Non vorrei annoiare i miei lettori scrivendo sempre dello stesso argomento ma in questo momento il saggio di Rawls mi ha completamente catturato e, contemporaneamente, sono consapevole che scriverne mi aiuta a memorizzare la grande mole di nuove informazioni in cui mi imbatto: il risultato è che commenterò “Una teoria della giustizia” fino a quando mi sembrerà utile alla mia formazione culturale.
In questo sottocapitolo, intitolato “Alcuni contrasti connessi”, Rawls evidenzia alcuni punti di contrasto (e non solo) fra l’utilitarismo e la sua teoria della “giustizia equa”.
Prima di scendere nei particolari devo però fare una rettifica fatta nel corto “Sottocapitolo 4” all’interno del pezzo “Corti scollegati” (non posso fornire i collegamenti perché sono ancora senza rete (*1)). Per varie ragioni quel sottocapitolo l’avevo capito poco: in particolare mi sembrava che il suo argomento principale fosse molto tecnico o secondario, ovvero immaginarsi delle condizioni iniziali da cui ricavare i principi alla base della teoria di Rawls. Io in pratica avevo pensato “Beh, John, fai come preferisci: appena hai i tuoi principi fammeli vedere che ci ragiono sopra...”.
Invece no! Rawls parte proprio da queste condizioni minime per arrivare poi (ovvero nei capitoli successivi) a definire i suoi principi della giustizia: insomma non si tratta di una premessa tecnica/teorica come avevo capito io ma già di parte integrante e, anzi, fondamentale della teoria di Rawls.
E quali sono le condizioni base proposte da Rawls?
1. Nessuno dovrà essere avvantaggiato o svantaggiato dai principi individuati (che ancora non si conoscono) vuoi per caso o in base alle circostanze sociali.
2. Le particolari tendenze, aspirazioni e concezione del bene di ciascuno non influiscano sui principi decisi.
3. Tutti possono suggerire quali debbano essere i principi base.
Come poi ho (correttamente!) spiegato si valuterà i principi prodotti da queste condizioni iniziali ed, eventualmente si arricchiranno in un processo iterativo fino a quando non si raggiungerà l’equilibrio riflessivo (che nel corto non avevo spiegato).
L’equilibrio riflessivo è lo stato in cui i principi sono conformi al nostro giudizio intuitivo e contemporaneamente (per costruzione) sappiamo che il nostro giudizio è consequenziale alle condizioni iniziali che abbiamo supposto (che al momento sono le due sullodate ma che Rawls arricchirà al momento opportuno e se necessario).
Sono proprio queste condizioni che Rawls confronta con la teoria dell’utilitarismo!
Rawls inizia il suo argomento con una premessa: secondo molti filosofi e il senso comune deve esistere un certo equilibrio fra benessere collettivo e libertà individuale. Anch’io nel mio piccolo, spronato dalla cronaca del tempo, già nel marzo 2020 scrissi il pezzo “Libertà e salute” e, mesi dopo, “Salute e libertà” (o vice versa: senza Rete non posso controllare).
Secondo Rawls filosofi e senso comune danno più importanza alla libertà ma in questi anni di pandemia mi pare che assistiamo al fenomeno inverso: comunque Rawls anticipa che anche la sua teoria, la giustizia equa, darà la priorità alla libertà.
L’utilitarismo riconosce l’importanza della libertà ma la subordina al bene collettivo: anzi, nella pratica, ritiene utile queste costante istanza di libertà perché aiuta a contrastare la “naturale” tendenza umana a limitarla al di fuori delle premesse dell’utilitarismo. [KGB] Interessante questo dare per scontato che una naturale tendenza umana sia quella di limitare le libertà (altrui).
Il succo è che la dottrina contrattualista (la metodologia che userà Rawls) accetta tranquillamente la priorità della giustizia sul bene mentre l’utilitarismo la considera al massimo un’illusione socialmente utile.
Poi Rawls nota un’altra possibile differenza che però non sono sicuro di aver capito bene: l’utilitarismo riduce il principio di decisione equiparandolo alla scelta di un singolo individuo (l’osservatore imparziale) mentre tale sistema non è detto che venga scelto dalla dottrina contrattualista basata sulle condizioni iniziali enumerate sopra. Potrebbe anche essere così, ma non è detto ([KGB] e mi pare di leggere fra le righe che non sarà il caso).
Comunque il concetto stesso di osservatore imparziale che sceglie come massimizzare il bene comune eventualmente a danno di una o più persone è in contraddizione con la prima condizione ipotizzata da Rawls: ovvero che un principio possa danneggiare qualcuno vuoi per caso che per circostanza sociale.
La terza differenza è che l’utilitarismo è una teoria teleologica mentre la giustizia equa è deontologica.
Una teoria è deontologica se: o non definisce il bene indipendentemente dal giusto; oppure non considera il giusto come la massimizzazione del bene.
In particolare per la teoria della giustizia equa vale la seconda proposizione: ovvero essa cercherà il bene per tutti ma non cercherà mai di massimizzarlo.
Collegato a questa differenza vi è un’ulteriore sottigliezza: l’utilitarismo non si preoccupa di cosa sia l’utile per le singole persone: se questo fosse una forma di razzismo oppure di sadismo nel veder soffrire gli altri lo considererebbe comunque come un saldo positivo nel calcolo della massimizzazione: poi magari vieterebbe questi comportamenti perché complessivamente controproducenti per la società ma non ci sarebbero problemi morali di sorta. [KGB] questo è divenuto particolarmente evidente col verdepasso dove il sadismo della maggioranza che gode della discriminazione di tanti (basta guardare FB per verificarlo) è considerato accettabile e, anzi, positivo.
Vabbè, Rawls lo spiega meglio: «Perciò se si trae un certo piacere dal discriminarsi l’un l’altro, dal costringere altri a una minore libertà come mezzi per gratificare il loro rispetto-di-sé, allora l’appagamento di questi desideri deve essere valutato secondo la loro intensità o altro, comunque non diversamente dagli altri desideri, nelle nostre decisioni.» (*2)
Al contrario la teoria della giustizia equa non ammette (anche in questo caso per la condizione 1) un piacere di questo genere (visto che nessuno vorrebbe correre il rischio di nascere, per esempio, in una minoranza discriminata). Sempre nelle parole di Rawls: «Un individuo che trae piacere dal fatto che altri si trovino in condizione di minore libertà, comprende di non poter avanzare alcuna pretesa per questo godimento. […] è una soddisfazione che richiede la violazione di un principio che egli avrebbe accettato nella posizione originaria.» (*3)
Ma il succo fondamentale di questo capitoletto è che nella teoria di Rawls il giusto è prioritario rispetto al bene. Sulle profonde implicazioni di ciò non mi dilungo perché, sono certo, ci saranno in futuro molte occasioni per farlo.
Conclusione: nel frattempo ho letto anche il sottocapitolo 7 (“L’intuizionismo”) e questo, finalmente, mi sembra relativamente poco interessante. Non mi è chiaro neppure come mai Rawls l’abbia introdotto: in pratica l’intuizionismo corrisponde a identificare, grazie all’intuizione, un insieme di principi su cui basarsi (tipo per la distribuzione dei sussidi sociali o la remunerazione degli stipendi) con la peculiarità di non preoccuparsi di trovare fra questi delle priorità: definire cioè quale e quanto un principio sia più importante di un altro. Questo perché, alla fine, ogni persona ha preferenze diverse e quindi ci si accontenta di trovare delle linee guida generiche per orientarsi in queste problematiche. Insomma un approccio decisamente pratico e poco teorico. Rawls anticipa che la sua teoria darà delle priorità ai principi dimostrando così che la premessa dell’intuizionismo che ciò non è possibile è falsa. Bo, vedremo...
Nota (*1): Qualche ora fa sono andato a controllare i lavori all’inizio della mia via (temevo avessero concluso e che a me invece ancora non funzionasse) e ho verificato che sono ancora a scavare come talpe: ho paura che anche oggi (martedì 11) non ce la faranno a risolvere il problema…
Nota (*2): tratto da Una teoria della giustizia di John Rawls, (E.) Feltrinelli, 2021, trad. Ugo Santini, pag. 49-50.
Nota (*3): ibidem, pag. 50.
alla prima stazione
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