dei cittadini. Anche questo punto mi pare attualissimo: si vede quasi quotidianamente come la costituzione venga aggirata disinvoltamente con interpretazioni cervellotiche tese a giustificare qualsiasi arbitrio del potere politico.
Ci sarebbe anche un bel paragrafo (troppo lungo da copiare però: a pag. 175-176 per chi fosse interessato) dove Sartori evidenzia un importante principio che, già all’epoca in cui scrive (2006), stava e sta venendo sempre più tralasciato: le leggi devono essere generali e non mirate a specifiche categorie di persone. Se salta questo principio salta anche la protezione della legge, la “libertà da”. Se la legge prende di mira pochi e non tutti equivale a un comando: si passa dal iustum al iussum, dal giusto all’ordine.
[KGB] Inutile sottolineare che anche questa tendenza è sempre più attuale.
Importante precisazione finale: «I diritti sono libertà da o libertà di? Sono – mi pare chiaro – libertà da convertite in libertà di.» (*6)
Conclusione: voglio concludere con la mia annotazione finale: «Stato di diritto → Anche chi legifera deve obbedire alle leggi (buona costituzione; obbedienza a essa non formale)».
Uffa! Sono ancora indietro di 70 pagine rispetto a dove ero arrivato a leggere questa estate: capite però perché questa lettura mi aveva così appassionato, eh?
Nota (*1): tratto da “Democrazia cosa è” di Giovanni Sartori, (E.) RCS, 2007, pag. 157.
Nota (*2): ibidem, pag. 157.
Nota (*3): ibidem, pag. 173.
Nota (*4): ibidem, pag. 173-174.
Nota (*5): ibidem, pag. 174.
Nota (*6): ibidem, pag. 177.
I miei commenti li evidenzierò col “solito” marcatore [KGB].
Il capitolo IX è intitolato “Libertà e legge”: considerando i tempi che stiamo passando mi pare attualissimo.
Secondo Sartori bisogna distinguere fra libertà interiore e di volere, che riguarda la filosofia, e la libertà di fare che invece riguarda la politica.
[KGB] Ma… veramente la filosofia si preoccupa anche della libertà di fare altrimenti sarebbe priva di senso! Suppongo che Sartori volesse sottolineare l’approccio puramente pratico della politica al principio della libertà.
Non provo neppure a riassumerlo con parole mie: «Lo Stato tirannico è libero di comandare a suo piacimento, ma perciò priva i sudditi di ogni libertà: non è uno Stato libero ma oppressivo. Quando si parla di libertà politica si parla dunque di un’attribuzione di potere a dei poteri dispersi, minimi, o comunque minori. Il problema della libertà in senso politico si apre con questa domanda: come tutelare e garantire dei poteri potenzialmente soccombenti?» (*1)
[KGB] Il precedente paragrafo riassume il senso di una mezza paginetta. Ne do la mia interpretazione: il problema della libertà non sono quali debbano essere i poteri dello Stato, o comunque dei forti, ma invece quali debbano essere i diritti, ovvero le libertà, dei deboli. Non solo: proprio perché sono diritti e libertà dei deboli, questi avranno scarse capacità di difenderli e, quindi, andrebbero tutelati con particolare attenzione.
Proseguendo il proprio ragionamento Sartori spiega che la libertà dei deboli è una “libertà difensiva”: i cittadini devono essere liberi da XXX per poter essere liberi di fare YYY.
«[…] la libertà politica non è caratterizzata da questa [libertà di fare] implicazione positiva ma dal suo presupposto protettivo [libertà da]. Tutte le libertà sono libertà di: ma la condizione di tutte le libertà è di essere liberi da.» (*2)
[KGB] Già su questo solo concetto ci sarebbe da scrivere un intero pezzo: se la libertà si riducesse a un lungo elenco di libertà di fare XXX senza alcuna protezione allora nulla vieterebbe al governo di cambiare tale lista a proprio piacimento. Per essere vera libertà ci devono quindi essere delle protezioni che limitino il potere dello Stato affinché esso non diventi arbitrario: ovvero libertà da.
Nel concreto nessuna “libertà da” sarà assoluta: il punto è comunque quello di limitare il potere dei forti (dello Stato) per impedirgli di divenire arbitrario e porre così divieti ingiustificati sui deboli, cioè il popolo.
Il sottocapitolo 9.2 è intitolato “La libertà liberale”: vi ricorda qualcosa? Per un esempio di serendipità leggete Sottocapitolo 12…
Il succo del sottocapitolo, invero molto semplicistico avendo in mente il pensiero di Rawls, è che il potere dei forti, ovvero dello Stato, è limitato dalla costituzione: ma infatti Sartori aveva avvisato che la sua interpretazione della libertà sarebbe stata “pratica”.
[KGB] Manca il problema della giustizia, cioè è implicito che la costituzione dovrà essere giusta ma Sartori non si preoccupa di definire quali dovrebbero essere i suoi principi affinché lo sia se non, ancora implicitamente, intesa e ridotta a una serie di “libertà da”.
Per un intero sottocapitolo e passa Sartori scrive della libertà politica secondo Rousseau ma solo per mostrarne i limiti e per introdurre una polemica, suppongo viva all’epoca della stesura di “Democrazia cosa è”: ovvero se Rousseau avesse anticipato o no il concetto di libertà come autonomia. La risposta di Sartori è, in breve, no.
Poi si arriva a Kant e il livello si alza: ma Sartori subito lo riabbassa! Secondo Sartori infatti la libertà come autonomia di Kant è una libertà sostanzialmente interiore mentre quella politica è esteriore: è la libertà di fare, non di pensare.
[KGB] di nuovo non sono convinto che la filosofia morale sia materia esclusivamente astratta e senza ripercussioni sul concreto, anzi.
Riporto questa frase perché suona bene: «Tramite la forma – il rispetto di determinate procedure – si vuole assicurare il controllo del contenuto.» (*3)
[KGB] Provo a “tradurla”: è tramite la costituzione (forma) che le nuovi leggi (contenuto) devono essere stabilite. La pecca è che la costituzione deve essere giusta per ottenere poi leggi giuste: anche la Germania di Hitler e l’URSS di Stalin, suggerisce Sartori, avevano delle costituzioni ma ciò non impedì leggi ingiuste.
Questo invece è un concetto importante: «E deve essere altrettanto chiaro che quanto più accediamo alla interpretazione puramente formale e positivistica del diritto, tantomeno il diritto ci tutela dall’oppressione. Se alla legge basta la “forma di legge” e se, di pari passo, la legalità inghiottisce la legittimità, allora nulla vieta che il tiranno eserciti la sua tirannide in nome della legge e mediante ordini travestiti da leggi.» (*4)
[KGB] Questo passaggio mi pare molto attuale: quando si perde il rapporto fra volontà popolare e operato del potere, che corrisponde alla legittimazione, e tutto si riduce alla più pura formalità (“il governo è legittimo perché ha i voti dei parlamentari”) ecco che allora salta tutto il meccanismo democratico e ci ritroviamo nella situazione evocata da Sartori.
E prosegue: «Ma anche nei nostri sistemi assistiamo a sviluppi degenerativi facilitati dal formalismo giuridico: specialmente il refluire della rule of law nella rule of legislators, del comando del diritto nel comando dei legislatori.» (*5)
[KGB] che, papale papale, significa che il legislatore aggira facilmente le regole imposte dalla costituzione che invece dovrebbe avere la precedenza come tutela fondamentale dei cittadini. Anche questo punto mi pare attualissimo: si vede quasi quotidianamente come la costituzione venga aggirata disinvoltamente con interpretazioni cervellotiche tese a giustificare qualsiasi arbitrio del potere politico.
Ci sarebbe anche un bel paragrafo (troppo lungo da copiare però: a pag. 175-176 per chi fosse interessato) dove Sartori evidenzia un importante principio che, già all’epoca in cui scrive (2006), stava e sta venendo sempre più tralasciato: le leggi devono essere generali e non mirate a specifiche categorie di persone. Se salta questo principio salta anche la protezione della legge, la “libertà da”. Se la legge prende di mira pochi e non tutti equivale a un comando: si passa dal iustum al iussum, dal giusto all’ordine.
[KGB] Inutile sottolineare che anche questa tendenza è sempre più attuale.
Importante precisazione finale: «I diritti sono libertà da o libertà di? Sono – mi pare chiaro – libertà da convertite in libertà di.» (*6)
Conclusione: voglio concludere con la mia annotazione finale: «Stato di diritto → Anche chi legifera deve obbedire alle leggi (buona costituzione; obbedienza a essa non formale)».
Uffa! Sono ancora indietro di 70 pagine rispetto a dove ero arrivato a leggere questa estate: capite però perché questa lettura mi aveva così appassionato, eh?
Nota (*1): tratto da “Democrazia cosa è” di Giovanni Sartori, (E.) RCS, 2007, pag. 157.
Nota (*2): ibidem, pag. 157.
Nota (*3): ibidem, pag. 173.
Nota (*4): ibidem, pag. 173-174.
Nota (*5): ibidem, pag. 174.
Nota (*6): ibidem, pag. 177.
venerdì 21 gennaio 2022
"Rivelazioni"...
L’11 dicembre scrissi il pezzo Due commenti rapidi su Omicron e covid-19 dove evidenziavo un dato (ufficiale) particolarmente interessante di cui, ovviamente, nessuno parla.
Si tratta della percentuale di morti di covid-19 senza comorbidità indifferentemente dall’età: i vecchissimi dati di Wuhan indicavano appena uno 0,9% che non ho idea di quanto sia attendibile; i dati italiani su un sottoinsieme di circa 7.000 vittime (vado a memoria, potrei sbagliarmi, ma l’ordine di grandezza dovrebbe essere questo) indicavano il 2,9%.
Questo dato è fondamentale per valutare il rischio per la singola persona che NON dipende esclusivamente dall’età ma, probabilmente in misura molto maggiore, dai fattori di rischio ovvero dalle comorbidità già presenti.
Alla stessa, a mio avviso clamorosa, costatazione è arrivato ieri anche il Dr. Campbell (Freedom of information revelation) che ha mostrato i dati ufficiali del Regno Uniti che fino ad adesso non erano stati divulgati (perché no?), ovvero che le vittime di cui l’unica causa è stata il covid-19 (non ricordo se per il 2020 o il 2021) sono state circa 17.000 su circa 150.000. Insomma un po’ più di un decimo.
Al momento il Dr. Campbell stava ancora “processando” questa nuova informazione ma sono curioso di vedere cosa ne concluderà nei prossimi giorni...
Nuovo presidente - 21/1/2021
Al momento non sto assolutamente seguendo le manovre politiche per l’elezione del nuovo presidente della repubblica: so già che sarà pessimo e che lo troverò disgustoso come vomito secco sul marciapiede.
Suppongo che sarà Draghi se così veramente vogliono i parapoteri esteri che ormai controllano la politica italiana nella sua totalità: se non Draghi qualche altro burocrate “europeista” ubbidiente e sottomesso, che dica sempre “sì” agli ordini che riceverà da Bruxelles (o da dovunque arrivino).
Così, senza essermene interessato per niente, pensavo che un’alternativa a Draghi potrebbe essere la Bonino o roba del genere. Dubito politici più tradizionali come può essere un Casini. Forse un Prodi: è stato presidente del Consiglio Europeo, quindi è conosciuto e, pensando ai danni che ha provocato all’Italia, dovrebbe anche essere ritenuto affidabile. È chiaro infatti che la decisioni arriverà dall’estero e dovrà essere un nome assolutamente “europeista”: magari un qualche burocrate grigio mai sentito nominare (da me) che verrà spacciato come un grande statista…
Dr. Clancy - 24/1/2022
Oggi il Dr. Campbell ha pubblicato una lunga intervista a un immunologo australiano di fama mondiale, il Dr. Clancy.
Di solito ascolto questi video molto lunghi sdraiato a letto, seguendo il tutto solo con un orecchio (e talvolta, raramente, mi addormento) e in questo caso, anche a causa dell’accento e della difficoltà della materia, eviterò di provare a ripetere quel che mi è “parso” di capire.
Piuttosto mi concentrerò su vari dettagli che mi hanno colpito.
- Prima di tutto mi ha colpito che il Dr. Clancy abbia evitato di dare risposte dirette ai temi più scottanti probabilmente per evitare polemiche: colpisce che anche esperti del suo calibro rischino di venire attaccati dalla censura o dai media.
- I vaccini funzionano “abbastanza” (il virgolettato è mio) ma andrebbero coadiuvati con altri trattamenti, farmaci a basso costo, usati nei paesi poveri con grande successo (*1), per ridurre il fortemente i pericoli.
- Generica preoccupazione per l’uso di questi vaccini genetici in contrapposizione a quelli tradizionali (col virus inattivo) ottenibili in pochi mesi. Se ben capito nel 1953 e nel 1968 furono creati in 5 mesi.
- La variante Omicron sembrerebbe l’inizio della fine della pandemia. La variante Omicron è stata una grande fortuna per l’umanità.
- Le dosi aggiuntive di vaccini genetici sembrano essere efficaci per un periodo sempre più breve. Se ho capito bene 20 settimane dopo la seconda dose, 10 settimane dopo la terza e, presumibilmente, appena 5 dopo la quarta.
- Le case farmaceutiche cercano di fare più soldi possibili.
- Osservazione: le pandemie recenti si sono estinte da sole in pochi anni. Paradossalmente l’intervento umano potrebbe produrre un’evoluzione diversa?
Nota (*1): controllando su Wikipedia ho avuto la conferma che il farmaco “innominabile” è l’Ivermectin e, forse, anche l’idrossiclorochina.
Ripensandoci - 24/1/2022
Proprio mentre “incollavo” il pezzo precedente mi è venuto in mente un’altra intervista di cui forse non ho parlato fatta sempre dal Dr. Campbell a una delle massime autorità mediche danesi.
Il medico danese aveva risposto tranquillamente e in maniera diretta alle domande del Dr. Campbell.
Invece il dottore australiano invece rispondeva stando sul chi vive, spesso in maniera indiretta.
La differenza credo stia nel diverso clima politico/sociale che si respira in Danimarca e in Australia: dove c’è libertà c’è chiarezza dove vige la censura tutto è offuscato e incerto.
Opportunità perduta - 27/1/2022
Ho un’oretta libera ma, ovviamente, non ho idee da scrivere…
Come ho accennato non sto seguendo l’elezione del nuovo presidente perché so già che sarà pessimo se non terribile. Ovviamente girando per casa mi capita di sentire qualche nome: la maggior parte neppure li conosco però ho sentito quello di Casini e della Casellati…
Non ho parole: per me rappresentano il peggio della politica italiana… oddio, comunque peschi un politico peschi un pesce marcio, però…
Paradossalmente Berlusconi sarebbe stato per adesso il mio preferito! Immaginatevi: discorso di fine anno con barzelletta non politicamente corretta, festini a luce rossa sul Colle (con tanto di vecchi ambasciatori stranieri), ricorrenti messe in stato di accusa. Polemiche a non finire, italioti che alle sue visite ufficiali avrebbero cantato “Bella Ciao”. Qualche capo si stato straniero che si sarebbe rifiutato di stringerli la mano…
Insomma almeno ci saremmo divertiti con lui!
Si tratta della percentuale di morti di covid-19 senza comorbidità indifferentemente dall’età: i vecchissimi dati di Wuhan indicavano appena uno 0,9% che non ho idea di quanto sia attendibile; i dati italiani su un sottoinsieme di circa 7.000 vittime (vado a memoria, potrei sbagliarmi, ma l’ordine di grandezza dovrebbe essere questo) indicavano il 2,9%.
Questo dato è fondamentale per valutare il rischio per la singola persona che NON dipende esclusivamente dall’età ma, probabilmente in misura molto maggiore, dai fattori di rischio ovvero dalle comorbidità già presenti.
Alla stessa, a mio avviso clamorosa, costatazione è arrivato ieri anche il Dr. Campbell (Freedom of information revelation) che ha mostrato i dati ufficiali del Regno Uniti che fino ad adesso non erano stati divulgati (perché no?), ovvero che le vittime di cui l’unica causa è stata il covid-19 (non ricordo se per il 2020 o il 2021) sono state circa 17.000 su circa 150.000. Insomma un po’ più di un decimo.
Al momento il Dr. Campbell stava ancora “processando” questa nuova informazione ma sono curioso di vedere cosa ne concluderà nei prossimi giorni...
Nuovo presidente - 21/1/2021
Al momento non sto assolutamente seguendo le manovre politiche per l’elezione del nuovo presidente della repubblica: so già che sarà pessimo e che lo troverò disgustoso come vomito secco sul marciapiede.
Suppongo che sarà Draghi se così veramente vogliono i parapoteri esteri che ormai controllano la politica italiana nella sua totalità: se non Draghi qualche altro burocrate “europeista” ubbidiente e sottomesso, che dica sempre “sì” agli ordini che riceverà da Bruxelles (o da dovunque arrivino).
Così, senza essermene interessato per niente, pensavo che un’alternativa a Draghi potrebbe essere la Bonino o roba del genere. Dubito politici più tradizionali come può essere un Casini. Forse un Prodi: è stato presidente del Consiglio Europeo, quindi è conosciuto e, pensando ai danni che ha provocato all’Italia, dovrebbe anche essere ritenuto affidabile. È chiaro infatti che la decisioni arriverà dall’estero e dovrà essere un nome assolutamente “europeista”: magari un qualche burocrate grigio mai sentito nominare (da me) che verrà spacciato come un grande statista…
Dr. Clancy - 24/1/2022
Oggi il Dr. Campbell ha pubblicato una lunga intervista a un immunologo australiano di fama mondiale, il Dr. Clancy.
Di solito ascolto questi video molto lunghi sdraiato a letto, seguendo il tutto solo con un orecchio (e talvolta, raramente, mi addormento) e in questo caso, anche a causa dell’accento e della difficoltà della materia, eviterò di provare a ripetere quel che mi è “parso” di capire.
Piuttosto mi concentrerò su vari dettagli che mi hanno colpito.
- Prima di tutto mi ha colpito che il Dr. Clancy abbia evitato di dare risposte dirette ai temi più scottanti probabilmente per evitare polemiche: colpisce che anche esperti del suo calibro rischino di venire attaccati dalla censura o dai media.
- I vaccini funzionano “abbastanza” (il virgolettato è mio) ma andrebbero coadiuvati con altri trattamenti, farmaci a basso costo, usati nei paesi poveri con grande successo (*1), per ridurre il fortemente i pericoli.
- Generica preoccupazione per l’uso di questi vaccini genetici in contrapposizione a quelli tradizionali (col virus inattivo) ottenibili in pochi mesi. Se ben capito nel 1953 e nel 1968 furono creati in 5 mesi.
- La variante Omicron sembrerebbe l’inizio della fine della pandemia. La variante Omicron è stata una grande fortuna per l’umanità.
- Le dosi aggiuntive di vaccini genetici sembrano essere efficaci per un periodo sempre più breve. Se ho capito bene 20 settimane dopo la seconda dose, 10 settimane dopo la terza e, presumibilmente, appena 5 dopo la quarta.
- Le case farmaceutiche cercano di fare più soldi possibili.
- Osservazione: le pandemie recenti si sono estinte da sole in pochi anni. Paradossalmente l’intervento umano potrebbe produrre un’evoluzione diversa?
Nota (*1): controllando su Wikipedia ho avuto la conferma che il farmaco “innominabile” è l’Ivermectin e, forse, anche l’idrossiclorochina.
Ripensandoci - 24/1/2022
Proprio mentre “incollavo” il pezzo precedente mi è venuto in mente un’altra intervista di cui forse non ho parlato fatta sempre dal Dr. Campbell a una delle massime autorità mediche danesi.
Il medico danese aveva risposto tranquillamente e in maniera diretta alle domande del Dr. Campbell.
Invece il dottore australiano invece rispondeva stando sul chi vive, spesso in maniera indiretta.
La differenza credo stia nel diverso clima politico/sociale che si respira in Danimarca e in Australia: dove c’è libertà c’è chiarezza dove vige la censura tutto è offuscato e incerto.
Opportunità perduta - 27/1/2022
Ho un’oretta libera ma, ovviamente, non ho idee da scrivere…
Come ho accennato non sto seguendo l’elezione del nuovo presidente perché so già che sarà pessimo se non terribile. Ovviamente girando per casa mi capita di sentire qualche nome: la maggior parte neppure li conosco però ho sentito quello di Casini e della Casellati…
Non ho parole: per me rappresentano il peggio della politica italiana… oddio, comunque peschi un politico peschi un pesce marcio, però…
Paradossalmente Berlusconi sarebbe stato per adesso il mio preferito! Immaginatevi: discorso di fine anno con barzelletta non politicamente corretta, festini a luce rossa sul Colle (con tanto di vecchi ambasciatori stranieri), ricorrenti messe in stato di accusa. Polemiche a non finire, italioti che alle sue visite ufficiali avrebbero cantato “Bella Ciao”. Qualche capo si stato straniero che si sarebbe rifiutato di stringerli la mano…
Insomma almeno ci saremmo divertiti con lui!
La Prof. Umbridge
Negli ultimi giorni mi sono rimesso a guardare le pellicole della serie Harry Potter: in pratica, a parte i prime due episodi, tutti gli altri erano/sono novità.
Non li avevo mai visti prima perché avevo trovato le pellicole iniziali estremamente deludenti a partire dagli attori fino ad arrivare all’adattamento della sceneggiatura. I film successivi, almeno il 3°, il 4° e il 5° che sto guardando adesso, non fanno eccezione: sono veramente brutti.
Però nel 5° ho almeno notato qualcosa di interessante: il personaggio della professoressa Dolores Umbridge è estremamente attuale. A suo tempo (cioè quando lessi il romanzo) la trovai uno dei personaggi più detestabili in assoluto: un individuo ipocrita, sadico, bugiardo e che abusa in ogni modo del proprio potere facendosi pallio dell’autorità pubblica.
Certo era un romanzo di fantasia e, per quanto la Rowling spesso giocasse con parodie della realtà, non necessariamente doveva essere realistico.
Eppure, quello che all’epoca era un personaggio apparentemente fantastico, troppo sopra le righe per essere vero, è improvvisamente divenuto attuale, anzi attualissimo.
La professoressa Umbridge sembra infatti una via di mezzo fra Speranza e Brunetta: abusa del proprio potere per imporre una verità che, in fondo, sa bene essere falsa: infatti insiste in ogni modo nel proclamare ufficialmente che Lord Voldermort non è tornato e questo nonostante che le prove che dicono il contrario si accumulino. La verità è però tenuta celata alla popolazione e, anzi, viene ridicolizzata anche grazie al sostegno dei media asserviti (“La Gazzetta del Profeta” mi pare) e giornalisti compiacenti. Chi, come Harry Potter, dice la verità viene punito e umiliato. Infine non mancano i regolamenti assurdi imposti agli studenti di Hogwarts: gli equivalenti delle mascherine all’aperto non si contano!
Chiaramente i romanzi di Harry Potter finiscono bene e i buoni vincono: nella realtà non sono i buoni a vincere ma i forti che però, raramente, sono anche buoni.
Comunque la Rowling aveva veramente visto lontano in un’epoca ancora non sospetta: sarebbe interessante sapere cosa ne pensa della situazione attuale. Dal poco che so mi pare di ricordare che abbia avuto problemi col politicamente corretto: non mi sorprende!
Secondo la base dati delle personalità MBTI (che vale poco o nulla dato che si basa su sondaggi!) è una INFJ (1959 voti) o una INFP (1953 voti). Personalmente opterei per una INFP: è infatti chiaro che per lei i principi morali prevalgono su leggi e regole specie se ingiuste.
Conclusione: pezzo corto… ma voglio finire di vedere il film: mi ricordo che la Umbridge alla fine ha quel che si merita ma mi sfuggono i dettagli!
Non li avevo mai visti prima perché avevo trovato le pellicole iniziali estremamente deludenti a partire dagli attori fino ad arrivare all’adattamento della sceneggiatura. I film successivi, almeno il 3°, il 4° e il 5° che sto guardando adesso, non fanno eccezione: sono veramente brutti.
Però nel 5° ho almeno notato qualcosa di interessante: il personaggio della professoressa Dolores Umbridge è estremamente attuale. A suo tempo (cioè quando lessi il romanzo) la trovai uno dei personaggi più detestabili in assoluto: un individuo ipocrita, sadico, bugiardo e che abusa in ogni modo del proprio potere facendosi pallio dell’autorità pubblica.
Certo era un romanzo di fantasia e, per quanto la Rowling spesso giocasse con parodie della realtà, non necessariamente doveva essere realistico.
Eppure, quello che all’epoca era un personaggio apparentemente fantastico, troppo sopra le righe per essere vero, è improvvisamente divenuto attuale, anzi attualissimo.
La professoressa Umbridge sembra infatti una via di mezzo fra Speranza e Brunetta: abusa del proprio potere per imporre una verità che, in fondo, sa bene essere falsa: infatti insiste in ogni modo nel proclamare ufficialmente che Lord Voldermort non è tornato e questo nonostante che le prove che dicono il contrario si accumulino. La verità è però tenuta celata alla popolazione e, anzi, viene ridicolizzata anche grazie al sostegno dei media asserviti (“La Gazzetta del Profeta” mi pare) e giornalisti compiacenti. Chi, come Harry Potter, dice la verità viene punito e umiliato. Infine non mancano i regolamenti assurdi imposti agli studenti di Hogwarts: gli equivalenti delle mascherine all’aperto non si contano!
Chiaramente i romanzi di Harry Potter finiscono bene e i buoni vincono: nella realtà non sono i buoni a vincere ma i forti che però, raramente, sono anche buoni.
Comunque la Rowling aveva veramente visto lontano in un’epoca ancora non sospetta: sarebbe interessante sapere cosa ne pensa della situazione attuale. Dal poco che so mi pare di ricordare che abbia avuto problemi col politicamente corretto: non mi sorprende!
Secondo la base dati delle personalità MBTI (che vale poco o nulla dato che si basa su sondaggi!) è una INFJ (1959 voti) o una INFP (1953 voti). Personalmente opterei per una INFP: è infatti chiaro che per lei i principi morali prevalgono su leggi e regole specie se ingiuste.
Conclusione: pezzo corto… ma voglio finire di vedere il film: mi ricordo che la Umbridge alla fine ha quel che si merita ma mi sfuggono i dettagli!
giovedì 20 gennaio 2022
Sottocapitolo 12
Ieri sera (ma ero cotto) e in nottata (da un anno circa dormo malissimo) ho letto il sottocapitolo 12 “Interpretazione del secondo principio”.
Probabilmente l’aspetto più notevole è che ho scoperto che avevo capito bene la lezione del Prof. Sandel in cui spiegava Rawls: il filosofo americano nella sua teoria della giustizia vorrebbe riequilibrare anche le doti naturali. Torna quindi valido il mio vecchio pezzo che scrissi all’epoca del corso: Obiezione a Rawls (giungo 2016). Ora però voglio capire come e cosa propone di fare al riguardo Rawls e vediamo se mi convince: comunque procediamo con ordine!
Come avevo supposto sul primo principio, uguali libertà per tutti, c’è poco da dire e quindi Rawls si concentra sul secondo nel quale c’erano un paio di frasi che proprio non riuscivo a capire (v. Sottocapitolo 11). Il principio dice che le diseguaglianze economiche e sociali sono accettabili se sono: a. “ragionevolmente previste a vantaggio di ciascuno”; b. “collegate a cariche e posizioni aperte a tutti”.
Secondo Rawls queste due specificazioni, volutamente ambigue, possono essere intese in due modi ciascuna dando origine quindi a quattro interpretazioni che, combinate col primo principio, danno origine ad altrettanti schemi base di giustizia.
Solo uno di questi è valido per Rawls ma, giustamente, procede prima a spiegare i difetti degli altri tre.
Se si interpreta A come “principio di efficienza” e B come “eguaglianza come carriere aperte ai talenti” si ha la cosiddetta “libertà naturale”. Personalmente non trovo chiarissime neppure queste ulteriori suddivisioni e proverò quindi a spiegarle con parole mie (e per questo probabilmente errate!).
Il principio di efficienza in realtà mi è chiaro perché Rawls vi dedica un paio di pagine per spiegarlo: esso deriva direttamente dalla teoria economica di Pareto ed è stato riadattato alla giustizia. Il suo significato più ampio è che in un rapporto fra più soggetti su un certo bene ci sono (teoricamente infiniti) equilibri in cui questo può essere distribuito fra tutti e, se cambiamo l’assegnamento, ci sarà almeno una persona che andrà a stare peggio. Cioè cambiando la distribuzione di un bene al di fuori della linea ideale che rappresenta tutte le posizioni di equilibrio, qualcuno va a stare peggio.
Rawls intende quindi il suo “a vantaggio di ciascuno” come una posizione di equilibrio (dove il bene è la posizione socio/economica) secondo questo principio di efficienza: alterando qualcosa almeno una persona rappresentativa (*1) andrebbe a stare peggio; se così non fosse allora non saremmo sulla linea di equilibrio e, quindi, la diseguaglianza economico/sociale non sarebbe accettabile.
Questo principio di efficienza è però (preso da solo) molto debole e considera tutti i punti di equilibrio egualmente accettabili indipendentemente dalla loro giustizia: per esempio anche la schiavitù potrebbe essere considerata accettabile perché la liberazione degli schiavi porterebbe la classe dei proprietari terrieri a stare peggio…
Ma, come detto, questi principi devono rispettare gli altri e, in particolare, il primo sulle uguali libertà: ovvio che, per definizione, schiavi e padroni non avrebbero le stesse libertà e, quindi, la schiavitù è inaccettabile nel sistema di libertà naturale.
In altre parole fra tutte le configurazioni sulla linea di equilibrio va trovata quella effettivamente più giusta: del resto «Ora, queste riflessioni mostrano soltanto ciò che sapevamo già da tempo, cioè che il principio di efficienza non può fungere da solo come concezione della giustizia.» (*2) (*3).
Il sistema della libertà naturale si base su una società liberista, fondata sul mercato, in cui le carriere e le possibilità di arricchimento sono almeno formalmente aperte a tutti. Non tiene conto del fatto che le possibilità del singolo dipendono dalla distribuzione iniziale di varie caratteristiche: denaro, posizione sociale, talenti naturali e capacità. La teoria economica ci dice che le allocazioni risultanti saranno efficienti (sulla linea di massimizzazione di Pareto cioè) e quindi questo sistema può soddisfare comunque entrambi i principi.
Ovviamente, come anch’io avevo fatto notare in Sottocapitolo 11, Rawls spiega che non arriveremo ad allocazioni giuste perché i beni iniziali possono essere anche molto diversi: chi nasce in una famiglia ricca avrà più possibilità di arricchirsi a sua volta rispetto a chi nasce in una famiglia povera.
In altre parole la frase “eguaglianza come carriere aperte ai talenti” corrisponde a un’eguaglianza formale, non reale, di accesso alle opportunità.
Si arriva così al sistema di eguaglianza liberale: qui il principio A è ancora interpretato come “principio di efficienza” ma B è inteso come “eguaglianza di opportunità”.
Per ottenere questa uguaglianza “reale” la società deve intervenire rendendo omogenea la situazione iniziale di ogni individuo, per esempio, permettendo a tutti di studiare gratuitamente si elimina il vantaggio nell'educazione dato da una maggiore ricchezza iniziale.
L’idea è che i giovani di abilità e inclinazioni simili dovrebbero avere le stesse opportunità di crescita e sviluppo.
Come ottenere queste compensazioni necessarie per avere pari opportunità? Rawls scrive: «Gli elementi di questa struttura [sociale e giuridica] sono piuttosto conosciuti, anche se può valere la pena di ricordare quanto sia importante prevenire un’eccessiva accumulazione di proprietà e di ricchezze, e d’altro canto garantire eguali opportunità di istruzione per tutti.» (*4)
Questo è il sistema di uguaglianza liberale in cui, in “teoria” (vedi poi), viviamo che è sicuramente meglio del sistema di libertà naturale ma non è perfetto.
Secondo Rawls infatti, così come si compensa il fatto che la sorte faccia nascere alcuni bambini ricchi e altri poveri, è giusto compensare anche per le diverse doti naturali visto che anch’esse sono frutto del caso.
Qui, come anticipato, non sono d’accordo ma voglio vedere come, nel concreto, Rawls voglia sviluppare questo concetto.
Qualche obiezione per il momento. I talenti e capacità naturali sono molteplici, per esempio: intelligenza, bellezza, forza, simpatia, coraggio, creatività etc.
Come facciamo a misurarli oggettivamente singolarmente e poi a confrontare fra loro le misure ottenute? Come si calcola e quanto vale, per esempio, 1 unità di intelligenza rispetto a 1 di simpatia?
Inoltre alcune di queste dimensioni NON sono oggettive: prendiamo la bellezza. A me tipicamente spesso piacciono delle donne considerate non particolarmente belle (per non dire brutte) mentre altre, considerate bellissime, mi fanno schifo. Come posso controbilanciare, anche volendolo, qualcosa di così soggettivo e ineffabile?
Ovviamente rimane la mia obiezione più profonda che, se ricordo bene, è che il tentativo di Rawls di neutralizzare le differenze naturali più intime degli uomini mi sembra porti a una disumanizzazione dell’individuo. Nel 2016 scrivevo però basandomi sul poco spiegato dal prof. Sandel adesso ho invece fra le mani il libro di Rawls e dovrei essere quindi in grado di capire e giudicare per bene il suo punto di vista: magari mi potrebbe anche convincere…
Infine, se A (“a vantaggio di ciascuno”) è inteso non come principio di efficienza ma come “principio di differenza” e B come “eguaglianza come carriere aperte ai talenti” (inteso da me come “eguaglianza formale”) si ha l’aristocrazia naturale.
Nell’aristocrazia naturale l’uguaglianza è, appunto, puramente formale e le diseguaglianze sarebbero tollerate se gli aristocratici guidassero la società in maniera di ottenere il meglio per chi è più sfortunato.Se ho ben capito (l’argomento sarà approfondito nel prossimo sottocapitolo) il principio di differenza non si basa sul risultato che si ottiene ma sulla volontà di fare (oltre che, naturalmente, la capacità). Ma non ne sono sicuro: Rawls ci spende appena mezza paginetta.
No! Nel frattempo ho letto anche il sottocapitolo 13 dove viene spiegato il principio di differenza: esso sostanzialmente consiste nell’ammettere solo le diseguaglianze che massimizzano il benessere del gruppo sociale che sta peggio. Ovviamente approfondirò quando scriverò del sottocapitolo 13.
Il quarto caso, quello a cui mira Rawls, dove A è inteso come “principio di differenza” e B come “eguaglianza (reale) di opportunità”, corrisponde all’eguaglianza democratica e lo tratterà nel prossimo sottocapitolo.
Importante è una precisazione: sia l’aristocrazia naturale che l’uguaglianza liberale sono sistemi instabili. Senza un costante controllo tendono a tornare verso il sistema della libertà naturale.
È esattamente quello che mi sembra stia accadendo in questi ultimi decenni: si tende a eliminare tutti quei meccanismi che cercavano di ridurre l’impatto delle differenze di nascita e così facendo si ottiene di incrementarle ulteriormente favorendo a dismisura le diseguaglianze economiche.
Conclusione: il prossimo sottocapitolo sarà fondamentale, non solo per capire cosa si intenda effettivamente col “principio di diseguaglianza”, ma soprattutto per comprendere come Rawls intenda neutralizzare le differenze naturali fra gli uomini.
Nota (*1): con “persona rappresentativa” Rawls intende (credo) una persona ideale membro tipico di una certa classe sociale. Vi vedo similitudini col mio concetto di “gruppo”.
Nota (*2): tratto da Una teoria della giustiziadi John Rawls, (E.) Feltrinelli, 2021, trad. Ugo Santini, pag. 85.
Nota (*3): frecciatina agli utilitaristi! Ora, non per vantarmi, ma nella mia ([E] 11.2 e 17) ridicola bozza di uno schema alternativo per la società propongo valutazioni basate su due dimensioni: efficienza E giustizia.
Nota (*4): ibidem, pag. 87.
Probabilmente l’aspetto più notevole è che ho scoperto che avevo capito bene la lezione del Prof. Sandel in cui spiegava Rawls: il filosofo americano nella sua teoria della giustizia vorrebbe riequilibrare anche le doti naturali. Torna quindi valido il mio vecchio pezzo che scrissi all’epoca del corso: Obiezione a Rawls (giungo 2016). Ora però voglio capire come e cosa propone di fare al riguardo Rawls e vediamo se mi convince: comunque procediamo con ordine!
Come avevo supposto sul primo principio, uguali libertà per tutti, c’è poco da dire e quindi Rawls si concentra sul secondo nel quale c’erano un paio di frasi che proprio non riuscivo a capire (v. Sottocapitolo 11). Il principio dice che le diseguaglianze economiche e sociali sono accettabili se sono: a. “ragionevolmente previste a vantaggio di ciascuno”; b. “collegate a cariche e posizioni aperte a tutti”.
Secondo Rawls queste due specificazioni, volutamente ambigue, possono essere intese in due modi ciascuna dando origine quindi a quattro interpretazioni che, combinate col primo principio, danno origine ad altrettanti schemi base di giustizia.
Solo uno di questi è valido per Rawls ma, giustamente, procede prima a spiegare i difetti degli altri tre.
Se si interpreta A come “principio di efficienza” e B come “eguaglianza come carriere aperte ai talenti” si ha la cosiddetta “libertà naturale”. Personalmente non trovo chiarissime neppure queste ulteriori suddivisioni e proverò quindi a spiegarle con parole mie (e per questo probabilmente errate!).
Il principio di efficienza in realtà mi è chiaro perché Rawls vi dedica un paio di pagine per spiegarlo: esso deriva direttamente dalla teoria economica di Pareto ed è stato riadattato alla giustizia. Il suo significato più ampio è che in un rapporto fra più soggetti su un certo bene ci sono (teoricamente infiniti) equilibri in cui questo può essere distribuito fra tutti e, se cambiamo l’assegnamento, ci sarà almeno una persona che andrà a stare peggio. Cioè cambiando la distribuzione di un bene al di fuori della linea ideale che rappresenta tutte le posizioni di equilibrio, qualcuno va a stare peggio.
Rawls intende quindi il suo “a vantaggio di ciascuno” come una posizione di equilibrio (dove il bene è la posizione socio/economica) secondo questo principio di efficienza: alterando qualcosa almeno una persona rappresentativa (*1) andrebbe a stare peggio; se così non fosse allora non saremmo sulla linea di equilibrio e, quindi, la diseguaglianza economico/sociale non sarebbe accettabile.
Questo principio di efficienza è però (preso da solo) molto debole e considera tutti i punti di equilibrio egualmente accettabili indipendentemente dalla loro giustizia: per esempio anche la schiavitù potrebbe essere considerata accettabile perché la liberazione degli schiavi porterebbe la classe dei proprietari terrieri a stare peggio…
Ma, come detto, questi principi devono rispettare gli altri e, in particolare, il primo sulle uguali libertà: ovvio che, per definizione, schiavi e padroni non avrebbero le stesse libertà e, quindi, la schiavitù è inaccettabile nel sistema di libertà naturale.
In altre parole fra tutte le configurazioni sulla linea di equilibrio va trovata quella effettivamente più giusta: del resto «Ora, queste riflessioni mostrano soltanto ciò che sapevamo già da tempo, cioè che il principio di efficienza non può fungere da solo come concezione della giustizia.» (*2) (*3).
Il sistema della libertà naturale si base su una società liberista, fondata sul mercato, in cui le carriere e le possibilità di arricchimento sono almeno formalmente aperte a tutti. Non tiene conto del fatto che le possibilità del singolo dipendono dalla distribuzione iniziale di varie caratteristiche: denaro, posizione sociale, talenti naturali e capacità. La teoria economica ci dice che le allocazioni risultanti saranno efficienti (sulla linea di massimizzazione di Pareto cioè) e quindi questo sistema può soddisfare comunque entrambi i principi.
Ovviamente, come anch’io avevo fatto notare in Sottocapitolo 11, Rawls spiega che non arriveremo ad allocazioni giuste perché i beni iniziali possono essere anche molto diversi: chi nasce in una famiglia ricca avrà più possibilità di arricchirsi a sua volta rispetto a chi nasce in una famiglia povera.
In altre parole la frase “eguaglianza come carriere aperte ai talenti” corrisponde a un’eguaglianza formale, non reale, di accesso alle opportunità.
Si arriva così al sistema di eguaglianza liberale: qui il principio A è ancora interpretato come “principio di efficienza” ma B è inteso come “eguaglianza di opportunità”.
Per ottenere questa uguaglianza “reale” la società deve intervenire rendendo omogenea la situazione iniziale di ogni individuo, per esempio, permettendo a tutti di studiare gratuitamente si elimina il vantaggio nell'educazione dato da una maggiore ricchezza iniziale.
L’idea è che i giovani di abilità e inclinazioni simili dovrebbero avere le stesse opportunità di crescita e sviluppo.
Come ottenere queste compensazioni necessarie per avere pari opportunità? Rawls scrive: «Gli elementi di questa struttura [sociale e giuridica] sono piuttosto conosciuti, anche se può valere la pena di ricordare quanto sia importante prevenire un’eccessiva accumulazione di proprietà e di ricchezze, e d’altro canto garantire eguali opportunità di istruzione per tutti.» (*4)
Questo è il sistema di uguaglianza liberale in cui, in “teoria” (vedi poi), viviamo che è sicuramente meglio del sistema di libertà naturale ma non è perfetto.
Secondo Rawls infatti, così come si compensa il fatto che la sorte faccia nascere alcuni bambini ricchi e altri poveri, è giusto compensare anche per le diverse doti naturali visto che anch’esse sono frutto del caso.
Qui, come anticipato, non sono d’accordo ma voglio vedere come, nel concreto, Rawls voglia sviluppare questo concetto.
Qualche obiezione per il momento. I talenti e capacità naturali sono molteplici, per esempio: intelligenza, bellezza, forza, simpatia, coraggio, creatività etc.
Come facciamo a misurarli oggettivamente singolarmente e poi a confrontare fra loro le misure ottenute? Come si calcola e quanto vale, per esempio, 1 unità di intelligenza rispetto a 1 di simpatia?
Inoltre alcune di queste dimensioni NON sono oggettive: prendiamo la bellezza. A me tipicamente spesso piacciono delle donne considerate non particolarmente belle (per non dire brutte) mentre altre, considerate bellissime, mi fanno schifo. Come posso controbilanciare, anche volendolo, qualcosa di così soggettivo e ineffabile?
Ovviamente rimane la mia obiezione più profonda che, se ricordo bene, è che il tentativo di Rawls di neutralizzare le differenze naturali più intime degli uomini mi sembra porti a una disumanizzazione dell’individuo. Nel 2016 scrivevo però basandomi sul poco spiegato dal prof. Sandel adesso ho invece fra le mani il libro di Rawls e dovrei essere quindi in grado di capire e giudicare per bene il suo punto di vista: magari mi potrebbe anche convincere…
Infine, se A (“a vantaggio di ciascuno”) è inteso non come principio di efficienza ma come “principio di differenza” e B come “eguaglianza come carriere aperte ai talenti” (inteso da me come “eguaglianza formale”) si ha l’aristocrazia naturale.
Nell’aristocrazia naturale l’uguaglianza è, appunto, puramente formale e le diseguaglianze sarebbero tollerate se gli aristocratici guidassero la società in maniera di ottenere il meglio per chi è più sfortunato.
No! Nel frattempo ho letto anche il sottocapitolo 13 dove viene spiegato il principio di differenza: esso sostanzialmente consiste nell’ammettere solo le diseguaglianze che massimizzano il benessere del gruppo sociale che sta peggio. Ovviamente approfondirò quando scriverò del sottocapitolo 13.
Il quarto caso, quello a cui mira Rawls, dove A è inteso come “principio di differenza” e B come “eguaglianza (reale) di opportunità”, corrisponde all’eguaglianza democratica e lo tratterà nel prossimo sottocapitolo.
Importante è una precisazione: sia l’aristocrazia naturale che l’uguaglianza liberale sono sistemi instabili. Senza un costante controllo tendono a tornare verso il sistema della libertà naturale.
È esattamente quello che mi sembra stia accadendo in questi ultimi decenni: si tende a eliminare tutti quei meccanismi che cercavano di ridurre l’impatto delle differenze di nascita e così facendo si ottiene di incrementarle ulteriormente favorendo a dismisura le diseguaglianze economiche.
Conclusione: il prossimo sottocapitolo sarà fondamentale, non solo per capire cosa si intenda effettivamente col “principio di diseguaglianza”, ma soprattutto per comprendere come Rawls intenda neutralizzare le differenze naturali fra gli uomini.
Nota (*1): con “persona rappresentativa” Rawls intende (credo) una persona ideale membro tipico di una certa classe sociale. Vi vedo similitudini col mio concetto di “gruppo”.
Nota (*2): tratto da Una teoria della giustiziadi John Rawls, (E.) Feltrinelli, 2021, trad. Ugo Santini, pag. 85.
Nota (*3): frecciatina agli utilitaristi! Ora, non per vantarmi, ma nella mia ([E] 11.2 e 17) ridicola bozza di uno schema alternativo per la società propongo valutazioni basate su due dimensioni: efficienza E giustizia.
Nota (*4): ibidem, pag. 87.
mercoledì 19 gennaio 2022
INFJ o INTP?
Avevo pensato di scrivere un corto ma, conoscendomi, credo sarebbe diventato troppo lungo: scrivo quindi questo pezzo, già dall’inizio, con calma.
Appena iniziata la lettura di Rawls ho avvertito una notevole sintonia col suo modo di scrivere ed esprimersi: per questo avevo ipotizzato che fosse un INTP come me. All’epoca ero senza rete e non potevo controllare ma oggi me ne sono ricordato e ho “verificato” sul sito Personality-Database.com
Ho scritto “verificato” fra virgolette perché la categorizzazione dei vari personaggi nelle diverse tipologie MBTI è solamente presunta. Per i personaggi dell’antichità in pratica è poco più di un gioco, per quelli più recenti, di cui magari si hanno maggiori informazioni come lettere personali o altri dati che permettono una ricostruzione più accurata della personalità, il sito dà un’indicazione un po' più credibile…
Perlomeno questo pensavo fino a quando non mi sono accorto che le tipologie psicologiche dei diversi personaggi sono decise tramite dei sondaggi! E da quello che ho letto nei commenti non mi sembra che chi vota sia un esperto: in genere si basano su brevi passaggi tratti da libri da cui sembra emergere una caratteristica tipica di un certo tipo MBTI…
Comunque nel caso di John Rawls ci sono stati 29 voti di cui 15 per INFJ e 12 per INTP. Prevale quindi di misura la tipologia INFJ ma evidentemente le caratteristiche INTP sono presenti.
Ovviamente, considerata anche l’incertezza del giudizio degli “esperti”, rimango dell’idea che Rawls fosse un INTP: comunque ho letto la scheda degli INFJ su LaStessaMedaglia.it (che si può ancora leggere in Internet Archive – The Wayback Machine!) e in effetti potrebbe anche essere. In particolare ero scettico per la funzione secondaria Fe che relega la Ti a terziaria ma, da quello che ho capito, negli INFJ la terziaria è comunque discretamente forte e ben integrata.
LaStessaMedaglia come personaggi famosi INFJ mette Platone, Schopenhauer, Nietzsche e (volendo) Jung e Chomsky (!); fra gli INTP: Kant, Arendt, Cartesio, Leibniz, Locke…
Dato che queste suddivisioni sono comunque arbitrarie, è da prendere con le molle qualsiasi deduzione basata su di esse: per il poco che vale Rawls mi pare, a suo stesso dire, si ispiri particolarmente a Kant e Locke entrambi INTP…
Poi ho letto la pagina inglese di wikipedia di Rawls in cerca di indizi: difficile trovare qualcosa di utile nelle brevi sintesi fornite però mi ha colpito la sua forte religiosità prima di divenire ateo. Gli INTP sono infatti particolarmente poco religiosi, quindi questo potrebbe essere un segno di INFJ…
C’è da dire che nella sua infanzia e giovinezza prevalgono i traumi: la morte di due fratelli più piccoli da lui infettati (in due diverse occasioni) e l’esperienza della seconda guerra mondiale. Secondo me questi fattori scombussolano la personalità…
Mi è poi venuta in mente un’altra possibilità: sapete della mia teoria secondo la quale nella primissima infanzia io abbia oscillato fra INTP e INFP? Io ho tutte le caratteristiche degli INTP, e sicuramente lo sono, ma ho anche delle caratteristiche tipiche degli INFP, come la creatività e il forte senso dei principi, che non dovrei avere…
Ipotizzo quindi che nella mia trasformazione da INFP e INTP io possa aver attraversato uno stadio da INFJ e che anch’esso abbia lasciato il suo segno: del resto, negli INFP, Fe è dominante mentre negli INTP è represso: mi sembra quindi ragionevole che, nella mia ipotetica trasformazione, Fi sia stata temporaneamente la mia funzione secondaria come negli INFJ.
Insomma l’affinità che provo con Rawls (e del resto anche con Nietzsche) potrebbe essere dovuta a questa mia (presunta) anomalia al mio essere stato, sebbene per pochissimo, un INFJ.
E in effetti io stesso mi riconosco abbastanza anche nella descrizione degli INFJ…
Comunque la maniera in cui ragiona Rawls mi sembra proprio la mia! Nelle mie note a margine mi è per esempio capitato spesso di evidenziare frammenti peculiari che si ritrovano pari e tali nella mia Epitome. Per esempio il sottocapitolo 9 inizia con: “Per evitare fraintendimenti...”: frase (e preoccupazione) tipicamente mia che però non mi aspettavo di trovare in un libro in cui un autore affermato esprime il proprio parere con proprietà di termini. Già, a proposito di termini, anche Rawls si inventa molte definizioni!
Conclusione: di Nietzsche non dubito che sia un INFJ, nonostante l’affinità che sento per il suo pensiero, le sue intuizioni spesso sono un passo oltre la mia usuale prospettiva e non avverto lo stesso procedere logico e metodico che mi contraddistingue nelle mie esposizioni; ma il modo di ragionare di Rawls è invece proprio uguale al mio e se dovessi scommettere sul suo tipo psicologico punterei comunque su INTP nonostante i due voti in più come INFJ sul sito Personality-Database.com!
Appena iniziata la lettura di Rawls ho avvertito una notevole sintonia col suo modo di scrivere ed esprimersi: per questo avevo ipotizzato che fosse un INTP come me. All’epoca ero senza rete e non potevo controllare ma oggi me ne sono ricordato e ho “verificato” sul sito Personality-Database.com
Ho scritto “verificato” fra virgolette perché la categorizzazione dei vari personaggi nelle diverse tipologie MBTI è solamente presunta. Per i personaggi dell’antichità in pratica è poco più di un gioco, per quelli più recenti, di cui magari si hanno maggiori informazioni come lettere personali o altri dati che permettono una ricostruzione più accurata della personalità, il sito dà un’indicazione un po' più credibile…
Perlomeno questo pensavo fino a quando non mi sono accorto che le tipologie psicologiche dei diversi personaggi sono decise tramite dei sondaggi! E da quello che ho letto nei commenti non mi sembra che chi vota sia un esperto: in genere si basano su brevi passaggi tratti da libri da cui sembra emergere una caratteristica tipica di un certo tipo MBTI…
Comunque nel caso di John Rawls ci sono stati 29 voti di cui 15 per INFJ e 12 per INTP. Prevale quindi di misura la tipologia INFJ ma evidentemente le caratteristiche INTP sono presenti.
Ovviamente, considerata anche l’incertezza del giudizio degli “esperti”, rimango dell’idea che Rawls fosse un INTP: comunque ho letto la scheda degli INFJ su LaStessaMedaglia.it (che si può ancora leggere in Internet Archive – The Wayback Machine!) e in effetti potrebbe anche essere. In particolare ero scettico per la funzione secondaria Fe che relega la Ti a terziaria ma, da quello che ho capito, negli INFJ la terziaria è comunque discretamente forte e ben integrata.
LaStessaMedaglia come personaggi famosi INFJ mette Platone, Schopenhauer, Nietzsche e (volendo) Jung e Chomsky (!); fra gli INTP: Kant, Arendt, Cartesio, Leibniz, Locke…
Dato che queste suddivisioni sono comunque arbitrarie, è da prendere con le molle qualsiasi deduzione basata su di esse: per il poco che vale Rawls mi pare, a suo stesso dire, si ispiri particolarmente a Kant e Locke entrambi INTP…
Poi ho letto la pagina inglese di wikipedia di Rawls in cerca di indizi: difficile trovare qualcosa di utile nelle brevi sintesi fornite però mi ha colpito la sua forte religiosità prima di divenire ateo. Gli INTP sono infatti particolarmente poco religiosi, quindi questo potrebbe essere un segno di INFJ…
C’è da dire che nella sua infanzia e giovinezza prevalgono i traumi: la morte di due fratelli più piccoli da lui infettati (in due diverse occasioni) e l’esperienza della seconda guerra mondiale. Secondo me questi fattori scombussolano la personalità…
Mi è poi venuta in mente un’altra possibilità: sapete della mia teoria secondo la quale nella primissima infanzia io abbia oscillato fra INTP e INFP? Io ho tutte le caratteristiche degli INTP, e sicuramente lo sono, ma ho anche delle caratteristiche tipiche degli INFP, come la creatività e il forte senso dei principi, che non dovrei avere…
Ipotizzo quindi che nella mia trasformazione da INFP e INTP io possa aver attraversato uno stadio da INFJ e che anch’esso abbia lasciato il suo segno: del resto, negli INFP, Fe è dominante mentre negli INTP è represso: mi sembra quindi ragionevole che, nella mia ipotetica trasformazione, Fi sia stata temporaneamente la mia funzione secondaria come negli INFJ.
Insomma l’affinità che provo con Rawls (e del resto anche con Nietzsche) potrebbe essere dovuta a questa mia (presunta) anomalia al mio essere stato, sebbene per pochissimo, un INFJ.
E in effetti io stesso mi riconosco abbastanza anche nella descrizione degli INFJ…
Comunque la maniera in cui ragiona Rawls mi sembra proprio la mia! Nelle mie note a margine mi è per esempio capitato spesso di evidenziare frammenti peculiari che si ritrovano pari e tali nella mia Epitome. Per esempio il sottocapitolo 9 inizia con: “Per evitare fraintendimenti...”: frase (e preoccupazione) tipicamente mia che però non mi aspettavo di trovare in un libro in cui un autore affermato esprime il proprio parere con proprietà di termini. Già, a proposito di termini, anche Rawls si inventa molte definizioni!
Conclusione: di Nietzsche non dubito che sia un INFJ, nonostante l’affinità che sento per il suo pensiero, le sue intuizioni spesso sono un passo oltre la mia usuale prospettiva e non avverto lo stesso procedere logico e metodico che mi contraddistingue nelle mie esposizioni; ma il modo di ragionare di Rawls è invece proprio uguale al mio e se dovessi scommettere sul suo tipo psicologico punterei comunque su INTP nonostante i due voti in più come INFJ sul sito Personality-Database.com!
martedì 18 gennaio 2022
Sottocapitolo 11 (e 9 e 10)
Stamani mi sono alzato alle 5:30 per portare un parente… vabbè… il succo è che oggi sono più rintronato del solito eppure, o forse proprio per questo, voglio mettere nero su bianco le ultime da “Una teoria della giustizia”.
Ieri sera (diciamo verso le 00:30) ho letto il secondo sottocapitolo del secondo capitolo.
Per la cronaca l’ultimo sottocapitolo del primo capitolo era riepilogativo mentre il primo del secondo è stato introduttivo. Insomma c’è poco da dire: mi pare di aver capito il primo capitolo e sono ottimista per il secondo!
Finalmente vengono introdotti i due principi di giustizia o, come precedentemente spiegato, la loro prima versione che sarà pian piano perfezionata: da essi dovrà derivare la teoria della giustizia. La scelta di partire da questi principi imperfetti è solo per chiarezza espositiva.
Il primo è molto semplice: le libertà fondamentali devono essere uguali per tutti.
Il secondo è articolato in due parti: le diseguaglianze economiche-sociali possono esistere ma: a. devono essere a vantaggio di ciascuno; b. NON devono interferire con la possibilità di accedere a cariche o posizioni aperte a tutti.
Sul primo principio non ho nulla da dire; invece non riesco a comprendere il punto “a” del secondo: come fa una diseguaglianza a essere a vantaggio delle parti coinvolte? Automaticamente una ne sarà avvantaggiata e l’altra sfavorita: invece per tutto il sottocapitolo sembra che Rawls dia per scontato che possano esistere situazioni di questo tipo ma non fa esempi dirimenti.
Del punto “b” capisco bene il significato teorico ma nella pratica lo vedo difficile da realizzare dato che le diseguaglianze economiche portano con sé ogni genere di vantaggi (*1) per alcuni e svantaggi per altri.
Ma il punto “a” proprio mi sfugge: mi sembra talmente ovvio che una parte sia avvantaggiata e una svantaggiata.
Ecco, forse il trucco per capire dov’è il nocciolo della questione (oltre a leggere il sottocapitolo successivo intitolato “Interpretazioni del secondo principio”!) è affermare che gli uomini non sono tutti uguali ma alcuni hanno dei vantaggi naturali (intelligenza, bellezza, simpatia etc.) sul resto della popolazione (cosa che in effetti Rawls afferma) e che creando diseguaglianze sulla base di questi (o di un loro sottoinsieme) la società potrebbe avvantaggiarsene. Per esempio se i posti all’università fossero un bene limitato potrebbe avere senso riservarli ai più intelligenti in maniera da avere poi i laureati più capaci. Ma questa sarebbe una forma di utilitarismo (il perfezionismo per la precisione) per cui dubito possa essere veramente la risposta alla mia perplessità.
Ah, poi come Rawls aveva spiegato nel capitolo iniziale, questi due principi non hanno la stessa importanza: il secondo è infatti subordinato al primo.
Una conseguenza è, per esempio, che neppure una persona consenziente può vendere una sua libertà fondamentale in cambio di denaro o altri vantaggi.
Ah, e le libertà fondamentali possono quindi essere limitate SOLO da altre libertà fondamentali.
Gli enunciati dei due principi erano in realtà un po’ più complessi ma io li ho semplificati: comunque Rawls è consapevole che sono solo delle linee guida e che potrebbero esistere casi limite difficilmente rapportabili a essi.
Personalmente il secondo principio mi pare debba essere parecchio ritoccato per essere valido: penso che anche nel primo ci sia qualcosa che non vada (l’enunciato non era semplice come l’ho espresso io) ma deve trattarsi di qualcosa di sottile nascosto nella sua definizione specifica.
Conclusione: sono proprio curioso di leggermi il sottocapitolo successivo: se non mi addormento ci proverò dopo pranzo!
Nota (*1): leggevo proprio stamani il titolo (sono pigro!) di un articolo dei Jacobins. Anzi lo cerco così lo cito per bene… Ecco qui: Art for the 99% di Luke Savage su JacobinMag.com
In pratica i ragazzi provenienti da una famiglia ricca hanno una probabilità enormemente più alta del resto della popolazione di divenire artisti.
È ovvio che essi possono dedicarsi alla propria arte, vera o presunta che sia, senza preoccuparsi di potersi mantenere con essa: questo è solo uno dei tanti esempi in cui la diseguaglianza economica mostra le sue “imprevedibili” conseguenze.
Ieri sera (diciamo verso le 00:30) ho letto il secondo sottocapitolo del secondo capitolo.
Per la cronaca l’ultimo sottocapitolo del primo capitolo era riepilogativo mentre il primo del secondo è stato introduttivo. Insomma c’è poco da dire: mi pare di aver capito il primo capitolo e sono ottimista per il secondo!
Finalmente vengono introdotti i due principi di giustizia o, come precedentemente spiegato, la loro prima versione che sarà pian piano perfezionata: da essi dovrà derivare la teoria della giustizia. La scelta di partire da questi principi imperfetti è solo per chiarezza espositiva.
Il primo è molto semplice: le libertà fondamentali devono essere uguali per tutti.
Il secondo è articolato in due parti: le diseguaglianze economiche-sociali possono esistere ma: a. devono essere a vantaggio di ciascuno; b. NON devono interferire con la possibilità di accedere a cariche o posizioni aperte a tutti.
Sul primo principio non ho nulla da dire; invece non riesco a comprendere il punto “a” del secondo: come fa una diseguaglianza a essere a vantaggio delle parti coinvolte? Automaticamente una ne sarà avvantaggiata e l’altra sfavorita: invece per tutto il sottocapitolo sembra che Rawls dia per scontato che possano esistere situazioni di questo tipo ma non fa esempi dirimenti.
Del punto “b” capisco bene il significato teorico ma nella pratica lo vedo difficile da realizzare dato che le diseguaglianze economiche portano con sé ogni genere di vantaggi (*1) per alcuni e svantaggi per altri.
Ma il punto “a” proprio mi sfugge: mi sembra talmente ovvio che una parte sia avvantaggiata e una svantaggiata.
Ecco, forse il trucco per capire dov’è il nocciolo della questione (oltre a leggere il sottocapitolo successivo intitolato “Interpretazioni del secondo principio”!) è affermare che gli uomini non sono tutti uguali ma alcuni hanno dei vantaggi naturali (intelligenza, bellezza, simpatia etc.) sul resto della popolazione (cosa che in effetti Rawls afferma) e che creando diseguaglianze sulla base di questi (o di un loro sottoinsieme) la società potrebbe avvantaggiarsene. Per esempio se i posti all’università fossero un bene limitato potrebbe avere senso riservarli ai più intelligenti in maniera da avere poi i laureati più capaci. Ma questa sarebbe una forma di utilitarismo (il perfezionismo per la precisione) per cui dubito possa essere veramente la risposta alla mia perplessità.
Ah, poi come Rawls aveva spiegato nel capitolo iniziale, questi due principi non hanno la stessa importanza: il secondo è infatti subordinato al primo.
Una conseguenza è, per esempio, che neppure una persona consenziente può vendere una sua libertà fondamentale in cambio di denaro o altri vantaggi.
Ah, e le libertà fondamentali possono quindi essere limitate SOLO da altre libertà fondamentali.
Gli enunciati dei due principi erano in realtà un po’ più complessi ma io li ho semplificati: comunque Rawls è consapevole che sono solo delle linee guida e che potrebbero esistere casi limite difficilmente rapportabili a essi.
Personalmente il secondo principio mi pare debba essere parecchio ritoccato per essere valido: penso che anche nel primo ci sia qualcosa che non vada (l’enunciato non era semplice come l’ho espresso io) ma deve trattarsi di qualcosa di sottile nascosto nella sua definizione specifica.
Conclusione: sono proprio curioso di leggermi il sottocapitolo successivo: se non mi addormento ci proverò dopo pranzo!
Nota (*1): leggevo proprio stamani il titolo (sono pigro!) di un articolo dei Jacobins. Anzi lo cerco così lo cito per bene… Ecco qui: Art for the 99% di Luke Savage su JacobinMag.com
In pratica i ragazzi provenienti da una famiglia ricca hanno una probabilità enormemente più alta del resto della popolazione di divenire artisti.
È ovvio che essi possono dedicarsi alla propria arte, vera o presunta che sia, senza preoccuparsi di potersi mantenere con essa: questo è solo uno dei tanti esempi in cui la diseguaglianza economica mostra le sue “imprevedibili” conseguenze.
lunedì 17 gennaio 2022
La fine della pandemia?
Allora: dallo scorso mercoledì ho riavuto Internet e lentamente sto mettendomi in pari con l’informazione sul covid-19 e in particolare con i video del Dr. Campbell.
E, sorpresa, la situazione è molto più rosea di quanto le prefiche dei media italiani lasciano intendere: anzi, di sicuro la situazione nel Regno Unito è addirittura rosea.
A cosa è dovuta questa differenza di prospettive fra, diciamo, Italia e UK?
Beh, da una parte la situazione è effettivamente, un po’ differente da un’altra nel Regno Unito si tiene maggiormente conto della realtà scientifica invece di cercare, esclusivamente, di terrorizzare il comune cittadino italiano (tendenzialmente ipocondriaco!).
Partiamo dalle differenze oggettive:
La percentuale di vaccinati nel Regno Unito è di circa il 75%, in Italia dovremmo essere intorno all’80%. Già da questo semplice dato si ricava che la discriminante fra situazione rosea o nera non è il vaccino.
La differenza, secondo me fondamentale, è che nel Regno Unito si è avuto il picco della delta in estate quando sono state tolte tutte le restrizioni: i più a rischio erano vaccinati “di fresco” e per il resto della popolazione c’era la protezione fornita dalla vitamina D.
L’Italia invece ha fatto l’opposto e, come avevo del resto predetto ancora in estate, le cose sono andate diversamente (molto peggio). Le restrizioni del governo iniziate già in estate non hanno avuto alcun effetto se non discriminare ingiustamente fra i cittadini: il vero motivo per cui in Italia la variante delta non si è diffusa in estate né per gran parte dell’autunno è stata la vitamina D che naturalmente gli italiani possedevano grazie al clima, particolarmente mite e soleggiato fino a inizio novembre. Più o meno da metà novembre, finito l’effetto della vitamina D e ovviamente indipendentemente dal giro di vite alle libertà individuali imposto a ottobre dal governo italiano, la variante delta, all’epoca dominante, ha iniziato a diffondersi. I malati che affollano oggi gli ospedali sono probabilmente in gran parte contagiati dalla variante delta presa nelle feste natalizie (per finire in ospedale c’è infatti un ritardo di circa due settimane dal contagio: fatevi i vostri calcoli).
La differenza è che l’Italia si è ritrovata ad affrontare il contagio della delta in inverno: i soggetti a rischio avevano ormai una vaccinazione i cui effetti erano limitati e tutta la popolazione è al minimo livello di vitamina D.
In poche parole l’Italia, sia per il clima che grazie per le restrizioni imposte dal governo, è riuscita solo a ritardare l’esplosione della variante delta facendola giungere nel momento meno opportuno.
A questa situazione di è FORTUNATAMENTE sovrapposta la variante Omicron.
Nel Regno Unito la variante Omicron è giunta circa due settimane prima che da noi e verso Natale era già dominante: questo ha comportato un nuovo picco dei casi con però la popolazione protetta dall’immunità naturale fornita dal picco della delta in estate. Questo significa che al picco di nuovi contagi non è seguito l’analogo picco di ricoveri in ospedale e poi morti: certo, un aumento vi è inevitabilmente stato ma assolutamente minuscolo relativamente ai contagi. Questa situazione è illustrata perfettamente dal seguente grafico: How do key COVID-19 metrics compare to previous waves? da OurWorldInData.org
Confido nell’intelligenza dei miei lettori nel capire il grafico. Se giocate con le impostazioni potete vedere come è andata per le diverse nazioni del Regno Unito: è interessante confrontare Inghilterra e Scozia. Vedrete che il picco inglese è circa 2,5 volte quello massimo dell’inizio 2020 mentre quello scozzese è a circa 6 volte: come mai? La Scozia, oltretutto, ha imposto ai suoi cittadini, con gli ovvi costi economici, maggiori restrizioni dell’Inghilterra. La “MIA” ipotesi è che aver ostacolato la diffusione della delta ha prodotto meno immunità naturale (molto più efficace di quella indotta dai vaccini) nella popolazione col risultato che la Omicron si sta diffondendo con maggior facilità nonostante, lo ripeto, le maggiori restrizioni.
In Italia la variante Omicron era, più o meno (il campione è piccolo ma dovrebbe essere comunque indicativo) all’80% a inizio gennaio con la Delta al 20%.
Adesso è facile supporre che la Omega sia al 99% col risultato che l’aumento dei ricoverati è dovuto principalmente al gran numero di infetti più che alla gravità della malattia che, anzi, è generalmente leggerissima per l’individuo medio.
Il risultato è che in UK gli esperti stanno iniziando a mandare messaggi molto rassicuranti: il covid-19 diventerà endemico nella popolazione e sarà uno dei tanti raffreddori invernali. Prevedono quindi un 2022 di tranquillo ritorno alla normalità precovid-19.
Ovviamente si continuerà a morire di covid-19 come prima si moriva di influenza (negli inverni “cattivi” anche 200-300 persone al giorno) ma era ritenuto normale e inevitabile: e siccome le vittime di covid-19 e influenza saranno le stesse (e poiché si può morire una volta sola!) queste saranno divise fra le due malattie e non andranno a sommarsi insieme.
Questo in un paese normale. in Italia infatti la gestione della malattia ha obiettivi politici più che sanitari. Probabilmente distrarre l’opinione pubblica dalle mene economiche e imporre, tramite il verdepasso o una sua “evoluzione”, un controllo costante sugli italiani.
È infatti probabile che il mio sogno di qualche notte fa sulla fine dell’emergenza sanitaria in Italia a marzo sia sostanzialmente corretto: sono però sicuro che le discriminazioni assurde rimarranno perché il loro scopo non ha niente a che vedere con la salute pubblica.
Sono quindi ottimista per l’evoluzione della pandemia in Italia che, nonostante la gestione scellerata del governo, è destinata a terminare come nel resto del mondo. Difficilmente infatti dovrebbe evolversi una variante più contagiosa della Omicron che sia anche più grave e che sfugga all’immunità naturale (e dei vaccini) provocata dalla Omicron.
In realtà io ho ancora delle preoccupazioni riguardo i “topi” (v. Uomini e topi 2): ho notato che il Dr. Campbell ha anche pubblicato un video specifico sull’argomento ma ancora non l’ho guardato. Magari mi tranquillizzerò completamente anch’io…
Conclusione: ma allora, se la situazione è così positiva come ho scritto io, come si spiegano gli ospedali che scoppiano di malati? Beh, la situazione, grazie alla gestione “maldestra” del governo, diventerà sì positiva ma solo nelle prossime settimane: bisogna poi ricordare i 37 miliardi di tagli alla sanità negli ultimi 10 anni (v. Tagli alla sanità) col risultato di avere adesso un’assistenza sanitaria perennemente sotto organico e dalla scarsa capacità ricettiva: un sistema sanitario in cui ogni onda di crisi appena un po’ più alta della media si trasforma in uno tsunami.
PS: ah! Mi sono dimenticato di fornire il collegamente al video del Dr. Campbell sul quale mi sono principalmente basato oggi: Specialists now agree on endemic ending.
E, sorpresa, la situazione è molto più rosea di quanto le prefiche dei media italiani lasciano intendere: anzi, di sicuro la situazione nel Regno Unito è addirittura rosea.
A cosa è dovuta questa differenza di prospettive fra, diciamo, Italia e UK?
Beh, da una parte la situazione è effettivamente, un po’ differente da un’altra nel Regno Unito si tiene maggiormente conto della realtà scientifica invece di cercare, esclusivamente, di terrorizzare il comune cittadino italiano (tendenzialmente ipocondriaco!).
Partiamo dalle differenze oggettive:
La percentuale di vaccinati nel Regno Unito è di circa il 75%, in Italia dovremmo essere intorno all’80%. Già da questo semplice dato si ricava che la discriminante fra situazione rosea o nera non è il vaccino.
La differenza, secondo me fondamentale, è che nel Regno Unito si è avuto il picco della delta in estate quando sono state tolte tutte le restrizioni: i più a rischio erano vaccinati “di fresco” e per il resto della popolazione c’era la protezione fornita dalla vitamina D.
L’Italia invece ha fatto l’opposto e, come avevo del resto predetto ancora in estate, le cose sono andate diversamente (molto peggio). Le restrizioni del governo iniziate già in estate non hanno avuto alcun effetto se non discriminare ingiustamente fra i cittadini: il vero motivo per cui in Italia la variante delta non si è diffusa in estate né per gran parte dell’autunno è stata la vitamina D che naturalmente gli italiani possedevano grazie al clima, particolarmente mite e soleggiato fino a inizio novembre. Più o meno da metà novembre, finito l’effetto della vitamina D e ovviamente indipendentemente dal giro di vite alle libertà individuali imposto a ottobre dal governo italiano, la variante delta, all’epoca dominante, ha iniziato a diffondersi. I malati che affollano oggi gli ospedali sono probabilmente in gran parte contagiati dalla variante delta presa nelle feste natalizie (per finire in ospedale c’è infatti un ritardo di circa due settimane dal contagio: fatevi i vostri calcoli).
La differenza è che l’Italia si è ritrovata ad affrontare il contagio della delta in inverno: i soggetti a rischio avevano ormai una vaccinazione i cui effetti erano limitati e tutta la popolazione è al minimo livello di vitamina D.
In poche parole l’Italia, sia per il clima che grazie per le restrizioni imposte dal governo, è riuscita solo a ritardare l’esplosione della variante delta facendola giungere nel momento meno opportuno.
A questa situazione di è FORTUNATAMENTE sovrapposta la variante Omicron.
Nel Regno Unito la variante Omicron è giunta circa due settimane prima che da noi e verso Natale era già dominante: questo ha comportato un nuovo picco dei casi con però la popolazione protetta dall’immunità naturale fornita dal picco della delta in estate. Questo significa che al picco di nuovi contagi non è seguito l’analogo picco di ricoveri in ospedale e poi morti: certo, un aumento vi è inevitabilmente stato ma assolutamente minuscolo relativamente ai contagi. Questa situazione è illustrata perfettamente dal seguente grafico: How do key COVID-19 metrics compare to previous waves? da OurWorldInData.org
Confido nell’intelligenza dei miei lettori nel capire il grafico. Se giocate con le impostazioni potete vedere come è andata per le diverse nazioni del Regno Unito: è interessante confrontare Inghilterra e Scozia. Vedrete che il picco inglese è circa 2,5 volte quello massimo dell’inizio 2020 mentre quello scozzese è a circa 6 volte: come mai? La Scozia, oltretutto, ha imposto ai suoi cittadini, con gli ovvi costi economici, maggiori restrizioni dell’Inghilterra. La “MIA” ipotesi è che aver ostacolato la diffusione della delta ha prodotto meno immunità naturale (molto più efficace di quella indotta dai vaccini) nella popolazione col risultato che la Omicron si sta diffondendo con maggior facilità nonostante, lo ripeto, le maggiori restrizioni.
In Italia la variante Omicron era, più o meno (il campione è piccolo ma dovrebbe essere comunque indicativo) all’80% a inizio gennaio con la Delta al 20%.
Adesso è facile supporre che la Omega sia al 99% col risultato che l’aumento dei ricoverati è dovuto principalmente al gran numero di infetti più che alla gravità della malattia che, anzi, è generalmente leggerissima per l’individuo medio.
Il risultato è che in UK gli esperti stanno iniziando a mandare messaggi molto rassicuranti: il covid-19 diventerà endemico nella popolazione e sarà uno dei tanti raffreddori invernali. Prevedono quindi un 2022 di tranquillo ritorno alla normalità precovid-19.
Ovviamente si continuerà a morire di covid-19 come prima si moriva di influenza (negli inverni “cattivi” anche 200-300 persone al giorno) ma era ritenuto normale e inevitabile: e siccome le vittime di covid-19 e influenza saranno le stesse (e poiché si può morire una volta sola!) queste saranno divise fra le due malattie e non andranno a sommarsi insieme.
Questo in un paese normale. in Italia infatti la gestione della malattia ha obiettivi politici più che sanitari. Probabilmente distrarre l’opinione pubblica dalle mene economiche e imporre, tramite il verdepasso o una sua “evoluzione”, un controllo costante sugli italiani.
È infatti probabile che il mio sogno di qualche notte fa sulla fine dell’emergenza sanitaria in Italia a marzo sia sostanzialmente corretto: sono però sicuro che le discriminazioni assurde rimarranno perché il loro scopo non ha niente a che vedere con la salute pubblica.
Sono quindi ottimista per l’evoluzione della pandemia in Italia che, nonostante la gestione scellerata del governo, è destinata a terminare come nel resto del mondo. Difficilmente infatti dovrebbe evolversi una variante più contagiosa della Omicron che sia anche più grave e che sfugga all’immunità naturale (e dei vaccini) provocata dalla Omicron.
In realtà io ho ancora delle preoccupazioni riguardo i “topi” (v. Uomini e topi 2): ho notato che il Dr. Campbell ha anche pubblicato un video specifico sull’argomento ma ancora non l’ho guardato. Magari mi tranquillizzerò completamente anch’io…
Conclusione: ma allora, se la situazione è così positiva come ho scritto io, come si spiegano gli ospedali che scoppiano di malati? Beh, la situazione, grazie alla gestione “maldestra” del governo, diventerà sì positiva ma solo nelle prossime settimane: bisogna poi ricordare i 37 miliardi di tagli alla sanità negli ultimi 10 anni (v. Tagli alla sanità) col risultato di avere adesso un’assistenza sanitaria perennemente sotto organico e dalla scarsa capacità ricettiva: un sistema sanitario in cui ogni onda di crisi appena un po’ più alta della media si trasforma in uno tsunami.
PS: ah! Mi sono dimenticato di fornire il collegamente al video del Dr. Campbell sul quale mi sono principalmente basato oggi: Specialists now agree on endemic ending.
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