[E] Attenzione! Per la comprensione di questo pezzo è necessaria la lettura della mia Epitome (V. 1.8.0 "Verdepasso").
Zitto zitto sono riuscito a rimanere indietro su Rawls: è un libro ancor più impegnativo di quello di Sartori e per me è molto importante riassumere i vari sottocapitoli per aiutarmi a memorizzarne il contenuto.
Oggi però, siccome voglio “recuperare” ben tre sottocapitoli, cercherò di essere più conciso del solito.
13. «L’eguaglianza democratica e il principio di differenza»
Il sottocapitolo si apre con una sezione dove viene spiegato il principio di differenza appoggiandosi, anche in questo caso, alla teoria economica. Senza riproporre i grafici mi limito all’essenza: nella teoria di Rawls il principio di differenza è usato per stabilire se una diseguaglianza è accettabile oppure no. Per ogni diseguaglianza nella società (non importa fra chi) si deve verificare se essa massimizza il benessere del gruppo sociale che sta peggio (e solo di questo): se sì allora è accettabile altrimenti è inaccettabile e va eliminata.
Dietro questa scelta vi sono almeno due ragioni: 1. è decisamente più semplice limitarsi ad analizzare la situazione di un unico gruppo sociale piuttosto che tutta la società; 2. massimizzando il benessere del gruppo che sta peggio si migliora anche quella di molti altri gruppi (questo per un’altra teoria, detta della “connessione a catena” di cui non scriverò).
Altro dato interessante è che, osservando i grafici, si può dimostrare che l’utilitarismo, con la sua massimizzazione del benessere di tutti i gruppi, ammette più diseguaglianza del principio di differenza: in pratica il benessere del gruppo che sta peggio nell’utilitarismo sarà sempre minore che sotto il principio di differenza.
Il principio di differenza ci porta alla riformulazione del secondo prerequisito (*1) su cui dovremo basare i principi di giustizia veri e propri. Le condizioni del secondo prerequisito divengono:
2a. le diseguaglianza sono ammissibili se massimizzano i benefici del gruppo che sta peggio.
2b. le diseguaglianze sono ammissibili solo se non influenzano la possibilità di accedere a cariche e opportunità.
14. «L’equa eguaglianza di opportunità e la giustizia procedurale pura»
Il sottocapitolo tratta la seconda condizione del secondo prerequisito e inizia con un’osservazione molto importante.
L’obiettivo di questa condizione, l’apertura a tutti delle cariche, non è per massimizzarne l’efficienza ma per giustizia, per coinvolgere ugualmente tutti i gruppi sociali e non escluderne nessuno.
[KGB] Per capire bene cosa ha in mente Rawls dovrei avere un esempio concreto: non vi voglio annoiare con la mia acribia ma il senso delle parole di Rawls cambia completamente in base a come si definisca un “gruppo sociale” (*2).
Poi viene spiegato in cosa consista la “giustizia procedurale pura”: l’idea intuitiva è che sia un sistema il cui funzionamento porta automaticamente, per come è progettato, a un risultato che sia giusto in ogni caso.
[KGB] concetto molto interessante e che di sicuro piacerebbe a Taleb perché molto antifragile.
Prima di arrivare alla giustizia procedurale pura viene illustrata la giustizia procedurale perfetta e quella imperfetta.
Un esempio di giustizia procedurale perfetta è il problema di suddividere una torta in parti esattamente uguali: la procedura consiste nel far tagliare la torta a colui che prenderà l’ultima fetta rimasta. Caratteristica di questo tipo di giustizia è la presenza di un criterio indipendente che indica la bontà del risultato ottenuto (in questo caso le superfici uguali delle fette tagliate).
Un esempio di giustizia procedurale imperfetta: il processo penale. Scopo del processo è condannare gli imputati se e solo se colpevoli e per ottenere tale obiettivo si seguono determinate procedure mirate, in base al crimine, ad arrivare al risultato corretto. Il problema è che non esiste una procedura che garantisca il risultato corretto e a volte un innocente può venire punito e un colpevole liberato. Non si tratta tanto di un errore umano quanto di un limite delle procedure. Anche in questo caso esisterebbe un criterio indipendente per valutare il risultato del processo ma la procedura per arrivare a esso è imperfetta.
La giustizia procedurale pura è “perfetta” perché porta sempre a un risultato giusto ma, contemporaneamente, manca il criterio esterno che definisca la “giustezza”. L’esempio di Rawls è quello delle scommesse eque: se le scommesse sono eque qualsiasi distribuzione di denaro fra i partecipanti che si ha al termine di esse sarà giusto.
[KGB] l’esempio non mi convince del tutto.
Osservazione: mancando un criterio esterno che definisca il giusto la procedura va portata a compimento: non ci si può interrompere prima.
Altra osservazione: una giustizia procedurale pura deve basarsi su un sistema concreto di istituzioni ugualmente ben fatto e che verrà proposto nella seconda parte dell’opera.
Succo: «Il ruolo del principio di equa opportunità è quello di garantire che il sistema di cooperazione sia un sistema di giustizia procedurale pura. Se il principio non venisse soddisfatto, la giustizia distributiva non potrebbe essere abbandonata a se stessa, neppure in un ambito limitato.» (*3)
[KGB] la prima proposizione è chiara e al momento va presa per buona. La seconda è fondamentale: io l’intendo come l’ammissione che la natura umana è tale che, inevitabilmente, i forti si approfitterebbero del loro vantaggio per andare a distorcere i meccanismi della giustizia distributiva (qualunque essa fosse). Il fenomeno è generale e lo vediamo chiaramente nel mondo moderno in più ambiti istituzionali i quali stanno degenerando sempre più rapidamente.
L’utilitarismo, basandosi su un criterio di valutazione esterna (la massimizzazione dell’utile), porta a una giustizia procedurale imperfetta.
Nel prosieguo Rawls elenca tutta una serie di caratteristiche che la giustizia procedurale pura dovrà avere. Io rimango perplesso perché non riesco a immaginare un meccanismo concreto che possa soddisfare tutti i vincoli di Rawls: avrei bisogno di un esempio, o almeno di una metafora, per capire meglio. Ma Rawls segue un approccio completamente “Top-Down”: prima definisce la forma che si vuole ottenere ma rimanda i dettagli ai capitoli successivi: il lettore deve prendere per buono che quello che scrive Rawls sia effettivamente fattibile e aspettare.
15. «I beni primari sociali come base delle aspettative»
(E questo è il sottocapitolo che ho letto stanotte!)
Rawls inizia con una critica dell’utilitarismo abbastanza ovvia: nel calcolo dell’utile complessivo l’osservatore imparziale deve compiere molte valutazioni che saranno inevitabilmente arbitrarie. Per circa mezza pagina Rawls spiega le numerose difficoltà di queste stime poi, in due righi, spara la “bomba”!
Scrive: «La controversia riguardo ai confronti interpersonali tende a oscurare il vero problema, e cioè se la felicità totale (o media) vada massimizzata.» (*4).
Sfortunatamente Rawls non approfondisce detto concetto e passa invece a spiegare come il principio di differenza risolva il problema dei confronti interpersonali.
Siccome il principio di differenza si concentra esclusivamente sul gruppo più svantaggiato basta quindi valutare le aspettative di questo senza doverle confrontare con quelle degli altri gruppi.
[KGB] e come si fa a stabilire qual è il gruppo più svantaggiato allora? (*5)
Inoltre, come ulteriore semplificazione, ciò che si cercherà di massimizzare nel gruppo più svantaggiato saranno solamente i beni primari, ovvero: diritti, libertà, opportunità, reddito, ricchezza e prerogative dell’autorità. Alcuni di questi saranno per definizione uguali per tutti a causa della prima precondizione mentre reddito, ricchezza e prerogative dell’autorità potranno variare in accordo alla seconda precondizione.
Da qui si passa alla definizione di bene: ovviamente Rawls non scende nei dettagli ma spiega di rifarsi ad Aristotele: ovvero che il bene è la soddisfazione di un desiderio razionale, e quindi beni “minori” sono tutti quei fattori che permettono all’uomo di attuare il piano che ha in mente per realizzare il proprio desiderio.
Conclusione: ho compresso significativamente la sintesi di questi sottocapitoli: avessi scritto un pezzo per ciascuno di essi avrei divagato molto di più. Però il risultato mi pare accettabile.
Ora mi frulla per la testa se la mia idea draconiana per risolvere il problema della diseguaglianza economica ([E] 17.3 “Sintesi: contro la diseguaglianza economica”) sia un tipo di giustizia procedurale pura. Io credo sì e no: in effetti non mi preoccupo tanto che il risultato ottenuto sia giusto quanto che non sia ingiusto. E fra il giusto e il non ingiusto esiste una zona grigia piuttosto ampia. Il mio principio (“evitare l’ingiustizia”) è sicuramente più debole di “ottenere il giusto” ma ha il vantaggio gigantesco di essere molto più facile da realizzare praticamente. Inoltre ha una caratteristica di autocorrezione degli eventuali errori che lo rende molto antifragile: supponiamo infatti che il caso vada a premiare per una serie di combinazioni un individuo già ricco e che questi, anche grazie al vantaggio ottenuto, riesca a divenire super ricco: ebbene alla morte di questo individuo anche questo errore verrà corretto con, anzi, grande beneficio per l’intera società.
Nota (*1): nei pezzi precedenti usavo il termine “condizione” usato nel libro ma esso poi genera confusione per il fatto che la seconda di queste è a sua volta composta da due condizioni. Invece adesso potrò scrivere che “il secondo prerequisito ha due condizioni” che mi pare di gran lunga più chiaro.
Nota (*2): per la verità Rawls si riferisce a “individuo rappresentativo del gruppo sociale” dove io scrivo semplicemente “gruppo”.
Nota (*3): tratto da “Una teoria della giustizia” di John Rawls, (E.) Feltrinelli, 2021, trad. Ugo Santini, pag. 99.
Nota (*4): ibidem, pag. 102.
Nota (*5): ho avuto un’intuizione per un nuovo principio: le diseguaglianze sono accettabili solo se favoriscono via via meno persone (forma a piramide); in altre parole il gruppo più svantaggiato sarà sempre quello più numeroso.
Il post sentenza
1 ora fa
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