«[Figlio dell'uomo] Porgi l'orecchio e ascolta le parole di KGB
e applica la tua mente alla SUA istruzione
» Pv. 22,17

Qui si straparla di vari argomenti:
1. Il genere dei pezzi è segnalato da varie immagini, vedi Legenda
2. Per contattarmi e istruzioni per i nuovi lettori (occasionali e non) qui
3. L'ultimo corto è questo
4. Molti articoli di questo blog fanno riferimento a definizioni e concetti che ho enunciato nella mia Epitome gratuitamente scaricabile QUI. Tali riferimenti sono identificati da una “E” fra parentesi quadre e uno o più capitoli. Per esempio: ([E] 5.1 e 5.4)

lunedì 27 novembre 2023

Sulle trattative di Istanbul (2022)

Questo è interessante/importante: proprio all’inizio del suo video Russia wanted to end war. Boris, just continue fighting. Trudeau, blame Ukraine on MAGA. U/1 Alex Christoforou mostra un breve video di un’intervista a un parlamentare ucraino, appartenente al partito di Zelensky e che era stato a capo della delegazione ucraina alle trattative di pace di Istanbul a circa un mese dall’inizio dell’operazione speciale russa.

Cosa dice? Quello che, non ricordo se lo ho scritto, le “mie” fonti hanno sempre ripetuto, ovvero:
1. Russia e Ucraina erano vicine ad accordo per il cessate il fuoco.
2. La Russia voleva sostanzialmente la garanzia di neutralità ucraina (no NATO).
3. L’Ucraina non si fidava della Russia e voleva delle garanzie per la propria sicurezza.
4. L’accordo era comunque raggiungibile e la Russia era pronta a fermare la guerra.
5. L’intervento di Boris Johnson (aka Mastro Ciliegia) fece saltare tutto e “convinse” l’Ucraina a proseguire la guerra con la garanzia del sostegno occidentale.

Chiaramente Mastro Ciliegia agì su mandato di Capitan Babbeo o, meglio, della sua squadra di badanti. Sulle motivazioni reali degli USA già scrissi il giorno +1 dall’inizio della guerra (v. Altra lettura della crisi Russia-Ucraina-NATO (USA)): forse vi era effettivamente l’erronea speranza di ottenere una vittoria “economica” (tramite le sanzioni) ma gli scopi principali erano altri: tutti sordidi e da raggiungere col sangue dei soldati ucraini e la distruzione del paese.

Fin qui, lo ripeto, niente di nuovo: questo retroscena dei colloqui di Istanbul erano ben noti (ovviamente a chi non si “disinformava” sui media ufficiali).
Ma perché questa ammissione da parte ucraina alla televisione nazionale e quindi al mondo?

Secondo Christoforou non si tratta di un’iniziativa personale ma sta obbedendo a degli ordini ben precisi.
Lo scopo non può essere altro che:
1. preparare la sostituzione del burattino Zelensky con qualcuno meno compromesso.
2. comunque forzare Zelensky a trattare per cessate il fuoco.

Questo perché ormai in occidente (sebbene i media debbano ancora finire di aggiornare la propria propaganda basata sulla Russia prossima alla sconfitta) è ormai chiaro che la sconfitta dell'Ucraina sia prossima: non è più una questione di mezzi ma ormai di mancanza di uomini (*1). Ormai, l’ho scritto da mesi, il crollo dell’esercito ucraino potrebbe essere improvviso e avvenire in qualsiasi momento.
In pratica i badanti di Capitan Babbeo cercano disperatamente di raggiungere un qualsiasi accordo da spacciare poi come vittoria (“Visto? Il folle Putin voleva conquistare tutta l’Ucraina e poi il resto dell’Europa ma noi siamo riusciti a impedirlo!” (*2)) invece di ritrovarsi con una disfatta completa durante le elezioni per la presidenza USA del 2024.

Per questo USA e Germania stanno cercando di spingere Zelensky a trattare con la Russia ma ormai il presidente ucraino ha investito troppo della propria immagine nella sconfitta di Putin e nella riconquista della Crimea: da una parte i suoi sostenitori lo abbandonerebbero e da un’altra la Russia non sarebbe molto incline a trattare con lui.

Che poi in occidente gli “strateghi” sembrano dare per scontato che adesso la Russia accetterebbe la pace, forse almeno parzialmente convinti dalle bugie della loro stessa propaganda, ma secondo me non è così. Cioè la Russia accetterebbe la pace ma alle proprie condizioni: non solo neutralità assoluta dell’Ucraina ma anche compensi territoriali e, magari, risarcimenti economici.
La Russia in questa guerra inutile voluta dall’occidente ha infatti perso 40.000 ragazzi: questo sangue non può essere dimenticato. Del resto non credo che Putin tifi per la rielezione di Capitan Babbeo che si è dimostrato un vero e proprio pericolo globale.
Qualsiasi accordo di pace accettato dalla Russia dovrà essere umiliante per l’occidente che, come del resto avevo già previsto nel 2022, ha tutto l’interesse a far uscire l’Europa con le ossa rotte nella (remota) speranza di ottenere un reale cambiamento politico che rompa la sottomissione agli USA.
Se invece Putin dovesse accontentarsi di poco allora significherebbe che le perdite russe sono effettivamente maggiori di quanto io pensi, ovvero che le mie valutazioni militari sono errate: non impossibile data la grande incertezza su queste notizie...

Conclusione: Sono d’accordo con l’analisi di Christoforou: il cambiamento ai vertici di Kiev è vicino e con esso una nuova linea politica dell’occidente verso la Russia.

Nota (*1): io ho visto personalmente tre video di donne ucraine al fronte in trincea. Di uno si può, volendo, dubitare dell’autenticità ma degli altri due no.
Nota (*2): peccato che Putin non avesse mai detto di voler conquistare l’Ucraina e infatti nel mio pezzo sullodato (del 24 febbraio 2022) avevo scritto: “A oggi infatti, 24/2 alle 8:30, le forze russe stanno occupando queste zone separatiste.
L’obiettivo della Russia non è infatti, come scritto, quello di invadere e annettere l’intera Ucraina (del resto 200.000 uomini non sarebbero sufficienti) ma solamente avere la garanzia che l’Ucraina non entri nella NATO. Suppongo che la Russia sarebbe ben disposta a ritirare le proprie forze dalle regioni separatiste (nel complesso insignificanti) in cambio della dichiarazione scritta che l’Ucraina resti fuori dalla NATO.”

domenica 26 novembre 2023

Donne e giovani sovietici anni '30

Oggi voglio fare un rapido riepilogo di ciò che sto leggendo e poi concentrarmi un po’ di più su Trotsky…

Ho finito “Le vite di dodici Cesari” di Svetonio: lettura molto piacevole ma non vi ho trovato nessuna epigrafe per la mia Epitome: l’autore si rifiuta infatti di proporre delle proprie riflessioni e si limita a riportare le notizie sui diversi personaggi che descrive. Stranamente i capitoli sugli ultimi tre imperatori sono più brevi dei primi: il problema non è che non può parlarne male visto che COMUNQUE ne parla male… oltretutto erano stati suoi contemporanei… ecco forse il problema non erano gli imperatori ormai morti ma altri potenti che non avrebbero gradito essere tirati in ballo…

Su consiglio di mio padre ho iniziato il Satyricon di Petronio: ancora non mi pronuncio perché l’inizio originale è andato perduto e quindi ci si ritrova a metà di un dialogo di cui non si conoscono le premesse. Oltretutto ieri ero molto stanco e non riuscivo neppure a leggere bene, nonostante gli occhiali.

Nel libro di “Raja Yoga” “consigliatomi” da UUiC non sono andato avanti: un po’ mi sta antipatico ma anche perché ho capito che si tratta di un seguito a un altro libro dello stesso autore…

“Tipi psicologici” di Jung è al momento il mio preferito: però non è una lettura semplice e la posso portare avanti solo se non sono stanco. Ieri sera, per esempio, sono riuscito a leggere solo due pagine (non due fogli di carta ma uno solo!)… ma di questo ho già scritto abbastanza…

In “Cotton is king”, seppure lentamente, sto comunque andando avanti perché, dopotutto, è il mio libro da bagno quindi…
Ultimamente sta diventando più interessante e, forse, vi ho anche trovato potenziali epigrafi. Sta infatti emergendo che le pressioni ad abolire lo schiavismo negli USA erano, almeno ai piani alti, ipocrite e volute dalla potenza dell’epoca, il Regno Unito: ma anche di questo ho già scritto recentemente (v. Economia del cotone).

Ho letto proprio pochi giorni fa un nuovo capitolo de “Il maestro e Margherita” ma non mi piace: Barbero mi ha fregato! Succedono cose ma non mi incuriosiscono. E poi non ci capisco niente con i nomi dei vari personaggi (la mia “famigerata” dislessia che confonde insieme nomi simili) e questo mi fa perdere molti riferimenti. Dal prossimo libro (di narrativa) che leggerò voglio tenere una lista di nomi per ricordarmi chi è chi…

Anche su “On becoming a person” di Rogers sono fermo: come sempre infatti non mi piace mischiare libri sullo stesso argomento e adesso sono più concentrato su quello di Jung. Di sicuro però lo riprenderò presto perché non è mio e non lo voglio tenere troppo…

Come al solito poi “Una teoria della giustizia” mi piace ma lo leggo col contagocce dato che è il libro che in assoluto richiede la mia massima attenzione: dovrei essere “sveglio” e avrei bisogno di silenzio…
Forse l’ho già accennato ma mi sono comprato delle cuffie antirumore: aiutano ma non risolvono…

E finalmente siamo arrivati a “The revolution betrayed and other works” di Leon Trotsky!
Il libro era partito benissimo (basta vedere i pezzi che dedico a ogni libro per avere un’idea di quanto mi piacciono) ma…
...continua piuttosto bene! Diciamo che ultimamente non vi ho trovato quelle generalizzazioni che mi piacciono così tanto: sta descrivendo la società dell’URSS degli anni ‘30.
Il primo sottocapitolo è sul ruolo della donna che la costituzioni sovietica considera assolutamente pari all’uomo.
Spiega che passare dai principi alla pratica non è semplice, che soprattutto nelle campagne la situazione è più arretrata, che mancano fondi per finanziare iniziative utili… le solite cose che si sentono ancora oggi. Probabilmente ai tempi di Trotsky queste erano intuizioni profonde ma adesso sono così attuali da risultare banali!
Soprattutto evidenzia che solo le donne benestanti, ovvero soprattutto quelle appartenenti alla burocrazia (la “borghesia” sovietica), possono godersi tutti i nuovi diritti mentre le donne comuni sono costrette al doppio lavoro: in fabbrica/campo e poi a casa.
La prostituzione è ben viva e più della metà delle donne arrestate hanno comunque un lavoro in fabbrica o in ufficio.
Un grande problema femminile sono poi le gravidanze indesiderate: proprio per questo la rivoluzione aveva legalizzato l’aborto ma anche in questo caso la lista di attesa è così lunga che molte donne devono ricorrere a levatrici improvvisate con esiti talvolta disastrosi.

Comunque, aggiungo io, la percentuale di donne lavoratrici a occhio sembra molto più alta di quanto non fosse in Italia alla stessa epoca.

Infine, non sorprendentemente, la massima aspirazione delle donne sovietiche sembra essere quella di sposare un alto burocrate. La burocrazia, e i potenti in genere, riescono ad aggirare leggi e limitazioni e possono permettersi “schiavi” domestici, cioè della servitù. Cosa che fa inorridire Trotsky…
Curioso l’uso del termine “schiavi” che va a coincidere con lavoratori formalmente liberi ma senza la possibilità di ribellarsi al proprio sfruttamento per mancanza di alternative. Lo stesso concetto è ventilato in “Cotton is king”…

Il secondo sottocapitolo è sulla gioventù russa le cui speranze vengono frustrate dalla rigidezza della burocrazia. Nonostante questo Trotsky è ottimista che la forza e il numero dei giovani avranno la possibilità di cambiare in meglio la società sovietica a meno di eventi drammatici, come una guerra, che ne riduca il numero e ne reindirizzi la volontà. Ricordo che il libro è del 1936: gli esperti di storia forse ricorderanno che pochi anni dopo ci fu effettivamente una guerra, vinta dall’URSS, ma con grandissime perdite umane (si calcolano circa 30 milioni di morti).
Trotsky lamenta poi la scarsa autonomia data ai giovani e che quelli che si distinguono per spirito critico rischiano addirittura di essere fisicamente eliminati. E questo nonostante che tutta l’istruzione che ricevono si basi su “inganno, controllo e manipolazione”. Molto attuale direi: del resto le dittature devono più o meno ricorrere agli stessi mezzi per nascondere e rendere accettabile le ingiustizie e diseguaglianze su cui si basano.
Trotsky è anche amareggiato dal fatto che la maggioranza dei giovani non ragioni con la logica socialista ma cerchi semplicemente di fare carriera, adeguandosi alla società sovietica, aspirando ai lavori più retribuiti. Trotsky parla esplicitamente di “egoismo antisociale”: di nuovo molto attuale.

Ci riflettevo proprio ieri sera: secondo Jung la società moderna è contro l’individualismo ma oggi sappiamo che la società occidentale spinge all’individualismo estremo. Possibile che Jung nel 1921 avesse travisato le tendenze sociali?
In realtà, questa è la mia riflessione di ieri, con “individualismo” Jung ne intende gli aspetti positivi ovvero, essenzialmente, lo sviluppo di TUTTE le sue funzioni/capacità il cui frutto, aggiungo io, è lo spirito critico e la capacità di comprendere meglio tutto ciò che accade.
Al contrario l’individualismo verso cui spinge la società occidentale esalta tutte quelle qualità umane che si possono riassumere col termine “egoismo” e, assolutamente, cerca di eliminare il pensiero indipendente.

Ah, ecco, ho ritrovato il passaggio in cui Trotsky accenna al fatto che solo una guerra potrebbe bloccare, e solo temporaneamente, la voglia di cambiamento dei giovani russi: «Tutto sommato - rischi economici, lanci col paracadute, spedizioni polari, indifferenza dimostrativa, “teppisti romantici”, umore terroristico e atti individuali di terrorismo - stanno preparando un'esplosione della giovane generazione contro l'intollerabile tutela degli anziani. Una guerra potrebbe di sicuro servire come valvola di sfogo per i vapori di rivolta che si stanno accumulando – ma non per molto.» (*1) e poi prosegue spigando che la guerra temprerebbe anche i giovani rendendoli più capaci di scegliere il proprio destino: evidentemente Trotsky non aveva in mente la portata della guerra che effettivamente ci sarebbe stata pochi anni dopo…

Conclusione: dovrei terminare la sintesi di questo sottocapitolo e, soprattutto, del successivo su nazionalità e cultura, ma ho già scritto abbastanza e sono stanco...

Nota (*1): tradotto al volo da “The revolution betrayed and Other Works” di Leon Trotsky, (E.) Graphyco, 2021, trad. Max Eastman, pag. 127.

sabato 25 novembre 2023

Tipi antichi e moderni

Ieri ho scritto un pezzo lunghissimo e oggi voglio compensare scrivendone uno più breve. Beh, in realtà ho poco tempo ma in qualche modo devo pur iniziare i miei pezzi!

L’idea è di riprendere in mano Jung ma di concentrarmi su un qualche singolo concetto che sceglierò dalle mie annotazioni: vediamo…

Uhm… il primo marcatore [B] è sulla differenza fra la strategia terapeutica di Freud e quella di Adler: direi che è troppo complesso e, in verità, troppo specifico per essere interessante per tutti…

Si arriva al capitolo 2, “Le idee di Schiller sul problema dei tipi”, sottocapitolo 1 “Le lettere sull’educazione estetica dell’uomo”, parte A “La funzione superiore e la funzione inferiore”…

Questo non è uno spunto che mi ero annotato ma mi è venuto in mente e lo segnalo comunque: Jung per almeno una pagina e mezzo spiega che riporterà direttamente delle citazioni di Schiller ma che, inevitabilmente, dovrà talvolta fornire del contesto e aggiornare la terminologia usata a quella psicologica in uso.
Ora non lo dice esplicitamente ma mi sembra metta le mani avanti per non essere accusato di trasformare Schiller in uno junghiano!
Mi rivedo molto in questo perché anch’io, quando riassumo il pensiero di un autore che sto leggendo, magari per evidenziare delle analogie più o meno forti con qualcosa che ho già scritto o pensato, ho sempre una sensazione di disagio: temo infatti di fare un torto all’autore piegandone le teorie per farle rientrare nella mia prospettiva.
Mi fa piacere che anche Jung sia consapevole di questa problematica (*1).

Ecco questa parte è interessante.
Già nel primo capitolo Jung spiegava che ogni epoca/società ha una specie di impronta psicologica che la caratterizza.
In questo capitolo Jung confronta le differenze fra l’antica società greca e quella moderna occidentale e, contemporaneamente, le ripercussioni sui singoli individui.
Secondo Jung gli uomini edotti dell’antichità, confrontati uno a uno, sono superiori ai moderni: il motivo è che la loro formazione era più universale mentre nell’uomo moderno vi è la tendenza alla specializzazione (*2).
Questa differenza era possibile grazie alla struttura della società società antica basata sullo schiavismo che col suo sfruttamento permetteva la vita privilegiata di pochi a scapito della maggioranza.
La società moderna ha scelto un approccio opposto (*3) aumentando la qualità di vita di tutti ma portando a una specializzazione delle funzioni dell’individuo.
Simmetricamente la società moderna, basata su una società di individui specializzati, è divenuta superiore a quella antica che poteva contare su un numero inferiore di individui preparati sebbene singolarmente superiori ai corrispettivi moderni.
Jung astrae poi dei concetti generali psicologici che caratterizzano le diverse società ma onestamente ancora non ne sono venuto a capo: mi sembri vi sia una sorta di estroversione/introversione ma non me ne sono chiare le specificità…

Da notare che indirettamente Jung conferma qui che le psicologie antiche non erano equiparabili alle moderne (v. Considerazione la psicologia nel tempo). Infatti mentre nell’uomo moderno vi è una distinzione netta fra funzione principale, secondaria etc. (*4) nell’uomo antico vi era uno sviluppo più armonico di ciascuna di esse ed, evidentemente, la fantasia (nel senso di Jung) era più forte. In altre parole i 16 tipi non esistevano o, comunque, si sarebbero potuti ridurre di numero (4? Per esempio IT, IF, ET, EF?)

Conclusione: e ora devo scappare!

Nota (*1): proprio questa frase ne è un esempio: ho letto il pensiero di Jung e l’ho sintetizzato riportandolo alla mia prospettiva: mi sono cioè concentrato più sulle somiglianze che sulle differenze.
Nota (*2): impossibile non pensare allo stesso Jung e alla sua evidente formazione poliedrica che, per esempio, in questo libro di psicologia gli permette di scrivere approfonditamente di temi religiosi e filosofici. Mi pare quindi interessante che esalti, sebbene indirettamente, questa “conoscenza diffusa”.
Nota (*3): questo è il pensiero di Jung: a me pare che sia stia tornando proprio a una società di pochi privilegiati con miliardi di sfruttati (più o meno consapevoli di esserlo), quella che io chiamo la “piramide iperbolica”, [E] 15.2.
Nota (*4): in realtà Jung non specifica cosa intenda di preciso con “funzioni”: io ho la sensazione che sia volutamente vago e che vi sovrapponga più concetti: per esempio anche i ruoli all’interno della società oppure le specifiche conoscenze...

venerdì 24 novembre 2023

Cinque logiche o il buon dittatore

Come spiegato nella premessa di Telefonare no? uscire di casa per una passeggiata con un problema logico/matematico da risolvere sta diventando una piacevole abitudine. Spesso sfortunatamente i problemini si rivelano banali: io mi sforzo di non pensarci fino a quando non sono in strada ma a volte già quando sono per le scale (terzo piano) mi ritrovo a risolverli. Una sensazione molto sgradevole: un po’ come cercare di raggiungere il bagno senza fare in tempo…
Uhm… beh, ripensandoci farsela addosso deve essere più sgradevole, però ci sono delle analogie!

Comunque sta emergendo la mia principale debolezza: non fidarmi della logica/correttezza dell’autore del gioco. Intendo dire che mi vengono dubbi sul fatto che il gioco abbia una soluzione logica che segue le regole indicate ma piuttosto che si debba distorcere qualche parola, che ci sia cioè un trucco, che semplifichi il problema. E in effetti proprio a questo fenomeno ho accennato in Oops! mi sono accorto di essermi dimenticato di pubblicare un pezzo! In pratica raccontavo della mia esperienza con un vecchio gioco gratuito di rompicapo per calcolatore e di come mi ero arreso al terzo livello facile (!) perché mi ero convinto (per ragioni che non spiego qui) che si basasse su un trucco che ne violava le regole...
Il fatto è che questo dubbio sull’onestà del gioco mi toglie concentrazione e fiducia nella possibilità di trovare una soluzione logica. Non mi basta che il video del problema sia pubblicato da un canale dedicato a giochi logici: mi fiderei solo del parere di una mia versione parallela che si sdoppia pochi minuti prima e che, dopo aver visto la soluzione del gioco, mi conferma che essa sia logica come piace a me: solo così riuscirei a impegnarmi al massimo. Prevedibilmente non mi capita quasi mai di essere in questa situazione...

Sia ieri che il giorno prima ho perso più tempo del necessario per colpa di questi dubbi. Del gioco di qualche giorno fa (molto simpatico) non entrerò nei dettagli ma qui avevo trovato una soluzione che distorceva un po’ i vincoli del gioco e non riuscivo più a pensare ad altro nel dubbio di averlo già risolto. In effetti quello che mi “salva” è che essendo per strada non ho altro a cui pensare e quindi continuo comunque a ragionarci. Nello specifico proprio raffinando la mia soluzione col “trucco” sono arrivato poi a quella corretta (e tutto sommato rapidamente, credo 15-20 minuti).

Il problema di ieri invece è stato molto più difficile soprattutto perché mi ero messo a cercare un “trucco” che (fortunatamente: altrimenti non mi avrebbe divertito) non esisteva. Ma prima di anticipare le mie difficoltà è meglio enunciarlo.

IL PROBLEMA
Un dittatore tiene 100 persone perfettamente logiche (lui stesso le ha addestrate “dalla nascita” alla logica, viene sottolineato) prigioniere su un isola da cui non possono evadere. L’unica possibilità che hanno di andarsene è quella di presentarsi di notte dalla guardia di turno e chiedergli di uscire: la guardia controllerà il colore degli occhi del prigioniero e se questi sono verdi lo lascerà uscire altrimenti lo ucciderà.
I prigionieri non possono parlare fra loro o scambiarsi informazioni di sorta né ci sono specchi o altre superfici riflettenti: in pratica ogni prigioniero conosce il colore degli occhi di tutti i suoi compagni ma non il proprio. Ah! E TUTTI i prigionieri hanno gli occhi verdi.
Un giorno, a causa della pressione internazionale, il dittatore è costretto ad accogliere un delegato dell’ONU a cui concede di dare un’unica informazione ai prigionieri purché non aggiunga niente a quanto già sappiano. Il delegato ONU quindi da un palco, rivolgendosi a tutti e 100 i prigionieri, dice: “Almeno uno di voi ha gli occhi verdi”. Dopo di che il delegato se ne va.
La prima notte (i prigionieri possono chiedere alla guardia di andarsene solo la notte e, la mattina successiva, si ritrovano tutti insieme per l’appello) non succede niente, la seconda neppure e così via. La centesima notte però vanno tutti via.
Quale ragionamento perfettamente logico hanno seguito?

SCIUPATRAMA
Il gioco sembra paradossale dato che l’informazione fornita dal delegato ONU non sembra aggiungere niente a quanto i prigionieri già sanno.
Per questo motivo mi ero subito e fortemente convinto che il gioco avesse un odiato “trucco”.
Per dare senso all’affermazione del delegato ho così iniziato a ipotizzare che i prigionieri non sapessero il significato della parola “verde”. Per gran parte dell’andata (sicuramente più di un’ora!) ho iniziato a immaginarmi il delegato che diceva “almeno uno di voi ha gli occhi dirik” con i prigionieri che sapevano che solo chi aveva gli occhi color dirik poteva essere lasciato passare dalla guardia.
Il fatto che il problema avesse sottolineato che i prigionieri fossero nati sull’isola (in realtà un’informazione irrilevante e quindi fuorviante) rendeva vagamente plausibile questa ipotesi…
Inutile dire che questa linea di pensiero non mi aveva portato a niente.

Ora, non ricordo se prima o dopo essermi fermato a prendere un panino a uno “street food” cinese, ho fatto il primo passo verso la soluzione. Probabilmente dopo altrimenti non mi sarei fermato preferendo non distrarmi per continuare a ragionarci.
Ho fatto ciò che avrei dovuto fare dall’inizio: semplificare il problema riducendo il numero dei prigionieri. E probabilmente l’avrei fatto molto prima se non fossi stato sicuro del “trucco”…

1. Se ci fosse stato un unico prigioniero, grazie all’affermazione del delegato “Almeno uno di voi ha gli occhi verdi”, questi già la prima notte se ne sarebbe andato sicuro di essere lui ad avere gli occhi verdi.

2. Supponiamo vi siano due prigionieri A e B. Conviene pensare al caso in cui A ha gli occhi marroni e B gli occhi verdi mettendoci nei panni di B che evidenzierò con delle parentesi, cioè:
- Am
- (Bx)
→ siccome B vede che il suo compagno ha gli occhi marroni se ne va la prima notte.

Mettiamoci ora nei panni di A:
- (Ax)
- Bv
→ il mattino del primo giorno A scopre che B se ne è andato: questo significa che B era sicuro di avere gli occhi verdi e questo significa che A ha gli occhi marroni (e quindi non potrà lasciare l’isola)

Ma cosa succede se anche A ha gli occhi verdi:
- (Ax)
- Bv
→ il mattino del primo giorno A scopre che B è ancora presente: questo significa che B non era sicuro di essere l’unico ad avere gli occhi verdi, questo significa che A ha gli occhi verdi a sua volta. La seconda notte quindi se ne vanno entrambi perché B ha fatto lo stesso esatto ragionamento di A.

3. Supponiamo vi siano tre prigionieri A, B e C:
- Am
- Bm
- (Cx)
→ in questo caso C è sicuro di avere gli occhi verdi e se ne va la prima notte. La mattina successiva, constatando che C se ne è andato, A e B capiscono di avere gli occhi marroni.

Altro caso:
- Am
- Bv
- (Cx)
→ in questo caso C non è sicuro di avere gli occhi verdi (perché vede che anche B li ha verdi) e quindi non esce la prima notte. Al secondo mattino però, constatando che B è ancora presente e sapendo che A ha gli occhi marroni, capisce di aver gli occhi verdi e quindi se ne va la seconda notte insieme a B che ha fatto lo stesso esatto ragionamento.

Ma mettiamoci nei panni di A:
- (Ax)
- Bv
- Cv
→ Quando A il terzo mattino scopre che B e C se ne sono andati capisce di avere gli occhi marroni altrimenti non se ne sarebbero andati (vedi sopra). Questo però significa anche che se avesse trovato all'appello B e C allora avrebbe capito di avere gli occhi verdi e, con ragionamento identico, A, B e C se ne sarebbero andati la terza notte.

4. Il caso con 4 prigionieri è analogo al precedente: si parte supponendo che una sola persona abbia gli occhi verdi (che uscirà la prima notte); se sono due usciranno la seconda notte, tre la terza e così via…
In generale i prigionieri decidono di uscire tutti insieme l’ennesima notte dove n è il numero di compagni che vedono con gli occhi verdi + 1. Ovviamente chi ha gli occhi marroni vede una persona con gli occhi verdi in più rispetto a chi ha gli occhi verdi (e non vede i propri) così tutti coloro che hanno gli occhi marroni vedranno uscire chi ha gli occhi verdi il giorno prima di quanto avevano previsto/sperato capendo così di avere gli occhi marroni.
I cento prigionieri con gli occhi verdi vedono ciascuno 99 prigionieri con gli occhi verdi e, quindi, escono insieme la centesima notte (99 +1).
E questa è la prima logica.

A questo punto, proprio mentre stavo almanaccando sul caso dei 4 prigionieri, sono arrivato a casa.
Mi era già chiara la generalizzazione qui sopra ma non tutti i passaggi mi erano limpidi.
Così mi sono messo alla scrivania e ho buttato giù i miei appunti mentali sul quadernino cercando di esplicitare cosa non mi tornasse: i problemi erano due.
Il primo problema è che l’informazione del delegato ONU aggiunge informazione utile solo quando i prigionieri sono due: se sono tre e hanno tutti gli occhi verdi allora tutti sanno che almeno uno di loro ha gli occhi verdi!
Il secondo problema è che il nostro ragionamento induttivo parte considerando cosa succederebbe se un certo numero di prigionieri avesse gli occhi marroni: ma nella realtà ognuno sa che i propri compagni hanno gli occhi verdi quindi ha senso e trarre conclusioni dall’ipotesi di cosa accadrebbe se avessero gli occhi marroni?
Su questi due aspetti ho ragionato a lungo (un’ora?) senza riuscire a giungere a una conclusione definitiva.
Alla fine mi sono convinto che il delegato avrebbe potuto dire qualcosa del tipo “Ragionate e poi uscite” e, sapendo già che 99 di loro hanno gli occhi verdi, sarebbero potuti uscire tutti la seconda notte…
Secondo logica.

Ma allora che bisogno c’era del delegato ONU? Che almeno 99 prigionieri avevano gli occhi verdi lo hanno sempre saputo: in pratica avrebbero dovuto già essere andati tutti via una volta raggiunta la logica perfetta chissà quanti anni prima che la pressione internazionale forzasse il dittatore ad accettare la missione del delegato ONU…
Terza logica.

Già il dittatore…
Ma se egli ha insegnato la logica perfetta ai 100 bambini/prigionieri è ovvio che anche lui avesse la logica perfetta: da un punto di vista morale discriminare per il colore degli occhi non avrebbe avuto senso. Ogni prigioniero avrebbe dovuto capire che se tutti i suoi compagni avevano gli occhi verdi allora anch’egli li aveva verdi; vice versa se tutti i suoi compagni avessero avuto occhi marroni allora anch’egli li avrebbe avuti di tale colore: discriminare per il colore degli occhi sarebbe stato infatti assurdo.
Quarta logica.

Ma se il dittatore aveva la logica perfetta non avrebbe dovuto immediatamente arrivare alla conclusione che l’informazione data dal delegato ONU avrebbe portato alla liberazione dei suoi prigionieri?
Ovviamente sì: e visto che lo ha accettato volontariamente significa che il dittatore voleva bene ai prigionieri che aveva allevato fin dalla nascita. La verità ultima di questo rompicapo è che il dittatore era buono.
E questa era la quinta logica.

Comunque, diversamente dal solito, ho finito di vedere il video per cercare di gettare luce sui miei dubbi.
Sfortunatamente il video (che è questo: Siete capaci di risolvere il difficilissimo problema logico degli occhi verdi - Alex Gendler) si ferma alla spiegazione della prima logica che ho indicato. Però dà almeno un indizio relativo ai miei dubbi accennando che la chiave del problema è “l’informazione comune”, termine coniato dal filosofo David Lewis: la vera informazione non era costituita dalla semplice affermazione del delegato ONU ma dal fatto che tutti la ricevessero contemporaneamente e che quindi, contemporaneamente, tutti i prigionieri iniziassero a riflettere sul problema logico di quando e se abbandonare l’isola.

Questo significa che mentre la mia seconda logica è corretta (il delegato ONU passa comunque l’informazione comune di iniziare a riflettere sulla fuga) la terza non lo è: questo perché in effetti non sarebbe chiaro quando tutti i prigionieri avessero acquisito la logica perfetta; manca cioè l’informazione comune “siete pronti, iniziate a ragionarci”…
Sulle logiche quattro e cinque non viene aggiunto niente ma l’ipotesi che anche il dittatore sia super logico mi pare corretta e, se lo è, lo sono anche le relative conseguenze!
L’idea del dittatore buono che alleva 100 bambini per renderli super logici e poi liberarli per il mondo una volta superato l’esame finale risveglia troppo la sensibilità del mio animo: anzi sono sicuro che varcato il confine dell’isola prigione il dittatore stava aspettando i “suoi ragazzi” per una commovente festa d’addio in cui avrà consegnato a ciascuno di loro un milione di dollari per sistemarsi e un fucile semiautomatico perché… beh, mi pare un regalo da dittatore…

Conclusione: pezzo più lungo del solito ma, al di là degli scherzi, il concetto dell’informazione comune mi pare molto interessante. Vedrò di investigare un po’ su questo David Lewis...

mercoledì 22 novembre 2023

Panoramica sul "femminicidio"

Non seguo i media italiani ma ogni tanto, inevitabilmente, qualche notizia mi raggiunge. Per esempio ieri sera ho visto la partita Italia-Ucraina e sono così venuto a sapere dell’ultimo femminicidio (termine che non amo particolarmente: vedi poi fra i collegamenti ai miei vecchi pezzi).

Perdonate la mia mancanza di sensibilità ma non mi è chiaro cosa questo abbia di speciale rispetto agli altri: tenete presente che non avendo visto la televisione mi sono perso appelli dei parenti, genitori straziati, interviste agli zii, foto e commenti dalle reti sociali, amiche in lacrime e tutto ciò che di solito accompagna questo tipo di servizi di cronaca dei telegiornali.

In realtà me ne ero già completamente scordato quando nella colonna dei “Ghiribizzi che mi piacciono” ho notato un articolo dal titolo MASCHI ASSASSINI, così tutto in maiuscolo, da POSTODIBLOGGO. In realtà questo ghiribizzo non lo leggo quasi mai e quindi non saprei dire che genere di pezzi vi si trovino usualmente (*1).
Comunque il pezzo in questione non mi è piaciuto: troppo emotivo e poi dare colpe collettive (a tutti i maschi) non mi sta bene: per me ognuno è responsabile delle proprie azioni. Ecco, analizzando le mie sensazioni, mi ha dato l’idea di voler “farsi bello” mostrando la propria indignazione (in inglese lo chiamano “virtue signaling”) ma di concreto non propone niente.
Però mi sono incuriosito e ho cercato fra gli altri ghiribizzi nella mia lista se altri bloggatori avevano commentato questo fatto di cronaca.
Cosi ho trovato e letto Questo non è amore da Il blog della Curiosona. Questo ghiribizzo lo seguo abbastanza dato che i suoi articoli sono brevi, curiosi e piacevoli: contemporaneamente non lo leggo sempre perché raramente esprime le proprie idee direttamente (*2) e questo, per qualche motivo che non so spiegare (forse una sensazione di incompletezza), mi irrita.
In questo caso non si smentisce e prima dà un po’ di informazioni fattuali (che mi sono state utili per capire meglio cosa fosse successo) e poi propone delle poesie sul tema che ha trovato qua e là.
Poesie anche carine che però, più che proporre soluzioni, esprimono emozioni. Dal mio punto di vista (lo so: freddo e arido) poco costruttive.
Infine ho letto Tra giustizia e vendetta da Il blog di Andrea. Questo è un altro ghiribizzo che seguo abbastanza: su questioni importanti pensa il mio esatto contrario ma mi piace seguirlo perché mi dà l’idea del pensiero tipico di una fascia importante di popolazione su questioni specifiche (lo stesso vale per “Il blog della Curiosona”).
Comunque in questo caso si sofferma su un dettaglio della vicenda, il desiderio di vendetta di alcuni, e argomenta che la vendetta non è giustizia. Un aspetto forse non centrale ma almeno ha scritto qualcosa di costruttivo e utile.

A questo punto non potrei esimermi dal dire la mia sulla vicenda: ma come ho spiegato non so niente dei dettagli di questa storia. Ma comunque cambia poco: anche se ne avessi seguito l’evolversi, per la mia psicologia ne avrei comunque tratto delle generalizzazioni.
Io credo che all’origine di questo tipo di tragedie vi siano i seguenti fattori in ordine (più o meno) di importanza:
1. La psicologia di lui (e in misura minore quella di lei).
2a. La situazione sociale, anzi il disagio sociale.
2b. La situazione famigliare.
3. La cultura del tempo.

1. Sul fattore principale, la psicologia di lui, c’è poco da fare: immagino un temperamento emotivo, portato alla rabbia e alla violenza, che perde il controllo delle proprie azioni. Questo fattore potrebbe essere forse in alcuni casi migliorato dall’educazione famigliare nei primi anni di vita ma non so quanto si possa cambiare l’essenza di una persona. Per chiarezza con carattere intendo quel nocciolo genetico che non può essere cambiato più di tanto da educazione e ambiente.
Il carattere di lei entra nell’equazione nel non essere in grado di rendersi conto dell’imminenza del pericolo: magari crede di poterlo aiutare a risolvere i suoi problemi (ho sentito dire che alcune donne sono attratte dalle personalità problematiche). Attenzione però: il carattere di lei è l'ennesima coincidenza che porta all'esito esiziale della vicenda ma NON è una colpa (vedi anche il PS finale a questo pezzo) come del resto, volendo essere precisi, non lo è neppure quello di lui (egli ha colpa del proprio comportamento non della propria natura) essendo solo uno dei vari fattori.
2a. Questo secondo punto è di importanza simile al terzo. Io credo che, data pure la psicologia individuale, se una persona è felice e realizzata, nonostante il trauma emotivo di una rottura sentimentale, si attaccherebbe agli aspetti positivi della propria vita e, magari impiegando un po’ più tempo della media, supererebbe la crisi. Se invece abbiamo una persona insoddisfatta allora la rottura sentimentale può divenire la famigerata goccia che fa traboccare il vaso.
A questa voce inserirei anche l’istruzione scolastica: qui il problema di fondo è che ci sarebbe bisogno di una scuola capace di formare gli studenti, di trasformarli in adulti consapevoli e maturi; al contrario adesso predominano gli aspetti nozionistici e tecnici: studenti capaci di fare/sapere cose ma senza capirle.
2b. La famiglia (e volendo anche gli amici intimi), come prima cerchia sociale potrebbe accorgersi che qualcosa non va. In teoria potrebbe parlargli, mettere tutto in una prospettiva razionale e positiva, e aiutarlo a superare i problemi. Ma nella pratica mi rendo conto che questo non sempre è possibile: l’individuo in questione avrà un carattere particolarmente chiuso e non sarà facile accorgersi immediatamente che qualcosa di importante non va come dovrebbe. E poi a volte i problemi sono sociali e la famiglia non può fare più di tanto: altrimenti non avremmo tanti giovani disoccupati se bastasse la famiglia a trovare un buon lavoro.
3. La cultura è il fattore di gran lunga meno rilevante: lo segnalo soprattutto perché da più parti l’ho sentita tirare in ballo…
Il fatto è che nessuna cultura insegna agli innamorati che è bene uccidere le ex fidanzate se sono loro a lasciarli. Ho sentito parlare di cultura “patriarcale”: che alcuni valori giustificherebbero, almeno parzialmente, tali omicidi.
Sono scettico: le culture patriarcali, come tutte le culture, non tollerano questo tipo di crimine: sicuramente il colpevole sarebbe giudicato più brutalmente da una società veramente patriarcale: che poi la cultura italiana non è più patriarcale e ne mantiene forse solo qualche eco. Per esempio il desiderio di giustizia occhio per occhio menzionato nel pezzo Tra giustizia e vendetta mi sembra un retaggio di cultura patriarcale…
La cultura dovrebbe, in teoria, esaltare il rispetto e la tolleranza verso chi la pensa diversamente da noi ma la tendenza è ben diversa. L’attuale civiltà moderna da una parte, su certe precise tematiche, esalta l’individualismo più sfrenato, di cui secondo me il “wokismo” ne è un eccesso, per dare un’illusione di libertà; ma da un’altra non tollera il pensiero critico, soprattutto se contrario alla narrativa dominante stabilita dal potere secondo i propri interessi, che dell’individualismo dovrebbe rappresentare il lato migliore. Come è stato trattato nella nostra cultura occidentale chi, per esempio, era critico o scettico verso i vaccini mRNA? Con tolleranza e rispetto? Cercando di instaurare un dialogo costruttivo? Non mi pare: si è negato un dialogo aperto e sereno e invece si sono sguinzagliati i burioni (*4) di turno col compito di ridicolizzare, colpevolizzare e disprezzare chi aveva dubbi legittimi. Ho citato l’esempio datoci dalla pandemia ma la tendenza come ho detto è generale: rivediamo lo stesso comportamento, per esempio, verso chi ha opinioni non allineate al pensiero maggioritario sulla guerra fra Ucraina e Russia oppure su questioni specifiche come l’immigrazione, l’euro o l’Unione Europea, altre vacche sacre la cui bontà non può essere messa in dubbio.

Solo una volta individuate le cause si può pensare a cosa fare per risolvere o almeno ridurre il problema.
Sulla psicologia individuale si può fare poco: mi viene solo in mente che la consapevolezza dei propri limiti psicologici potrebbe essere utile a preparare mentalmente certi individui a gestire meglio le proprie emozioni senza farsi travolgere da esse nei momenti critici.
Che la società dovrebbe essere migliore è ovvio quanto vago: indicativamente intendo che la società dovrebbe mirare a rendere i propri membri felici e soddisfatti di sé mentre in genere, terminata la scuola, abbandona i giovani nell’arena del mercato libero a combattere fra loro e con adulti molto meglio armati (e pieni di cicatrici). Di quali dovrebbero essere gli obiettivi di una società migliore ho scritto in [E] 18.1, “Obiettivi e doveri”.
La scuola, durante la formazione degli studenti, potrebbe fare qualcosa: in primo luogo, come detto, insegnando delle basi di psicologia (per esempio su come gestire i conflitti) e, in senso più ampio, promuovendo i valori del rispetto reciproco: quest’ultimo però farebbe parte della formazione della persona e non del nozionismo oggi dominante (*4).
Analogamente la famiglia potrebbe fare qualcosa durante gli anni di formazione dei propri figli: qui il problema di fondo è che per diventare genitori non occorrono ne lauree né diplomi. La conseguenza è che ogni famiglia procede all’educazione dei propri figli facendo (in genere) del proprio meglio ma improvvisando, chi più chi meno, sul momento. Giustamente molti hanno notato nella psicologia degli aggressori una forte componente di egoismo: ma quanti sono i genitori capaci di notarla e quindi combatterla nel proprio bambino invece di sorridere benignamente ("ha carattere") quando l'osservano? Incidentalmente faccio notare che l’egoismo infantile è ostacolato automaticamente da eventuali fratelli: da questo punto di vista i figli unici sono maggiormente a rischio.

Nella mia panoramica è rimasta fuori la questione delle pene più severe: il fatto è che io non le ritengo particolarmente importanti, almeno non per la dissuasione dall’omicidio.
L’assassino non ragiona razionalmente: sa che la legge lo punirà e che lui, come primo sospetto, non potrà evitare la punizione. Ma a questo punto non credo che sapere di passare qualche anno in più in carcere gli cambi niente.

Per completezza fornisco altri pezzi in cui avevo scritto di questo tema: Femminicidio e No-TAV (del 2013). I miei dubbi sulla specificità del femminicidio mi sembrano ancora rilevanti mentre la parte sui No-TAV è superata.
Sull’inutilità di nuove leggi più severe: Stalking (del 2010). Buon pezzo: in particolare sottolineo come, proprio contro le persone più pericolose, alcune leggi siano inutili. Sintetizzo bene questo concetto in Come funziona “bene” (del 2013) dove scrivo: “[…] nei casi più gravi la legge anti-persecuzione è inefficace: le persone malate di mente non si fermano con una carta bollata ma solo curandole.”.

Conclusione: questo non sarà il mio migliore pezzo, del resto ho riflettuto poco sulla materia, ma almeno ho tentato di fare una panoramica sulle cause del fenomeno e di suggerire possibili interventi. Se vogliamo che la morte dell’ennesima vittima possa servire a qualcosa dobbiamo fare ragionamenti di questo tipo (preferibilmente migliori del mio, più approfonditi e non improvvisati) invece di limitarsi a esibirsi a stracciarsi le vesti, cospargersi la faccia di cenere e ululare genericamente contro i “maschi”...

Nota (*1): probabilmente vi lessi un giorno un articolo che mi era piaciuto e tanto bastò a inserirlo nella mia lista…
Nota (*2): in genere scrive qualcosa del tipo: “La penso come XXX che ha scritto YYY”…
Nota (*3): con il termine “burioni”, scritto volutamente minuscolo, intendo per antonomasia col “grande” scienziato tutte quelle figure che dovrebbero rappresentare l’autorità della scienza ma che invece sono usate dai media per propalare specifici messaggi decisi dal potere di turno.
Nota (*4): qui vi è il problema di fondo che il potere oggi non vuole una buona scuola che formi adulti coscienti e maturi: questi infatti sarebbero in grado di pensare con la propria testa e di criticare, e quindi opporsi, al potere. Piuttosto vuole dei lavoratori e consumatori senza grandi ideali che si accontentino di poco e non causino problemi. È difficile quindi che la scuola riesca a formare i giovani sul rispetto senza dargli una formazione più completa: mi immagino quindi che, se qualche iniziativa verrà presa sull’insegnamento scolastico, si tratterà di informazioni tanto nozionistiche quanto inutili.

PS: nel frattempo (avevo iniziato a scrivere questo pezzo ieri sera) un altro bloggatore che seguo ha scritto un pezzo sul recente fatto di cronaca: A proposito di Giulia su Correndo sull’orlo del boccale.
Ancora non l’ho letto per paura di dover cambiare qualcosa nel mio pezzo (sono pigro) ma sono sicuro, conoscendo l’autore, che avrà scritto qualcosa di costruttivo e intelligente.

Modifica 23/11/2023:
Finalmente mi sono deciso a leggere A proposito di Giulia su Correndo sull’orlo del boccale.
Come avevo previsto “sulla fiducia” è molto interessante: pone l’accento sull’accusa alla famigerata “cultura patriarcale” (che io ho appena sfiorato) e nel distinguere fra le responsabilità dei singoli da quelle degli uomini in generale (che io ho dato per scontato).
Però non avrei polemizzato con le dichiarazioni della sorella di Giulia: al di là di cosa ci sia di giusto o sbagliato in esse adesso lei è ovviamente sopraffatta dal dolore e non può essere lucida: cerca giustificazioni e colpevoli, credo cerchi di dare un senso meno banale alla morte della sorella, è umano.
Altro punto che mi ha lasciato interdetto è il commento sul comportamento di Giulia (di cui io non sapevo niente) che, mi sembra, venga quasi considerata in parte colpevole della drammatica conclusione della vicenda per non avere “troncato più nettamente” la relazione.
Concordo sul fatto che tale comportamento possa aver portato alla morte di lei ma in ciò non vi vedo alcuna colpa morale: lei ha voluto semplicemente comportarsi in maniera gentile con lui, probabilmente le sembrava ragionevole rimanere in termini di amicizia per ciò che di buono e bello avevano condiviso insieme. Queste sono scelte personali che non si possono assolutamente giudicare dall’esterno e solo col senno di poi si possono dichiarare errate: sul momento il suo comportamento mi pare moralmente ineccepibile, ha fatto ciò che riteneva giusto, magari sopportando una compagnia che non poteva esserle gradevole, per affetto senza preoccuparsi delle conseguenze.

martedì 21 novembre 2023

Economia del cotone

Non so se ho abbastanza materiale per scriverci un pezzo ma ci provo e vediamo cosa ne viene fuori.

La mia lettura di “Cotton is king” procede lentamente ma anche uniformemente.
Per adesso non vi ho trovato rivelazioni straordinarie (o epigrafi utili) ma nell’ultimo capitolo sta emergendo un qualcosa forse non chiaro neppure all’autore del testo. Ovviamente io ho il vantaggio di valutare con un senno di poi di quasi due secoli…

Nel capitolo in questione viene ripreso il punto di vista dell’Economist, e quindi dei poteri economici della Gran Bretagna, sul commercio del cotone. Questo a sua volta fa emergere le motivazioni di possibili complotti fra stati.

Ma prima cerchiamo di fare il punto della situazione. Siamo nel XIX secolo e il Regno Unito è in piena rivoluzione industriale. L’industria trainante è probabilmente quella tessile e i tessuti di cotone sono il prodotto principale che viene poi venduto in tutto il mondo (*1).
In UK vi sono le industrie ma manca la materia prima: il cotone infatti non può essere coltivato in tutto il mondo ma necessita di un clima tropicale.
Lo si può produrre negli stati degli USA del sud, nelle indie occidentali, nelle zone tropicali dell’Africa, in Egitto, in Brasile e soprattutto in India.
Oltre al vincolo del terreno/clima adatto vi è quello della manodopera necessaria a coltivarlo: un lavoratore può produrre solo una certa quantità di cotone: per averne di più è necessaria più manodopera.

Ovviamente gli industriali inglesi vogliono acquistarlo al minor prezzo possibile. Per i motivi sopraddetti l’India sarebbe il produttore ideale avendo sia terre adatte che manodopera in abbondanza: il problema è il trasporto. All’epoca (1860) il canale di Suez (1859-1869) ancora non è stato neppure iniziato (gli articoli sono dei primi anni '50) e i prodotti provenienti dall’India (e dall’oriente in genere) devono circumnavigare l’Africa. In pratica la produzione indiana diviene conveniente e si espande senza problemi (c’è manodopera e terreno) quando negli USA il raccolto è cattivo e, di conseguenza, il prezzo del cotone grezzo sale. La produzione africana, potenzialmente promettente, è invece piccola (*2).

La produzione statunitense è competitiva grazie allo schiavismo il cui costo corrisponde in pratica a quello del cibo necessario per gli schiavi e che proviene dagli stati dell’ovest e del nord.
La produzione statunitense è quindi legata al numero degli schiavi: proprio per questo alcuni si auspicano la ripresa della tratta degli schiavi (abolita dal 1808).
Gli inglesi, mi pare di intuire, non vorrebbero comprare il cotone statunitense perché, suppongo, si rendono conto che gli USA diventeranno loro avversari almeno economicamente (l’ultima guerra fra USA e UK fu del 1812). Al contrario il Regno Unito avrebbe tutto l’interesse a comprare il cotone dalla propria colonia indiana.

Questo è più o meno lo scenario dell’economia del cotone a cui si aggiungono le riflessioni dell’Economist.
La rivista spiega più o meno esplicitamente che il cotone indiano diverrebbe conveniente se non vi fosse la schiavitù negli USA e, al contrario, non lo sarebbe se, per esempio, riprendesse la tratta degli schiavi. La maniera migliore per evitarlo, continua l’Economist, sarebbe attraverso la promozione della coltivazione del cotone direttamente in Africa. Si spiega che se i capi locali si rendono conto che gli schiavi rendono di più a coltivare il cotone che a essere venduti allora non avrebbero ragione di cederli ai trafficanti.
In altre parole gli inglesi non erano contrari alla schiavitù americana per ragioni morali ma solo perché permetteva agli USA di avere quasi il monopolio sulla produzione del cotone: la dimostrazione è che lo schiavismo in Africa non era considerato un problema. Con ipocrisia molto moderna si parlava di “rispetto per le leggi e tradizioni locali”.

Mi viene quindi da pensare che il Regno Unito, al di là di quelle morali, avesse delle motivazioni economiche molto forti per opporsi allo schiavismo (almeno in alcuni stati).

Sarebbe interessante sapere se e quale ruolo abbiano avuto questi interessi inglesi nell’abolizione della schiavitù negli USA e in Sud America.

Conclusione: ovviamente il mio è solo un sospetto ma le motivazioni economiche sono un movente molto forte. Io credo che gli inglesi (cioè i potenti) abbiano fatto di tutto per convincere gli stati del nord (cioè i potenti) dell’utilità di una guerra col sud. Ancora nel 1860 l’autore del libro non crede all’ipotesi di una guerra con il nord che, dal suo punto di vista, non sarebbe economicamente utile a nessuno.

Nota (*1): per esempio la moneta “ghinea” inglese viene da Guinea perché coniata con l’oro ottenuto da tale nazione in cambio di tessuti di cotone (di bassa qualità).
Nota (*2): (secondo me) in Africa il limite non era né di terra né di manodopera ma di mancanza infrastrutture che permettessero di scalare efficacemente la produzione.

domenica 19 novembre 2023

Un ragazzo difficile

Un paio di anni fa mi capitò di vedere su YouTube un’intervista a (mi pare) Carlsen, l’allora campione del mondo di scacchi.

L’intervistatore era un ragazzo vestito in maniera impeccabile con giacca e cravatta. Lo studio estremamente curato e professionale.
Però mi colpirono i suoi occhi spenti e la voce lente, che strascicava le parole come se facesse fatica a pronunciarle. In effetti usava termini precisi e appropriati ma le frasi sembravano nascere con la lentezza esasperante di chi si sforza di usare termini precisi senza però che gli venga naturale.

In breve catalogai il ragazzo come leggermente ritardato ma con grande forza di volontà nel tentativo di battere il proprio “handicap”: mi immaginai tutta un’organizzazione dietro di lui che gli organizzasse ospiti e domande. Per esempio ipotizzai che a Carlsen fosse stato detto “Guarda c’è questo ragazzo che ha grosse difficoltà ma lo aiutiamo a tenere un programma dove intervista persone famose e, grazie a esso, si sente accettato nella società: se tu te la sentissi di parteciparvi faresti un’opera molto buona...”

Qualche mese fa ho però scoperto che questo “ragazzo”, che a me era parso problematico, è invece piuttosto famoso. Non solo: è un laureato del MIT specializzato in intelligenza artificiale ma che non disdegna neppure la filosofia e altri aspetti della scienza.
Insomma non dovrebbe essere il ragazzo un po’ tonto che avevo immaginato io!

Ah! il canale che porta il suo nome è questo: Lex Fridman.
Ho chiesto informazioni a chatGPT su eventuali disturbi della parola ma non mi ha saputo dire niente al riguardo…

L’inevitabile controllo sulla banca dati (inaffidabile) che controllo sempre lo dà come INFJ… uhm… bo…

Comunque trovo buffo aver sbagliato così completamente una mia valutazione: di solito nel valutare gli uomini (*1), e specialmente la loro intelligenza, mi ritengo molto bravo.

Per riprova oggi ho voluto provare ad ascoltare un’altra intervista ma ho scelto male: ho provato ad ascoltare quella a un tale Jared Kushner senza sapere chi fosse. In realtà è un alto diplomatico statunitense che ha lavorato nella presidenza Trump. Poi l’intervista era stata fatta il 6 ottobre e quindi vi è aggiunta una seconda parte il 9 ottobre infarcita di senno di poi. E Fridman nei 35 minuti che ho seguito praticamente non apre bocca lasciando parlare senza mai interromperlo il proprio ospite.
Insomma non ho potuto raffinare la mia valutazione del personaggio…

Conclusione: magari cercherò un video dove Fridman parli di se stesso per farmene un’idea più precisa...

Nota (*1): invece sono consapevole che le mie valutazioni delle donne sono totalmente inaffidabili e io per primo non mi fido del mio giudizio!

sabato 18 novembre 2023

Il vero uomo

Il vero uomo: “Non amo me stesso: non sono omosessuale.”

Indovinato! - 24/11/2023
Ho dato un’occhiata su chatGPT alle opere del filosofo David Lewis (v. Cinque logiche o il buon dittatore) che mi ha segnalato (con relative brevi spiegazioni) i seguenti campi di studio:
- Modalità e Mondo Possibile
- Teoria delle Descrizioni
- Contrafattuali Controfattuali
- Contibuti alla Filosofia della Mente

Il paragrafo “controversie” diceva che non tutti sono d’accordo con i suoi risultati: probabilmente non li capivano!

Affascinante: e così ho pensato “questo deve essere un INTP!”
Sono così andato a controllare sul sito (inaffidabile) sui diversi tipi e MBTI: David Kellog Lewis
La nota biografica dice: “Known for defending his radical metaphysical modal realism, in addition to a humean supervenience about space-time points, a counterfactual position on causation, functionalism about the mental, among much more.”

Che tipo potrà mai essere?

Berusky - 20/11/2023
[Questo è il pezzo/corto a cui accenno in Cinque logiche o il buon dittatore ma che mi ero dimenticato di pubblicare! Ho lasciato volutamente la data originaria.]

Ho ritrovato un vecchio gioco (gratuito) di logica a cui giocavo una quindicina di anni fa: Berusky (degli stessi autori esiste anche un Berusky 2 tridimensionale e sempre gratuito).

Ci avevo giocato molto (non avevo altri giochi all’epoca!) e comunque mi divertivo: non ne ho la certezza ma sono abbastanza sicuro di essere arrivato almeno ai livelli di difficoltà media.

Ieri sono ripartito dall’inizio risolvendo quelli di apprendimento senza problemi e poi sono passato a quelli facili. Già al secondo di quelli facili ho perso abbastanza tempo ma è al terzo che mi sono piantato.

La struttura logica era molto semplice ma non sono stato in grado di calcolare correttamente tutte le possibilità e alla fine ho guardato la soluzione in Rete.

C’è da dire che avevo un vago ricordo di un livello col “trucco”: qualcosa tipo una falsa parete. La paura di perdere tempo a cercare una soluzione logica quando invece non esisteva si è sempre fatta più forte togliendomi contemporaneamente la capacità di rifletterci.
Addirittura (di solito non lo faccio mai in nessun gioco) ho provato a farmi dare un suggerimento: per l’appunto è apparso un testo ambiguo che, in tono scherzoso e con molte più parole, diceva che “Non ci sono trucchi ma è divertente pensare che il giocatore lo creda”. In pratica non era un suggerimento a meno che le allusioni al trucco non fossero significative. E qui mi sono convinto che ci fosse veramente un “trucco” e per questo ho cercato la soluzione in linea…

Però mi rimane il forte sospetto che le mie capacità mentali siano significativamente calate rispetto a 15 anni fa. Nei prossimi giorni ci giocherò ancora ed, eventualmente, ne avrò la conferma...

Ariosto patriarcale - 26/11/2023
Oggi nell’articolo Demoni dall’aspetto umano su Il blog della Curiosona ho trovato una citazione molto bella direttamente dall’Orlando Furioso dell’Ariosto:
Parmi non sol gran mal, ma che l’uom faccia
contra natura e sia di Dio ribello,
che s’induce a percuotere la faccia
di bella donna, o romperle un capello:
ma chi le dá veneno, o chi le caccia
l’alma del corpo con laccio o coltello,
ch’uomo sia quel non crederò in eterno,
ma in vista umana un spirto de l’inferno.


Che “italianizzato” da chatGPT significa:
“Non solo mi sembra un grave male,
ma anche un atto contro natura e una ribellione contro Dio,
quando qualcuno si spinge a colpire il viso
di una bella donna o a spezzarle un capello:
ma chi le dà del veleno o chi le strappa
l'anima dal corpo con lacci o coltelli,
non potrà mai considerarsi un essere umano,
bensì un demone in forma umana.”

Insomma una condanna molto dura del femminicidio. Un momento: ma l’Italia a cavallo fra il XV e il XVI secolo non era una cultura patriarcale?
Nel pezzo Panoramica sul “femminicidio” avevo scritto:
“Ho sentito parlare di cultura “patriarcale”: che alcuni valori giustificherebbero, almeno parzialmente, tali omicidi.
Sono scettico: le culture patriarcali, come tutte le culture, non tollerano questo tipo di crimine: sicuramente il colpevole sarebbe giudicato più brutalmente da una società veramente patriarcale [...]”

Io e Lee Whorf - 27/11/2023
Poche settimane fa scrissi il pezzo Lingua e pensiero e oggi mi sono imbattuto in questo video educativo: Linguistic Relativity: How Language Shapes Thought dal canale Sprouts (pubblicato da appena 28 minuti quando l’ho visto!).

Il video è molto generico e si limita a elencare diversi tipi di influenza della lingua sul pensiero ma senza entrare in alcun dettaglio: di sicuro però conferma la relazione fra lingua e pensiero e, di conseguenze, che lingue diverse plasmano diversamente il pensiero.

Ingenuamente nel mio vecchio pezzo avevo scritto “È un peccato che non esistano studi su questa materia” ma, ovviamente, esistono. Il video cita tale Benjamin Lee Whorf, linguista e antropologo; secondo chatGPT la sua “Teoria del Linguaggio e Pensiero” “suggerisce che la struttura della lingua che parliamo influenzi il modo in cui percepiamo il mondo e pensiamo a esso. Ha sostenuto che le lingue modellano la nostra realtà e che ciò che possiamo pensare è vincolato dalla lingua che parliamo.”

Comunque mi stupisco sempre di come le mie intuizioni trovino così spesso conferma in teorie di cui vengo a conoscenza solo a posteriori! Beh, in questo caso magari ervamo stati entrambi ispirati da Nietzsche...

Telefonare no?

Quando possibile mi piace fare due cose nello stesso momento: vado in bagno e leggo, uso la “cyclette” e guardo la televisione, scrivo un pezzo e ascolto un video etc.
Ultimamente, essendo bloccato in città, ne approfitto per lunghe passeggiate dimagranti in centro: il problema è che a camminare mi annoio perché è una cosa sola. Già tempo fa mi era venuta in mente l’idea di cercarmi dei problemi matematico/logici in rete per cercare di risolverli camminando: l’esito fu insoddisfacente. Avevo cercato problemi difficili ma li risolsi dopo nemmeno 100 metri (ma anche 50!): non io bravo ma si trattava di problemini adatti a ragazzi delle scuole medie, altro che difficili!

Così ieri ho provato a cercare su YouTube “problemi logico matematici Google” e ne ho scelti due: uno molto semplice su dei cavalli (di cui non parlerò) e l’altro invece è stato quello che mi sono “portato a spasso” con me!

Tre fratelli vogliono andare a visitare lo zio che vive a 300Km di distanza.
Per raggiungerlo hanno a disposizione una moto su cui però possono viaggiare solo in due alla volta e che ha una velocità di 60Km/h. Chi va a piedi (correndo immagino) si muove invece a 15Km/h.
Il problema è quello di trovare la strategia per minimizzare il tempo necessario (e calcolarlo) affinché tutti arrivino a destinazione.

SCIUPATRAMA da qui in poi!

C’erano parecchi numeri ma, non avendo altro da fare, ho deciso di provare comunque a risolverlo calcolando a mente. Ovviamente mi sono più volte confuso dovendo ripartire da capo (anche per un motivo di cui parlerò in seguito) e ogni volta mi veniva un risultato diverso. Comunque il mio risultato “ufficiale”, per pura fortuna visto che vi avevo fatto due errori (di cui non aggiungerò altro perché me ne vergogno!), era di 9,2 ore e il risultato corretto verificai poi guardando l’intero video del problema, era di 9,28 ore...

La prima difficoltà era trovare la strategia migliore.
In realtà le uniche ragionevoli sono due: 1. La moto, carica di due fratelli, ne porta uno a destinazione e torna poi indietro a prendere l’altro che nel frattempo si è avvicinato correndo; 2. La moto, carica di due fratelli ne molla uno a una distanza tale dall’arrivo che questo, proseguendo correndo, arriverà a destinazione esattamente nello stesso tempo impiegato dal fratello in moto per andare a recuperare quello lasciato indietro e portarlo dallo zio.

Non ci ho perso molto tempo: la seconda strategia mi era subito parsa più efficiente ma in effetti non è banale dimostrarlo. È che a occhio la moto nel secondo caso fa un percorso più breve (ma andrebbe dimostrato) e, di conseguenza, arriva prima a destinazione minimizzando il tempo.

Di questo tipo di problemi avevo una vaghisima esperienza di qualche decennio orsono: ricordavo infatti il problema di una barca che si muove lungo un fiume, che lascia una bottiglia a galleggiare nella corrente, che poi la supera e poi ritorna verso di essa etc. Al di là dei dettagli era facile perdersi nelle equazioni e per questo, senza ricordare altro, mi ero riproposto di non cercare di calcolare “tutto e subito”.

Avevo poi notato che la moto è quattro volte più veloce di chi cammina e quindi, a parità di tempo, percorre quattro volte più strada. Ecco in effetti, capisco adesso, ho eliminato dai miei ragionamenti la variabile tempo limitandomi alla dimensione dello spazio.

Tenendo presente la seconda strategia ho diviso il percorso in tre tappe.
Tappa 1: Il fratello in moto (F2) ne accompagna un altro (F3) fino a un punto del percorso al momento indeterminato. Il terzo fratello (F1) inizia a correre verso la destinazione.
Per quanto detto il fratello a piedi percorre un quarto della distanza della moto. Quindi:
F1=1/4
F2, F3 = 1 o 4/4 se preferite.

Questo è il passaggio matematico/logico che mi aveva confuso: che rappresentano questi numeri da soli? Solo dopo un po’ (camminavo per strada: dovevo stare attento a non essere investito!) mi sono reso conto che potevo fingere che fossero in un’unità di misura che non mi interessava conoscere: l’importante è che fossi coerente e usassi sempre la stessa.

Tappa 2: Il fratello in moto (F2) si ferma prima di giungere a destinazione e lascia a terra il suo passeggero (F3). Poi cambia direzione e torna a prendere il fratello lasciato precedentemente a piedi (F1) e che, nel frattempo, si è comunque avvicinato correndo (e che continuerà ad avvicinarsi mentre la moto torna indietro per caricarlo a bordo).
Al momento in cui la moto (F2) inverte la direzione la distanza fra essa ed F1 è: 4/4 – 1/4 = 3/4
Ora dove si incontreranno esattamente? Ricordando che la moto è 4 volte più veloce significa che F1 avrà percorso 1 e la moto (F2) 4. Quindi F1 avrà percorso 1/5 di 3/4 ed F2 4/5 di 3/4.
F1 quindi 3/20 (in totale allora 1/4 + 3/20 = 8/20)
F2 quindi 12/20 (in totale 32/20 ma in realtà non ci interessa)
Nel frattempo il fratello lasciato vicino alla destinazione (F3) avrà percorso la stessa distanza di F1, ovvero 3/20.

Di nuovo qui, mentre facevo questi calcoli, ero confuso dal significato di queste frazioni. Solo più o meno ai 3/4 del tragitto mi sono, come detto, reso conto che usavo un’unità di misura indeterminata.

Tappa 3: La moto con a bordo F1 e F2 riparte verso la destinazione e vi arriva contemporaneamente a F3. E qui, finalmente, introduco un’incognita.
Come al solito so che la moto avrà percorso 4 volte la distanza del fratello a piedi: se quest’ultima è pari a X allora la moto avrà percorso:
F1, F2: 12/20 (la distanza compiuta dalla moto alla tappa precedente per incontrarsi con F1) + 3/20 (la distanza compiuta da F3 sempre durante la tappa precedente) + X
F3: X

Posso quindi scrivere l’equazione: 12/20 + 3/20 + X = 4X da cui si ha X= 5/20 = 1/4
Quindi la moto percorre 12/20 + 3/20 + 5/20 = 20/20

Ora posso calcolare la distanza totale del tragitto nella mia unità di misura: la distanza totale percorsa da F1 alla fine delle tappa 2 (8/20) a cui si deve aggiungere la distanza percorsa dalla moto alla tappa 3 (20/20) ottenendo 28/20 o 14/10.

Ma il problema richiedeva di calcolare il tempo impiegato dai fratelli per arrivare a destinazione. Siccome questi tempi sono uguali per definizione basta calcolare quello impiegato dalla moto (mi sembrava più semplice). Questo sarà pari a 300Km : 60Km/h = 5h a cui si deve aggiungere il tempo “sprecato” per tornare a prendere il fratello rimasto indietro e tornare fino al punto in cui si era lasciato il precedente: in pratica si deve dividere il doppio (andata e ritorno) della distanza percorsa dalla moto alla tappa 2 e dividerla per la velocità di 60Km/h.
Questa distanza come abbiamo visto è 12/20 e siccome va raddoppiata si ha 24/20 o 12/10 (nella nostra unità di misura indefinita).
Ma come passiamo dalla nostra unità di misura ai Km per calcolare poi il tempo necessario a percorrerli? Facile, basta fare la proporzione:
14/10 : 300 = 12/10 : x
x=300*12/10*10/14=300*6/7 Km
Per trovare il tempo quindi: (300*6/7 Km) : 60Km/h = 30/7 h = 4,28 ore
In totale il tempo necessario ai fratelli per raggiungere lo zio sarà: 4,28 + 5 = 9,28

Allora, il video col problema e la soluzione ufficiale è questo: Google Interview Riddle - 3 Friends Bike and Walk || Logic and Math Puzzle
L’autore mi sembra che risolva il problema più o meno come me ma esplicitando fin da subito con variabili la distanza percorsa. In pratica usa come unità di misura la variabile “p” (o era “q”, non ricordo) poi calcola “p” a quanto equivale etc.

Di seguito la mia versione su carta una volta tornato a casa:
Conclusione: io allo zio avrei semplicemente fatto una telefonata: non ho fratelli ma neppure la moto…

venerdì 17 novembre 2023

Società, donne e psicologia

Oggi scrivo con le cuffie!
Sono cuffie anti rumore, da usare con martelli pneumatici, tiro al bersaglio e simili: in pratica utilissime per il traffico cittadino il cui frastuono entra direttamente in casa di mio padre. Mi stringono le orecchie ma funzionano piuttosto bene…

L’idea del pezzo di oggi è di scrivere di psicologia: non si tratta però di Rogers o Jung ma di una mia intuizione che ho avuto stamani proprio pochi minuti fa.

Lo spunto probabilmente me lo hanno dato Jung e UUiC (!).
Secondo Jung le persone NON hanno tutte la stessa psicologia e, nelle pagine iniziali di “Tipi psicologici”, inizia a dividerle fra introverse ed estroverse. Queste differenze si riflettono poi sul pensiero e sulla visione del mondo tanto che le stesse culture del tempo possono propendere verso una direzione psicologica o un’altra.
UuiC mi ha però fatto notare in un suo commento che nessun tentativo di catalogazione è mai perfetto né, soprattutto, adatto a interpretare/comprendere ogni tipo di comportamento, inclusa quindi anche la partizione di Jung.

Ora una divisione psicologica ha un campo di applicazione piuttosto ampio perché, alla fine, gran parte del comportamento umano è dettato dalla psicologia. Stamani mi chiedevo quindi se e dove questa dicotomia iniziale di Jung fra introversi ed estroversi tralasciasse un qualche fattore importante che creasse un “cono d’ombra” in quanto si può ricavare partendo da essa.

Ecco, da qui in poi è tutta fantasia mia...

In breve mi è venuta in mente una nuova dicotomia: uomini e donne.
Non so se questa sia più basilare che introversione ed estroversione ma sicuramente non è meno importante nel definire il comportamento.
Non si deve dimenticare la psicologia evolutiva, ovvero tutti quei comportamenti istintivi volti alla sopravvivenza: per esempio fuggire da un pericolo.
La società con la sua cultura aggiunge poi tutta una serie di comportamenti accettabili che vanno a sovrapporsi agli istinti iniziali. Si forma così quello che Freud chiamava “super io”.
Ora, per tenere le cose semplici, limitiamoci a considerare una delle direttive principali (per esempio la prima regola dovrebbe essere sopravvivere o, in certi casi, proteggere la prole) di ogni essere umano: riprodursi.
Si tratta di un caso molto interessante perché le strategie, quelle dettate dalla psicologia evolutiva, fra uomini e donne sono diverse.
Fondamentalmente gli uomini ricercano il massimo potere nella propria società (niente di nuovo: esattamente come i babbuini e chissà quante altre specie di scimmie e primati) mentre le donne cercano di scegliere gli uomini più potenti perché questi danno maggiori garanzie di essere in grado di provvedere con adeguato cibo e sicurezza alla futura prole. Anzi si potrebbe anche dire che gli uomini cercano di divenire potenti/ricchi/famosi per attrarre più donne ma, forse, questo aspetto è talvolta sublimato.
Ah, e mentre le donne scelgono gli uomini in base al loro successo (potere, ricchezza, fama e altre declinazioni di esso) questi ultimi scelgono le donne in base alla potenzialità riproduttiva ovvero l’età e la bellezza in quanto misura di salute.
Attenzione! Non sono io maschilista a pensarla così: si tratta infatti di comportamenti appurati e studiati dalla psicosociologia (v. per esempio L’alieno 2).

E questo porta a un primo interessante problema: la società occidentale esalta il successo individuale e, almeno a parole, afferma l’uguaglianza di uomini e donne.
Gli uomini quindi possono seguire sia gli istinti dettati dalla psicologia evolutiva che quelli suggeriti dalla società perché, in pratica, si sovrappongono perfettamente.
I problemi (psicologici) sono per le donne: la società le insegna che il loro obiettivo principale dovrà essere avere successo ma la psicologia evolutiva invece le dice che non è così importante e che anzi dovrebbero concentrarsi su altro. Questo porta a un grosso conflitto interiore fra cultura sociale e, diciamo per semplificare, istinto.

Mettendo insieme il tutto questo significa che una “buona” psicologia dovrebbe studiare come i diversi tipi psicologici si fondano con le tendenze istintive e come si confrontino con le direttivi provenienti dalla società.
Questo studio dovrebbe essere la base di partenza teorica con cui poi valutare le singole psicologie individuali in maniera efficiente ed efficace. Altrimenti si rischia di dover reinventare sempre la ruota studiando come una certa persona si confronta con certe problematiche che, alla fine, sono sempre le stesse.
Insomma lo psicologo dovrebbe prima individuare il tipo psicologico della persona e poi saprebbe immediatamente, grazie alla teoria già studiata, dove sarebbero le difficoltà maggiori dell’individuo. Anche gli scostamenti dalla norma sarebbero più facilmente comprensibili.

Il problema è che, forse per la cultura individualistica del nostro tempo, si tende a concentrarsi sulla psicologia individuale sottovalutando invece le tendenze istintive e i dettami della società. Si dovrebbe quindi iniziare a individuare e catalogare i diversi comportamenti istintivi cosa, immagino, già più o meno nota ma, soprattutto, fare qualcosa di analogo sulle direttive psicologiche date dalla nostra cultura.
Questo ultimo punto è invece tabù: le ragioni sono almeno due. La prima è che, come visto, risulterebbe evidente che la società dà alle donne indicazioni conflittuali con i loro istinti ma questa è un’ammissione inammissibile perché in contraddizione col principio che uomini e donne siano uguali. La seconda è che analizzare psicologicamente la cultura sociale porterebbe a evidenziare l’inutilità sostanziale di tanti comportamenti che diamo per scontati: per esempio il consumismo si basa sull’impulso psicologico di compensare le frustrazioni quotidiane con l’ acquisto di un qualcosa che dà un sollievo molto effimero e che quindi favorisce l’instaurazione di un circolo vizioso: il lavoro produce stress → si acquista oggetti per diminuire lo stress → si lavora di più per avere più denaro per acquistare di più → si ha ancora più stress e così via…
Ma questo circolo vizioso è utile all’economia mentre il suo opposto (meno lavoro, meno stress, meno acquisti) non lo è...

In altre parole la società funziona, nel senso che si tiene in piedi, grazie ai limiti psicologici della popolazione che, sostanzialmente, ne tollerano le ingiustizie di cui si rendono conto solo parzialmente. Risolvere questi aspetti psicologici, dimostrare che sono comportamenti illogici, controproducenti per il singolo e di cui pochissimi beneficiano, porterebbe alla crisi della società.

Ripensandoci una riflessione simile l’aveva fatta anche Marcuse in “Eros e civiltà” ma la sua conclusione era più ottimistica della mia: secondo il filosofo la società non sarebbe caduta nell’anarchia una volta abbattuti i vincoli della società occidentale.

In realtà neppure io sono totalmente pessimista: come ho scritto nell’epitome si potrebbe in teoria arrivare a un tipo di società che “aggiri” le limitazioni psicologiche umane mantenendo giustizia ed efficienza. Il problema è arrivarci!
Tramite passaggi graduali temo che le resistenze sarebbero troppo forti mentre la rivoluzione è sì “la locomotiva della storia” (Marx) ma la direzione in cui si mette a correre non è controllabile...

Conclusione: beh, forse non è una grande intuizione o magari non ho centrato in questo pezzo l’elemento fondamentale del problema: analizzare psicologicamente le pressioni che la società impone a uomini e donne porterebbe alla crisi della stessa.

mercoledì 15 novembre 2023

La fantasia di Jung

Al momento sto leggendo il capitoletto intitolato “c. Il tentativo di conciliazione di Abelardo” che fa parte del gruppo riguardante “4. Nominalismo e realismo”.

Per Jung il nominalismo è concettuale ed è legato alle psicologie introverse (che, almeno in questa fase, fa corrispondere a Ti, il pensiero introverso) mentre il realismo sarebbe legato a quelle estroverse (che, analogamente al caso precedente, tendono a coincidere con Fe, il sentimento estroverso). Da qui la mia confusione del pezzo F vs T dove la contrapposizione più profonda era fra introversione ed estroversione piuttosto che pensiero e sentimento.

Come si “intuisce” dal titolo, il sottocapitolo in questione propone il tentativo di sintesi di Abelardo delle posizioni opposte sugli universalia, ovvero del nominalismo e del realismo.
Questo tentativo di soluzione si svolge nelle prime quattro pagine più o meno ma i dettagli non sono importanti quanto piuttosto che l’operazione fallisce!

Successivamente viene ricalcata una mia recentissima intuizione stimolata proprio dalla lettura di “Tipi psicologici”. Ora il passaggio finale in cui propongo la mia idea è troppo lungo per riproporlo qui interamente: il succo è che mi sono reso conto di capire facilmente i libri dove la parte razionale è forte ma di fare notevolmente più fatica dove predomina il sentimento. Spiego che uso Te per connettermi al testo (più raramente e solo dove è indispensabile Fe) ma che poi cerco di legare tutto insieme con la mia funzione principale Ti.
Scrivo “Se il testo era razionale (e avevo usato Te) ricostruire tutto con Ti non presenta particolari problemi; quando invece ho dovuto usare Fe poi il tentare di legare il tutto con Ti può essere più problematico” e poi spiego che il problema è che io cerco di dare un senso logico (con Ti) a concetti nati da F che l’autore stesso non si preoccupa di collegare fra loro logicamente. Questo proprio perché pensa con una diversa psicologia rispetto alla mia, la logica generale è secondaria rispetto ai singoli elementi. La mia forzatura può quindi non avere senso perché rischio di cercare un qualcosa che lo stesso autore può non aver inserito…
Scrivo infatti: “Il punto è, lo capisco adesso, che non si tratta di “errori” ma che l’autore, magari anche consapevole delle proprie inconsistenze logiche, usa F e non T: la razionalità in questi casi può essere subordinata a un senso più profondo percepito come più vero dall’autore.
Io invece in questi casi costruivo complicate eccezioni con Ti per risolvere la “contraddizione” ma, l’ho capito adesso, forse sarebbe più opportuno e fedele al pensiero dell’autore accettarla come tale.”
Ecco Jung spiega che il tentativo di Abelardo fallisce proprio perché nel suo tentativo di conciliazione lui usa solo la razionalità che però non riesce a racchiudere in sé le ragioni del sentimento.
Scrive Jung: “Il suo [di Abelardo] tentativo di soluzione è unilaterale. Se nel caso dell’antitesi fra nominalismo e realismo si trattasse solo di un confronto logico intellettuale non si arriverebbe a comprendere perché mai non sia possibile una formulazione finale che non sia paradossale. Ma poiché si tratta di un’antitesi psicologica, la formulazione unilateralmente logico-intelletuale deve necessariamente sboccare nel paradosso.” (*1)

Interessante è anche la conclusione a cui giunge Jung per risolvere questo problema. Io opinavo che alla fine, per comprendere il concetto F, sarei dovuto ricorrere non alla logica ma alla mia intuizione.
Invece, benché mi lasci perplesso, la soluzione di Jung è più elegante: lui ipotizza infatti una facoltà capace di legare insieme non solo pensiero (T) e sentimento (F) ma anche sensazione (S) e intuizione (N) ma esterna a esse. Questa facoltà la chiama “fantasia”, una congiunzione di funzione psichiche legata all’inconscio.
Non so: io sto ancora rimuginandoci sopra: cosa avrebbe la fantasia in più dell’intuizione per connettere insieme le funzioni psicologiche? Probabilmente la fantasia è vista come composta un po’ da tutte le funzioni ed, essendo della stessa “materia”, le può quindi legare insieme.
Mi torna in mente il mio pezzo sulla comunicazione fra individui (v. anche [E] 22.3, “Comunicazione e comprensione”) dove, volendo dargli una rilettura, affermavo che la comunicazione puramente logica, basata su una comprensione inequivocabile del linguaggio, non è possibile: uso la metafora della descrizione di un disegno. Chi vuole comunicare la propria idea, un disegno, lo descrive al proprio interlocutore che a sua volta prova a disegnarlo seguendo le informazioni fornitegli.
Che facoltà si usa in questo passaggio (al di là che si tratta di una metafora)? Forse ha ragione Jung: qui non si usa solo l’intuizione ma un po’ di tutte le funzioni (primariamente il pensiero T ma, come ho detto, si tratta di una metafora). Forse semplicemente non mi piace il termine “fantasia” perché contiene troppo poco T…

Conclusione: è stata dura capire quella decina di pagine che mi avevano confuso ma adesso, almeno per il momento, seguo abbastanza facilmente il percorso di Jung.

Nota (*1): tratto da “Tipi psicologici” di Carl Gustav Jung, (E.) Bollati Boringhieri, 2022, trad. Cesare L. Musatti e Luigi Aurigemma, pag. 58.

martedì 14 novembre 2023

Libri e sangue

Oggi scrivo a braccio: in genere spengo lo schermo ma già mi trovo male su questa tastiera e senza vedere quello che scrivo sbaglierei troppe parole…

Di sicuro voglio scrivere dei miei libri, poi forse sia di Ucraina che di Gaza.

Nei giorni scorsi ho risolto il problema di “Tipi psicologici” (v. il corto Casino con Jung).
Ero incerto di non aver capito niente di quanto letto dato che chatGPT mi aveva dato un’interpretazione semplice del significato di due termini specifici usati in un sottocapitolo ma completamente diversa da ciò che mi era parso di intuire.
Alla fine ho riletto il tutto una terza volta: era chatGPT che non aveva capito niente.
Volendo fare autocritica probabilmente anch’io avevo frainteso Jung in uno dei sottocapitoli precedenti: nel pezzo F vs T contrappongo la funzione Sentimento (F) con quella Pensiero (T) mentre invece Jung voleva evidenziare il contrasto fra estroversione e introversione. Ma è solo un mezzo errore perché poi effettivamente contrapponeva Fe (Sentimento estroverso) con Ti (Pensiero introverso).

Ho comprato questo libro per la curiosità del sistema dei tipi MBTI basato sulla sua teoria ma il concetto di Jung è molto più profondo: la psicologia umana caratterizza epoche, società e cultura.
Io vi ero arrivato autonomamente: inizialmente da ragazzino come critica a Freud (lessi “Interpretazione dei sogni” e un paio di altri suoi saggi fra le elementari e le medie) perché non mi sembrava che tutte le psicologie dovessero essere basate sul sesso. Più recentemente (*1), proprio partendo dai tipi MBTI, avevo stabilito che la differenza fra chi ancora crede alla propaganda delle autorità e chi no, non è di intelligenza o di cultura ma di psicologia. Mi accorgo adesso che avevo diviso la popolazione fra TJ (hanno fiducia nell’autorità) ed FJ (manipolabili facilmente dai media) da una parte e il resto della popolazione (TP ed FP) dall’altra. Ma questo equivale a dividere la popolazione fra colori che hanno la funzione riflessiva (F o T) estroversa (non importa se funzione primaria o secondaria) e coloro che l’hanno introversa. Ovvero l’esatta dicotomia evidenziata da Jung!

Ecco, ci pensavo ieri sera: mi chiedevo come faccio spesso se le mie intuizioni sono veramente tali o se invece trasformo e forzo il pensiero degli autori che leggo nelle forme che io stesso voglio darli per convalidare le mie teorie. A me sembrano pure intuizioni ma non sono la persona migliore per giudicare.

Ho quasi finito di leggere il “Malleus maleficarum” che sfortunatamente si è rivelato deludente. Anche di Svetonio sono a buon punto: è il mio libro leggero e lo leggo bene.
Ah! Ho finito “Mercanti di Spagna” o come si chiama: sul finale c’erano state un paio di idee decenti ma non sono state sviluppate come sarebbe piaciuto a me.

La lettura de “Il cotone è re” procede. Sono diversi capitoli che si insiste sull’importanza economica della schiavitù. Il libro cerca di dimostrare che il cotone prodotto dagli USA (grazie agli schiavi) è indispensabile non solo per i locali ma anche per l’economia mondiale. Il contrasto fra stati del nord e del sud va avanti dai primi decenni del XIX secolo ed è incentrato sui dazi con il Regno Unito. Il sud non li vuole perché teme ritorsioni (dazi inglesi) sui suoi prodotti mentre il nord li vorrebbe per proteggere la propria nascente industria.
In queste analisi manca un fattore fondamentale: che gli schiavi liberati non sarebbero rimasti al sud ma sarebbero emigrati al nord. La differenza è che per il nord la liberazione degli schiavi diviene una situazione vinci-vinci e non perdi-vinci come prevedono questi economisti del sud.
Il trasferimento degli schiavi al nord porta contemporaneamente manodopera economica e mercato per i propri prodotti. Qui ci sono in effetti delle analogie con l’immigrazione: le autorità la dipingono come salvifica (senza argomentazioni concrete) per economia e società ma in realtà la si vuole per deprimere il costo del lavoro e allargare il mercato interno. Mi piacerebbe trovare qualche epigrafe concisa ma al momento non ci sono riuscito…

Passiamo alla guerra fra Ucraina e Russia.
Aveva ragione la narrativa occidentale (l’unica ammessa e discussa dai media) oppure le mie teoria basata su fonti secondarie, anzi terziarie o peggio?
Al di là dei dettagli minori (come poteva essere Putin dato come morente ormai da anni e che, al momento, non è ancora morto; oppure le sanzioni economiche date come decisive e che invece hanno penalizzato fortemente l’Europa e rivitalizzato l’economia russa) la differenza principale è che la narrativa dominante dava l’Ucraina vincente con i russi in ritirata dal nord e dal sud dopo le "sconfitte" della scorsa estate. La “mia” interpretazione era invece che i russi avevano volontariamente abbandonato tali aree perché poco difendibili: soprattutto l’obiettivo dei russi non era/è conquistare l’Ucraina (o il resto dell’Europa come fantasticava la propaganda occidentale) ma demilitarizzarla (perdendo il minimo delle proprie truppe).
La resa dei conti c’è stata con l’offensiva ucraina di primavera/estate che non ha ottenuto nulla e che è però costata un esercito di uomini e mezzi. Già da un paio di mesi la propaganda americana, che guida quella europea, aveva iniziato a mettere le mani avanti spiegando che l’Ucraina “non stava vincendo”: adesso si sente sempre più spesso mormorare che sta perdendo. Io credo che ormai si voglia solo evitare che crolli prima delle elezioni del 2024 negli USA...

La crisi a Gaza sta affrettando il processo di sganciamento degli USA dal progetto fallito o fallimentare in Ucraina. I media hanno altre esplosioni da mostrare e la divisa mimetica di Zelensky non riscuote più le simpatie dello scorso anno.

A proposito di Gaza ho riletto il primo pezzo che scrissi all’indomani (beh il 9: appena mi interessai alle notizie che arrivavano e che inizialmente avevo completamente ignorato) della crisi (v. A caldo su Gaza-Israele) e devo dire che avevo inquadrato correttamente gli aspetti principali della vicenda.

Previsioni errate:
- Le armi sono prodotte localmente e non sembrano provenire dal mercato nero ucraino.
- Inizialmente prevedo guerra breve e che, proprio per questo, l’aiuto degli USA all’Ucraina non ne sarà influenzato. Già sul finale del pezzo però, via via che avevo nuove notizie, vado a modificare questa mia opinione iniziale.
- Censura UE sulle vittime palestinesi.
- Mi aspettavo semplice assedio di Gaza.

Previsioni corrette:
- Numerose vittime civili palestinesi, disinteresse di Israele a evitarle.
- Cambiamento equilibri geopolitici della regione con posizione di Israele complessivamente più debole.
- Coinvolgimento Iran e beneficio per Russia.
- Gli USA non possono permettersi un’altra guerra (sebbene Capitan Babbeo e squadra di badanti sembri credere il contrario)

Parte più saliente:
“I prigionieri possono servire per trattare come moneta di scambio ma, al momento, Israele non sembra intenzionata a farlo.
Per come la vedo io, se non succede “niente”, nei prossimi giorni Israele avrà recuperato i territori persi, e poi? Si continuerà a bombardare Gaza? Se truppe o carri israeliani entrassero all’interno subirebbero notevoli perdite: mi aspetto allora un assedio. A Gaza ci sono (se non erro) circa due milioni di persone di cui un milione di bambini. La crisi umanitaria è dietro l’angolo.

Può darsi che Hamas sia disposta a sacrificare una fetta significativa della popolazione civile per raccogliere consenso nel Medio Oriente? Israele cadrà in questa trappola? Io penso di sì: se non distrugge Gaza non potrà dire di aver vinto: ma questa logica di violenza militare aveva senso quando gli USA potevano fare i bulli con il resto del mondo. Ora la situazione è cambiata.

E che faranno Turchia (grande manifestazione popolare a favore dei palestinesi), Egitto (che da decenni accoglie profughi palestinesi) e soprattutto l’Arabia Saudita? Come reagiranno se Israele inizia a uccidere migliaia di civili?”

Le previsioni corrette sono importanti: fondamentale quella sul cambiamento degli equilibri geopolitici (intuizione che, oltretutto, risaliva al marzo 2023).
Manca la previsone sulla volontà di Israele di radere al suolo Gaza e di scacciarne tutti i palestinesi: l’operazione mi sembrava troppo cinica. Manca anche l’elemento Turchia ma esso era imprevedibile senza conoscere bene gli equilibri locali.
In confronto le mie previsioni errate sono tutte su aspetti secondari: beh, forse non l’assedio, ma secondo me qui si è trattato di un errore di calcolo di Netanyahu. Del resto avevo anche scritto che cercare di entrare con i carrarmati in Gaza sarebbe stato costoso in termini di uomini e mezzi. Mi aspettavo quindi che Israele cercasse di distruggere tutto ma senza entrare materialmente nella Striscia. Insomma più errore di Netanyahu che mio… forse pensava di riuscire a chiudere in fretta la partita, non so…

Conclusione: non so perché ho messo insieme questi argomenti, ma almeno il titolo del pezzo è accattivante...

Nota (*1): per non parlare della mia interpretazione di una delle funzioni del “wokismo” (di cui ho già scritto) e forse qualche esempio minore che al momento mi sfugge.

PS: A proposito! c’è un elemento anomalo su cui nessuno (credo) si è soffermato.
Hamas è stata sorprendentemente attenta alla propaganda diffondendo piccoli documentari, con tanto di sigla, che esaltano le operazioni più eclatanti.
Sarebbe stato ragionevole aspettarsi filmati con interviste agli ostaggi con appelli a trattare e “ringraziamenti” ai sequestratori: io credo che avrebbero messo in difficoltà Israele.
Invece niente. Come mai?
Su due piedi mi viene da pensare che Hamas voglia che Israele continui il suo attacco: forse spera di coinvolgere altri stati arabi della regione? Un po’ come Israele spera nel coinvolgimento diretto degli USA in effetti...