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lunedì 6 novembre 2023

Lingua e pensiero

Non ho dormito (e ultimamente sto dormendo pochissimo) ma voglio scrivere comunque un pezzo potenzialmente impegnativo. È da ieri sera che ci penso ma non potevo scrivere perché c’era mio padre al calcolatore (beh, è il suo)…

Ieri ero in strada per una commissione, non ricordo cosa stavo pensando ma a un certo momento mi sono reso conto che mi mancava una parola per descrivere un pensiero.
Non era che non mi ricordassi una parola specifica (mi succede spesso) ma proprio non c’era (o non la conoscevo!): immaginatevi un triangolo con i tre vertici che rappresentano tre aggettivi con tre diversi significati. Ecco mi sarebbe servito un nuovo aggettivo in mezzo al triangolo che esprimesse un po’ di tutti questi significati insieme (*1).

Chiaro che ogni lingua ha i propri termini il cui significato non è sempre uguale a quello della sua traduzione. Per esempio l’inglese “nice” è una via di mezzo fra il nostro “carino” e “bello”.
Chiaro anche che, quando manca un termine esatto, si può usare una parafrasi per rendere l’idea voluta. Per esempio: “il suo comportamento è un misto di sussiego, rancore e paura”.
Però è chiaro che se si ha a disposizione un singolo aggettivo specifico è più facile esprimere quello che si ha in mente.

Già questo significa che alcune linguaggi rendono più semplice pensare alcune idee.

Questo con gli aggettivi è il caso più semplice: pensate, per esempio, se manca il termine per un concetto astratto (per gli oggetti concreti le varie traduzioni più o meno si equivalgono: pensate a “forchetta” o “mucca”). Anche qui si può ricorrere a dei giri di parole ma ho la sensazione che sia più difficile focalizzare un nuovo concetto in questo modo rispetto a quando si vuole indicare un misto di diverse qualità.

Ma ancora peggio sono le differenza di grammatica: per esempio alcune lingue hanno modi e tempi che aggiungono di per sé delle sfumature di significato: pensiamo all’incertezza o alla possibilità insita nel nostro congiuntivo e come venga appiattita nella traduzione in inglese.
Tanto tanto tempo fa mi ritrovai in una famiglia in Inghilterra e chiesi ai due adulti “come esprimo un concetto potenziale nel passato?” senza riuscire a ottenere una risposta chiara. Di sicuro la mia scarsissima padronanza della lingua non avrò giovato ma penso adesso che se in una lingua manca un certo concetto allora per i relativi madrelingua è anche difficile pensarlo.
Facciamo la riprova: come esprimete in italiano il tempo aoristo che esprime “un’azione temporalmente indeterminata, spoglia di ogni proiezione nel tempo [...] concepita come momentanea e puntuale”?

Tutto questo per arrivare a Nietzsche: mi sembra di essermi imbattuto in una sua opera per la prima volta con l’idea che alcune lingue determinino il pensiero. Mi sembra che facesse proprio l’esempio con l’italiano e tedesco. Col tedesco si esprime bene la filosofia, con l’italiano altro (*2)…

In realtà, all’epoca, trovai il concetto interessante ma non mi convinse completamente: il problema è che non si pensa a parole, cioè lo si fa se ci si immagina un dialogo ma quando si pensa profondamente si pensa per concetti.
Ma adesso mi rendo conto che ogni linguaggio favorisce alcuni concetti, alcune categorie di significato: se il linguaggio non le esprime facciamo fatica a pensarle anche senza usare parole.
Questo è stato il mio problema di ieri sera: avevo in mente un qualcosa che si pensa difficilmente in italiano perché la nostra lingua non ha la struttura per esprimere facilmente tale idea: magari in ungherese o cinese si tratta di una banalità perché le relative lingue esprimono più facilmente un concetto simile.

Altra ovvietà ma mi ero dimenticato di evidenziarla precedentemente: c’è un nucleo base di concetti e categorie grammaticali che sono comuni a tutti i linguaggi! Le differenze di pensiero su cui sto scrivendo dipendono invece dalle peculiarità di ogni lingua. In altre parole un perfetto equivalente del modo indicativo con i suoi tempi basilari deve esistere in praticamente ogni lingua...

È un peccato che non esistano studi su questa materia: il problema è che non vedo maniere facili per fare esperimenti ripetibili. Già rendersi conto di come si pensa non è facile. Quando l’ho chiesto a mio padre lui mi ha risposto “a parole” ma io gli ho fatto notare che quando si dialoga, proprio per esempio nella sua risposta, prima in un attimo ha avuto l’idea di ciò che voleva rispondere e solo successivamente ha messo in fila le parole necessarie per esprimere tale concetto. Questo è il motivo per cui talvolta non ricordiamo “la parola giusta”: il pensiero lo abbiamo già in mente ma non troviamo la parola per esprimerlo. Se pensassimo a parole questo problema non ci sarebbe…

Forse si potrebbe provare a prendere delle parole specifiche di una lingua (o comunque comune ad alcune ma non a tutte) o ancora meglio una categoria grammaticale e, su questa, girarci un breve video.

Ah! Ah! Ho chiesto a chatGPT delle parole tedesche che non abbiano un esatto traducente in italiano e mi ha fornito dieci esempi molto carini: Parole tedesche uniche. A me, per esempio, piace la 4: “"Waldeinsamkeit" - La sensazione di solitudine e intimità con la natura, quando si è soli nel bosco.”
Ecco, su questa unica parola poi girerei un corto di massimo un paio di minuti in cui il protagonista vaga da (1.) solo per il bosco (2.) apprezzando e venendo a contatto con fiori e alberi con (3.) un’espressione beata sul volto.
Tutti i video dovrebbero essere senza dialoghi per essere il più universali possibili: e proprio per questo dovrebbero essere filmati e non racconti brevissimi (lo scritto userebbe un linguaggio la cui interazione col pensiero è proprio ciò che vogliamo studiare!).
Poi farei vedere un video per volta a persone di diversa nazionalità alla fine del quale dovrebbero indicarne per scritto l’essenza.
La mia teoria è che, statisticamente, i madre lingua tedeschi dovrebbero identificare tutti e 3 gli elementi del racconto più frequentemente di persone il cui linguaggio non comprenda un equivalente del termine “Waldeinsamkeit”.
Idealmente, allo stesso campione di persone, si dovrebbe poi proporre filmati su parole che non hanno un equivalente nell’altra lingua: per esempio parole italiane senza equivalente in tedesco (vedi le proposte di chatGPT). In questo caso si dovrebbe notare una tendenza inversa con gli italiani capaci di “capire” un po’ meglio dei tedeschi il filmato.
Poi ovviamente si potrebbero introdurre molte varianti nell’esperimento come considerare più parole contemporaneamente: ma inizialmente lo terrei il più semplice possibile…

Conclusione: vabbè ho, come al solito, divagato…

PS: mi sembra di averne già scritto ma siccome è un aneddoto molto appropriato voglio comunque riproporlo. Da bambino (sui 10 anni?), rendendomi conto della difficoltà a esprimere alcune idee, decisi di inventarmi delle nuove parole: in realtà l’esperimento durò solo qualche ora e non lo portai assolutamente avanti (ma il fatto che dopo tutti questi anni mi sia rimasto in mente indica, mi pare, che trovai l’idea molto intrigante!).
Venni fuori con l’idea di un nuovo “e” che poco fantasiosamente avrei chiamato “ex” che avrebbe dovuto evidenziare le concause di un qualcosa: non singolarmente in grado di provocare il fenomeno ma solamente tutte insieme.
Probabilmente perché all’epoca avevo notato la sequenzialità della lingua contrapposta alla contemporaneità di molti fattori. Con il mio “ex” si sarebbe anticipato all’interlocutore che avremmo descritto sequenzialmente elementi che avrebbe dovuto essere considerati contemporanei e vicendevolmente influenzati. Senza però ricorrere a tutti questi giri di parole!

Nota (*1): per esempio a me piace l’aggettivo “longanime” che significa “paziente+tollerante+comprensivo”.
Nota (*2): non ricordo. Ora come ora direi mentire: è facile in italiano fare grandi discorsi che non dicono niente. Già la possibilità di non dover esprimere esplicitamente il soggetto aiuta moltissimo a intorbidire le acque! Ah! ecco: secondo chatGPT Nietzsche in “Considerazioni inattuali” scrisse: “La nostra lingua tedesca offre la massima resistenza alle spinte metafisiche, e in ciò è preziosa. La filosofia tedesca è fiorente, la nostra lingua tedesca è la lingua della filosofia; che l'italiano rimanga ciò che è, una lingua bella, espressiva, per l'arte! E l'inglese, che serve meglio allo scopo di mettere insieme i pezzi di un nuovo regno mondiale della scienza!". Ma io probabilmente avevo letto qualcosa di simile in “Al di là del bene e del male”...

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