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martedì 3 gennaio 2017

Le scarpe assassine

Oggi sono stato in città. Avevo fissato con un'amica un rapido pranzo che avevamo già dovuto rinviare due volte: una settimana si era ammalata lei e la successiva ero impegnato io proprio nell'unico giorno in cui era libera...

Stamani, data l'occasione, avevo deciso di mettermi le scarpe “buone” invece delle mie solite scarpe da ginnastica. Come mio solito, non conoscendo il luogo dove avevamo fissato e venendo da lontano, sono partito con un anticipo esagerato: invece degli intoppi che temevo ho poi trovato la strada più sgombra del solito (senza la solita Ape che viaggia in salita a 30Km/h per mezzo tragitto e oltre!) col risultato che sono arrivato in città prima del solito.
Nonostante il traffico e i numerosi lavori in corso sono riuscito a raggiungere il luogo dell'appuntamento in circa mezz'ora e ho trovato parcheggio senza problemi: risultato, una volta sceso di macchina, avevo ancora un'ora da aspettare!

Fortunatamente la zona era ricca di negozi e così ho scorrazzato per i paraggi per circa 45 minuti prima di mettermi a sedere nei pressi del luogo fissato. Alle 12:30 ho poi cominciato a pattugliare in su e giù l'angolo prestabilito per tutti i 15 minuti del suo ritardo...

Aperta parentesi: e in questa ulteriore attesa le ho anche mandato un SMS: non avevo il suo numero sul telefonino ma, grazie alla mia prodigiosa memoria, sono riuscito a ricostruirlo dopo averlo visto solo una volta di sfuggita circa due mesi fa. Le ho scritto:
“Arrivi?
KGB”
Quando poi è arrivata abbiamo verificato che avevo indovinato solo 2 numeri su 9: il 3 iniziale e uno 0 finale!! E così ho spento il telefonino...
Chiusa parentesi.

Abbiamo preso un paio di panini a un bar e abbiamo passeggiato per un po'.
Sfortunatamente, come temevo, i piedi iniziavano già a farmi male: quando ci siamo seduti su una panchina per mangiare è stato un sollievo. Poi abbiamo passeggiato un altro po', un dolcetto a un bar ed è ripartita.
Io sono andato al Mediaworld lì vicino per una commissione che avevo da fare e dove ho passato almeno 20 minuti prima di parlare con l'addetto ai calcolatori: per protesta (e per dare sollievo ai piedi) mi sono messo a sedere per terra sulla tappezzeria blu davanti al banco delle informazioni... e, guarda caso, a quel punto il commesso è venuto di corsa!
Acquistato uno schermo piatto per mio padre sono tornato alla mia macchina, abbastanza lontana, dove mi ero portato le scarpe di riserva. Sistematomi sul sedile, la prima cosa che ho fatto è stato togliermi le scarpe “buone”: non è stato facile perché, per quanto ne avessi allentati al massimo i lacci, erano comunque dolorosamente strette e avevo già i talloni “scuoiati” (*1).
Alla fine ce l'ho fatta e, nonostante il fastidio, con le mie solite vecchie scarpe non ho avuto problemi, una volta riattraversata la città per andare da mio padre, a fare un altro chilometro circa con lo schermo sottobraccio più, successivamente, altre commissioni...

La mia amica a sera, avendomi visto un po' zoppicante, mi ha scritto chiedendomi «Ma perché non ti sei messo le scarpe comode!!!»...

Per rispondere a questa domanda occorre fare un passo di indietro: un passo di un po' più di 10 anni e mezzo fa...
Era, credo, marzo o forse inizio aprile del 2006. All'epoca lavoravo da poco in Spagna ma ero già tornato un paio di volte in Italia perché mia madre era da tempo gravemente ammalata.
Il mio soprannome non è KGB (v. L'origine di KGB) senza motivo: sono sospettoso per natura e di conseguenza è molto difficile fregarmi. Anzi, al massimo ho perso delle scommesse, dei rischi calcolati, ma non riesco a ricordare nessuno che sia riuscito a ingannarmi clamorosamente.
Eppure c'è un grande eccezione: mia madre. Mia mamma, per quanto mi volesse bene, non riusciva a comprendere le mie motivazioni profonde o la complessità dei miei dubbi e delle mie paure: eppure mi capiva quel tanto sufficiente a fregarmi.
In particolare anche quando nelle mie visite la vedevo traballante sulle gambe, e con una parrucca abilmente sistemata in testa, credevo fosse il normale effetto della chemio: forse ero stupido o forse volevo semplicemente illudermi ma quando a gennaio accettai (su sua fortissima pressione) il lavoro in Spagna credevo che con tali cure avrebbe avuto, nel caso peggiore, almeno un altro anno di vita...

Ricordo a febbraio, quando dovevo trovarmi una casa, le dicevo che ne cercavo una con una bella camera degli ospiti, in maniera che quando fosse stata un po' meglio sarebbe potuta venire a trovarmi. Ero consapevole che la mia era una vana speranza e che, banalmente, era solo una maniera per darle, per quel che potevo, un briciolo di incoraggiamento che non ingannava nessuno: e lei sapeva che io sapevo che lei sapeva, ma mi rispondeva con un filo di voce “sì” con un sorriso sulle labbra che non vedevo ma che sentivo vivido dall'intonazione della sua voce. La casa la presi poi effettivamente inutilmente grande: ma mi sembrò sempre inutilmente vuota e gli unici che vennero a trovarmi per pochi giorni furono un paio di amici...

Ma lei non si lamentava mai e con me intorno era comunque sempre sorridente. Il trucco con cui mi ingannò fu semplice: le due o tre volte che la portai all'ospedale per le sedute di chemioterapia non volle che l'accompagnassi dentro. Sembrerebbe una richiesta strana, quasi sospetta, ma era molto in linea con il carattere di mia mamma: mi fece capire che per una sorta di strana verecondia non voleva che la vedessi attaccata ai macchinari. Ma in verità il suo obiettivo era quello di non permettermi di osservarla insieme ad altri ammalati: sapeva che se l'avessi potuta paragonare ad altri pazienti avrei capito che le sue condizioni erano ormai disperate; e mi conosceva anche abbastanza bene da sapere anche che avrei agito di conseguenza facendo ciò che ritenevo giusto.

Beh, a marzo (o forse aprile) tornai in Italia per la seconda volta. Da qualche tempo non riusciva più a guidare: con un sorriso mi disse che l'ultima volta che aveva provato a salire in macchina non aveva avuto la forza di togliere il freno a mano per poter partire.
Voleva fare delle commissioni e così chiese a me di guidare la sua macchina per accompagnarla.

Andammo al paese vicino, la prima tappa fu il giornalaio dall'altro lato della strada. Ricordo che non ero contento di come avevo parcheggiato la macchina e quindi le avevo detto che l'avrei aspettata in auto: poi, vedendola particolarmente traballante, le corsi dietro per sostenerla. Comprato il giornale e qualche rivista tornammo alla macchina lasciata lungo l'argine del fiume. Contrariamente alle sue abitudini non molto contemplative non volle immediatamente risalire ma si appoggiò al parapetto di pietra a osservare il fiume che scorreva maestoso là dove descrive un'ampia curva. Ricordo la luce del sole sulla sua faccia, il suo sguardo, il venticello fresco ma piacevole che le muoveva i capelli e perfino degli uccelli (anatre?) che starnazzando si levarono in volo... Ebbi la netta sensazione che guardasse quel piacevole paesaggio primaverile con la serena consapevolezza di farlo per l'ultima volta.
Poi andammo a una profumeria dove la dovevano conoscere bene perché le fecero un sacco di feste e il solito complimento “La vedo un po' meglio!” che si fa a chi si vede che sta molto peggio. Comprò un profumo per sé e una schiuma da barba per me.
Come avrete ormai capito andammo poi in un negozio di scarpe: a maggio sarebbe stato il mio compleanno (v. Ricordo 5) e voleva farmi un regalo anticipato.
La sua idea era quella di regalarmi delle Geox (le “scarpe che respirano” recitava la pubblicità del tempo) e io optai per un modello sportivo che ricordava delle scarpe da ginnastica. Non so perché, probabilmente ero più nervoso del solito e avevo fretta, ma nonostante le prove mi sembrò che mi andassero bene anche se avrei dovuto capire che erano troppo strette. Così la mamma me le comprò e io me le portai in Spagna.

Solo la prima volta che le indossai sul “serio” mi resi finalmente conto che mi stavano clamorosamente strette: ma il 15 maggio di quell'anno mia mamma morì e così quelle scarpe furono il suo ultimo regalo ufficiale...

In seguito non le indossai mai con regolarità: non tanto per la loro scomodità ma perché avevo deciso di farle durare. In questi anni le ho messe solo un 4/5 volte per occasioni che reputavo importanti...

Ma perché quindi? Buona domanda...
Sostanzialmente perché sono un inguaribile stupido romantico. È una maniera di onorare l'evento e, contemporaneamente, di ricordare mia mamma. Sono un cilicio che mi sublima l'anima: un piccolo sacrificio propiziatorio sull'altare della buona sorte.
Non ha senso, lo so: ma quante sono le cose stupide che facciamo senza motivo? Perché invece non fare ogni tanto qualcosa di stupido, sebbene inutile, per chi ci è caro?

Ma ecco le lupus in fabula:
Da cui si capisce che il mio scarpe “buone” non significa tanto “belle” quanto sentimentalmente “care”!

Come conclusione propongo una riflessione forse dettata dalla melanconia del momento: a che serve avere un'ottima memoria se la maggior parte dei ricordi debbono essere tristi?

Nota (*1): devo aggiungere che ho la pelle delicatissima e basta un niente per provocarmi vesciche su mani e piedi...

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