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mercoledì 15 novembre 2023

La fantasia di Jung

Al momento sto leggendo il capitoletto intitolato “c. Il tentativo di conciliazione di Abelardo” che fa parte del gruppo riguardante “4. Nominalismo e realismo”.

Per Jung il nominalismo è concettuale ed è legato alle psicologie introverse (che, almeno in questa fase, fa corrispondere a Ti, il pensiero introverso) mentre il realismo sarebbe legato a quelle estroverse (che, analogamente al caso precedente, tendono a coincidere con Fe, il sentimento estroverso). Da qui la mia confusione del pezzo F vs T dove la contrapposizione più profonda era fra introversione ed estroversione piuttosto che pensiero e sentimento.

Come si “intuisce” dal titolo, il sottocapitolo in questione propone il tentativo di sintesi di Abelardo delle posizioni opposte sugli universalia, ovvero del nominalismo e del realismo.
Questo tentativo di soluzione si svolge nelle prime quattro pagine più o meno ma i dettagli non sono importanti quanto piuttosto che l’operazione fallisce!

Successivamente viene ricalcata una mia recentissima intuizione stimolata proprio dalla lettura di “Tipi psicologici”. Ora il passaggio finale in cui propongo la mia idea è troppo lungo per riproporlo qui interamente: il succo è che mi sono reso conto di capire facilmente i libri dove la parte razionale è forte ma di fare notevolmente più fatica dove predomina il sentimento. Spiego che uso Te per connettermi al testo (più raramente e solo dove è indispensabile Fe) ma che poi cerco di legare tutto insieme con la mia funzione principale Ti.
Scrivo “Se il testo era razionale (e avevo usato Te) ricostruire tutto con Ti non presenta particolari problemi; quando invece ho dovuto usare Fe poi il tentare di legare il tutto con Ti può essere più problematico” e poi spiego che il problema è che io cerco di dare un senso logico (con Ti) a concetti nati da F che l’autore stesso non si preoccupa di collegare fra loro logicamente. Questo proprio perché pensa con una diversa psicologia rispetto alla mia, la logica generale è secondaria rispetto ai singoli elementi. La mia forzatura può quindi non avere senso perché rischio di cercare un qualcosa che lo stesso autore può non aver inserito…
Scrivo infatti: “Il punto è, lo capisco adesso, che non si tratta di “errori” ma che l’autore, magari anche consapevole delle proprie inconsistenze logiche, usa F e non T: la razionalità in questi casi può essere subordinata a un senso più profondo percepito come più vero dall’autore.
Io invece in questi casi costruivo complicate eccezioni con Ti per risolvere la “contraddizione” ma, l’ho capito adesso, forse sarebbe più opportuno e fedele al pensiero dell’autore accettarla come tale.”
Ecco Jung spiega che il tentativo di Abelardo fallisce proprio perché nel suo tentativo di conciliazione lui usa solo la razionalità che però non riesce a racchiudere in sé le ragioni del sentimento.
Scrive Jung: “Il suo [di Abelardo] tentativo di soluzione è unilaterale. Se nel caso dell’antitesi fra nominalismo e realismo si trattasse solo di un confronto logico intellettuale non si arriverebbe a comprendere perché mai non sia possibile una formulazione finale che non sia paradossale. Ma poiché si tratta di un’antitesi psicologica, la formulazione unilateralmente logico-intelletuale deve necessariamente sboccare nel paradosso.” (*1)

Interessante è anche la conclusione a cui giunge Jung per risolvere questo problema. Io opinavo che alla fine, per comprendere il concetto F, sarei dovuto ricorrere non alla logica ma alla mia intuizione.
Invece, benché mi lasci perplesso, la soluzione di Jung è più elegante: lui ipotizza infatti una facoltà capace di legare insieme non solo pensiero (T) e sentimento (F) ma anche sensazione (S) e intuizione (N) ma esterna a esse. Questa facoltà la chiama “fantasia”, una congiunzione di funzione psichiche legata all’inconscio.
Non so: io sto ancora rimuginandoci sopra: cosa avrebbe la fantasia in più dell’intuizione per connettere insieme le funzioni psicologiche? Probabilmente la fantasia è vista come composta un po’ da tutte le funzioni ed, essendo della stessa “materia”, le può quindi legare insieme.
Mi torna in mente il mio pezzo sulla comunicazione fra individui (v. anche [E] 22.3, “Comunicazione e comprensione”) dove, volendo dargli una rilettura, affermavo che la comunicazione puramente logica, basata su una comprensione inequivocabile del linguaggio, non è possibile: uso la metafora della descrizione di un disegno. Chi vuole comunicare la propria idea, un disegno, lo descrive al proprio interlocutore che a sua volta prova a disegnarlo seguendo le informazioni fornitegli.
Che facoltà si usa in questo passaggio (al di là che si tratta di una metafora)? Forse ha ragione Jung: qui non si usa solo l’intuizione ma un po’ di tutte le funzioni (primariamente il pensiero T ma, come ho detto, si tratta di una metafora). Forse semplicemente non mi piace il termine “fantasia” perché contiene troppo poco T…

Conclusione: è stata dura capire quella decina di pagine che mi avevano confuso ma adesso, almeno per il momento, seguo abbastanza facilmente il percorso di Jung.

Nota (*1): tratto da “Tipi psicologici” di Carl Gustav Jung, (E.) Bollati Boringhieri, 2022, trad. Cesare L. Musatti e Luigi Aurigemma, pag. 58.

4 commenti:

  1. Lancio una provocazione: come vale che per un ben vivere siano indispensabili sia socialità, compagnia che solitudine, qualcosa del genere dovrebbe riguardare anche gli aspetti caratteriali: coltivare sia introspezione che estroversione che, a mio avviso, sono entrambe importanti.

    Ieri ho passato qualche quarto d'ora con un collega tedesco originario della Germania centro-settentrionale, professionista assai valente, che però era riservato al limite del patologico.
    Nel senso che se non guardi neppure chi cerca, con garbo, ti mettert a tuo agio, qualche problema c'è.
    Avendo esprienza e conosdenza di nordici riservati io ho tirato subito il freno, aumentato la distanza fisica e allentato / diluito la conversazione. Verso fine pranzo, qualche segno di una lievemente maggiore interazione.

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  2. Col tempo ho compreso che la riduzione (tipica a sinistra) della realtà al solo "tutto è cultura" è fallimentare.
    Tuttavia, nel rapporto inscindibile mente-corpo, la prima ha i suoi punti di forza.
    Quindi lancio un'altra provocazione: come conciliare l'apparente contraddizione introversione - nominalismo - razionalità vs estroversione - realismo - emotività?
    E' molto razionale e logico osservare e gestire la realtà e le emozioni che la caratterizzano.

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  3. 1.
    Premetto che io non sono un esperto ma solo un appassionato comunque le do il mio parere,

    La sua affermazione che le persone debbano trovare un equilibrio fra estroversione e introversione è corretta. Ma infatti ogni persona ha entrambe queste facoltà: la differenza è che si dà la precedenza all’una o all’altra in base alla propria psicologia individuale. Di solito ogni persona durante la crescita trova un proprio equilibrio compatibile con le norme della propria società ed epoca.
    I problemi sono i casi estremi soprattutto fra persone che sono all’opposto fra loro: allora può sorgere incomprensione e le differenze divenire evidenti e fastidiose.

    Nel caso specifico del suo aneddoto ipotizzo che la società tedesca sia più introversa della nostra e che quindi il carattere del collega con cui ha trattato fosse ritenuto accettabile in Germania (altrimenti sarebbe stata una strana decisione spedirlo in missione in Italia).

    Ecco: per qualche motivo mi accorgo adesso che non posso rispondere singolarmente ai diversi commenti (ho recentemente cambiato la modalità di commento: forse dipende da questo!)

    2.
    La ringrazio per la citazione!

    3.
    Mi ripeto la contraddizione fra introversione ed estroversione non è assoluta nel senso che ogni persona ha entrambe queste facoltà e può usare l’una o l’altra in base alle necessità del momento.
    Cioè una persona introversa non si comporterà sempre e solo da introversa e, vice versa, per un introverso. Anche una persona estroversa talvolta vorrà passare del tempo da sola: la differenza è che l’introversa farà così dieci volte più spesso e magari per periodi più lunghi!

    Sottolineo poi che il significato che Jung dà ai termini introversione ed estroversione non è quello che possiamo dargli nell’italiano quotidiano.
    Introversione NON è timidezza: si può essere tranquillamente estroversi e timidi per esempio.
    L’estroversione consiste invece nel “fondersi” con l’oggetto (o persona) mentre l’introversione significa tenersene lontani e ben separati, osservandolo dall’esterno. E questo si applica alle quattro funzioni principali: pensiero, sentimento, sensazione e intuizione.

    Io stesso in questo pezzo spiego che quando leggo un libro uso Te (pensiero estroverso) per assorbirne il contenuto e cercare di comprendere pienamente il pensiero dell’autore: solo in un secondo momento (diciamo dopo ogni paragrafo) uso la mia funzione principale Ti (pensiero introverso) per verificare la consistenza logica del tutto. Il punto è però che uso entrambe le funzioni Te e Ti.

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