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domenica 9 gennaio 2022

Primo Rawls

Ieri ho finito due libri, “La morte di Danton – Woyzeck e gli altri scritti” di Giorgio Büchner e “Un nuovo mondo”di Eckhart Tolle. Sarebbe sensato che il pezzo di oggi fosse su almeno uno di essi…

Invece, sempre ieri, ho iniziato “Una teoria della giustizia” di John Rawls, un mattone di oltre 500 pagine scritte in piccolo. In realtà, era tardi, ho letto solo la prefazione dell’autore e il primo sottocapitolo (di appena tre pagine): sono stato tentato di continuare la lettura ma ho preferito fermarmi per digerire il tutto. Ma procediamo con ordine.

Sul mio “rapporto” con Rawls dovrei aver già scritto qualche settimana fa (grazie a Fastweb/Telecom a oggi, 9 gennaio, sono ancora senza Internet e telefono fisso e non posso controllare o aggiungere collegamenti) e quindi, per evitare di ripetermi troppo, cercherò di essere breve.
John Rawls è unanimemente riconosciuto il massimo filosofo del XX secolo o almeno così l’aveva definito il professor Sandel nel suo corso di filosofia della giustizia e morale.
In realtà Rawls, nel corso di Sandel, non mi fece una grande impressione, anzi: se ben ricordo ci scrissi un pezzo, qualcosa del tipo “Rawls sbaglia” o roba del genere (!).
In questi anni però ho continuato a rifletterci e mi sono convinto che Sandel ne avesse dato una sintesi distorta o magari, più semplicemente, io avessi frainteso le spiegazioni di Sandel.
Comunque mesi fa mi decisi ad acquistare la sua opera più importante, “Una teoria della giustizia”, per capirne direttamente il pensiero: e ieri, con qualche titubanza, ne ho finalmente iniziato la lettura.

Ero infatti un po’ preoccupato perché se un libro massiccio, di parecchie centinaia di pagine, lo trovo troppo difficile o comunque poi non mi piace, finisce che me lo trascino dietro per mesi/anni rallentando o fermando la lettura di opere magari più importanti e formative (*1). Invece…

Invece sono entusiasta! Ho avvertito subito grande sintonia con l’autore (*2), nell’organizzazione sistematica del materiale, nei consigli ai lettori e soprattutto nella volontà di scrivere per farsi capire e non per riempire paginate di frasi esoteriche comprensibili solo agli addetti ai lavori. Da questo punto di vista la tradizione letteraria inglese è cento volte meglio di quella italiana: ma evitiamo questa mia usuale polemica.

Comunque in questo prima sottocapitolo, senza preamboli, Rawls chiarisce immediatamente le basi della teoria che andrà a discutere nei capitoli successivi. E queste basi mi piacciono.
Rawls punta a formulare una teoria della morale che sia alternativa a quella dominante utilitaristica e, molto modestamente, afferma di non essersi inventato niente di nuovo ma di rifarsi principalmente a Kant. Già qui ho iniziato a gongolare e a fremere di interesse e curiosità.

Non stupisce quindi che proprio la primissima affermazione sulla natura della giustizia sia netta e decisa: «Ogni persona possiede un’inviolabilità fondata sulla giustizia, su cui neppure il benessere della società nel suo complesso può prevalere» (*3).
Non è abbastanza chiaro? Beh, poi spiega meglio proseguendo così: «Per questa ragione la giustizia nega che la perdita della libertà per qualcuno possa essere giustificata da maggiori benefici goduti da altri.
Non permette che i sacrifici imposti a pochi vengano controbilanciati da una maggiore quantità di vantaggi goduti da molti. Di conseguenza, in una società giusta sono date per scontate eguali libertà di cittadinanza: i diritti garantiti dalla giustizia non possono essere oggetto né della contrattazione politica, né del calcolo degli interessi sociali. […] Poiché la verità e la giustizia sono le virtù principali delle attività umane, esse non possono essere soggetti a compromessi» (*4).
Inutile forse anche scriverlo ma la “giustizia” indicata da Rawls non ha niente a che vedere con la legalità, insomma con la giustizia dei tribunali!

A caldo direi che Rawls è decisamente assertivo nelle sue proposizione, vi odo il riverbero dell’imperativo categorico kantiano: mi ricorda un certo KGB!

Poi, certo, i politici e media italiani (ma non solo) possono anche ragliare diversamente ma questo è quanto il maggior filosofo del XX secolo ha messo nero su bianco dopo un ventina e passa d’anni di riflessioni sulla materia.

Personalmente trovo esaltante che le sue premesse coincidano con le mie: ma rendetevi conto che, pensando con la mia testa, mi trovo spesso a nuotare da solo contro la corrente della stupidità sempre più forte e dominante. Per questo quando, di tanto in tanto, mi imbatto nei pensieri di uno dei geni dell’umanità e scopro che essi confermano le mie intuizioni ecco che allora mi sento pervadere dall’entusiasmo (*5).

Conclusione: non mi va di aggiungere altro (*6): volevo solo condividere la mia gioia per un libro che pregusto essere interessantissimo!

Nota (*1): infatti leggo sì più libri contemporaneamente ma devono essere di genere diverso. Aggiungo che, proprio per questo, ho sospeso la lettura di Fenomenologia e genealogia della verità di Zhok che, del resto, non toccavo da questa estate…
Nota (*2): sarei curioso di verificare se questa affinità nel modo di pensare indichi che anche Rawls fosse un INTP: dovrei cercare su Internet ma… lo sapete già…
Nota (*3): tratto da Una teoria della giustizia di John Rawls, (E.) Feltrinelli, 2021, trad. Ugo Santini, pag. 25.
Nota (*4): ibidem, pag. 25-26.
Nota (*5): curioso come la massa riconosca il valore del pensiero di certi intellettuali ma si guardi bene dal seguirne le indicazioni! Vi vedo un parallelo fra il sapere e il credere di sapere.
Nota (*6): e invece un’ulteriore breve considerazione voglio aggiungerla: ricordate il pezzo di fine luglio/inizio agosto dove scrivevo che non mi sarei vaccinato per la scelta morale di rifiutare quello che percepivo essere un ricatto? Un mio amico, ma credo che il suo pensiero fosse esemplare di quello della maggioranza degli italiani, mi disse che la mia era la motivazione più stupida che avesse sentito al riguardo. Ecco, sono sicuro che Rawls magari sarebbe giunto a conclusioni diverse dalle mie ma penso anche che non avrebbe considerato la mia decisione banale o stupida.

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