Ho appena finito di leggere Storia segreta di Procopio di Cesarea, Ed. Club del libro Fratelli Melita, 1981, trad. Filippo Maria Pontani.
Sono molto incerto su come considerarlo e cosa scrivere: talvolta mi faccio subito un'idea ben precisa che spesso trova conferma nelle pagine successive: un'idiosincrasia dell'autore, un errore concettuale o, al contrario, un concetto profondo a cui non avevo mai pensato oppure non considerato da tale specifico punto di vista... e introrno a questi elementi baso il mio commento.
Qui invece niente di tutto questo! È un mistero che non sono riuscito a inquadrare né a capire...
Ma forse è bene spiegare di cosa si tratti: Procopio di Cesarea fu uno storico bizantino del VI secolo, coevo dell'imperatore Giustiniano, dell'imperatrice Teodora e di Belisario (colui che distrusse l'Italia in un'interminabile guerra contro i goti e che ebbe l'effetto di aprire la strada alla dominazione longobarda).
Ma la sua storia segreta non è il classico libro di storia che narra le imprese militari del tempo (sull'argomento Procopio scrisse altri volumi) ma aspira invece a descrivere il “dietro le quinte”, i motivi segreti del palazzo del potere, ciò che veramente muoveva l'imperatore e l'imperatrice.
L'argomento sembrerebbe molto interessante ma le immagini che Procopio dà di Giustiniano, Teodora (v. Teodora) e Belisario sono sconcertanti: Giustiniano è una sorta di demone in forma umana, Teodora un'ex prostituta e Belisario un fantoccio nelle mani della moglie che si fa costantemente gioco di lui.
Il risultato è che Procopio spiega alcune scelte strategico militari di Belisario come dettate da motivi personali come, ad esempio, tornare frettolosamente a Bisanzio prima di essersi assicurato la vittoria solo per il desiderio di sorprendere la moglie con il suo amante.
Giustiniano e Teodora invece sono assettati di denaro: lo rubano e lo estorcono in tutte le maniere: spesso falsificano testamenti, oppure vendono cariche istituzionali, promulgano leggi ingiuste e vessatorie in cambio di denaro, usano delatori per confische, etc...
E cosa fanno con questo denaro? Lo donano senza motivo ai barbari, soprattutto agli unni, che invece di esserne soddisfatti ne vogliono sempre di più e comunque si abbandonano a rapine contro i romani (dell'impero di oriente).
È evidente che qualcosa di vero ci deve essere nelle parole di Procopio ma ciò che non riesco a capire è quanto. E poi quali sono i motivi che spingono Procopio alle sue invettive? A mio avviso non può che trattarsi di motivi personali: c'è un accenno a fatti avvenuti proprio a Cesarea e non è da escludere che persone vicine a Procopio abbiano avuto a patirne le conseguenze. Può darsi che questo libro sia la vendetta di Procopio verso il potere: non potendo avere giustizia dalle istituzioni del tempo, forse decise di farsi vendicare dalla storia dipingendo i potenti dell'epoca molto peggio di quanto non fossero...
Da quel poco che mi ricordo del periodo, Giustiniano cercò di riconquistare parte dell'impero romano d'occidente ormai caduto in mano ai barbari: ci furono campagne militari in nord Africa, in Italia e persino in Spagna (se ben ricordo le mappe studiate a scuola). È ovvio che servisse molto denaro per finanziare questo imponente sforzo bellico. Anche donare denaro agli unni aveva senso per non aprire un nuovo fronte militare. E se lo sguardo di Giustiniano era rivolto alla riconquista dell'occidente è forse comprensibile che si accontentasse dello status quo in oriente...
Se Giustiniano e Teodora fossero realmente stati così ingiusti e spietati con tutto e tutti avrebbero forse potuto tenere il potere così a lungo? Io ne dubito...
Sono quindi curioso di leggere il parere di Wikipedia su Procopio. Magari, se scopro notizie interessanti, ci scriverò un nuovo pezzo.
Comunque anche fra le parole imbevute di fiele dell'autore emergono anche elementi interessanti. In particolare mi ha colpito l'abile gioco politico di Giustiniano e Teodora: secondo Procopio i due fingono di essere in disaccordo e di avere idee diverse in maniera che i sudditi parteggino ora per l'uno ora per l'altra senza però ribellarsi all'ordine costituito.
«Parve per molto tempo che ci fossero tra loro [Giustiniano e Teodora] divari d'idee e di comportamento, ma poi si capì che avevano combinato di dare a bella posta quell'impressione, perché non accadesse che i sudditi, mettendosi d'accordo, si ribellassero: era meglio che avessero su di loro idee divergenti.» (*1).
Apparentemente Procopio non si rende conto dell'incongruenza: se i due sovrani fossero stolti come dice non avrebbero potuto mantenere a lungo questo difficile equilibrio...
Buffo poi come Procopio riesca a cogliere gli aspetti negativi di ogni iniziativa dei sovrani.
In Teodora scrissi: «Al riguardo Giustiniano, ovviamente sotto indicazione di Teodora, promulgò varie leggi a favore delle ex prostitute e attrici (addirittura si parla di femminismo di Teodora ma probabilmente il termine è eccessivo).»
Ed ecco come Procopio vede la stessa vicenda: «[Teodora] radunò più di 500 meretrici che sulla piazza pubblica si vendevano per tre oboli tanto per sopravvivere, e le mandò nel continente di fronte, le rinchiuse nel monastero detto del Pentimento costringendole a mutar vita. Senonché alcune di loro di notte si gettarono dall'alto, liberandosi così di quella conversione forzosa.»
Resta confermato però l'aspetto della vita che più mi colpi di questi due sovrani: anche dalle parole astiose di Procopio emerge come i due sovrani si trattassero da pari a pari e fossero associati nel potere. Considerando le origini umilissime di Teodora la cosa ha ancor più dell'incredibile...
Conclusione: e ora corro a leggermi Wikipedia!
Nota (*1): ed ecco che dal passato la storia ci illustra e spiega il presente! Ecco il perché del teatrino della democrazia italiana (e di altri paesi) dove destra e sinistra fingono di bisticciare sull'ininfluente ma poi sono concordi quando si tratta di fregare il popolo...
Procopio, 1500 anni fa, ne aveva già spiegato il motivo. Lo ripeto perché merita: «Parve per molto tempo che ci fossero tra loro [destra e sinistra] divari d'idee e di comportamento, ma poi si capì che avevano combinato di dare a bella posta quell'impressione, perché non accadesse che i sudditi [gli italiani: comunque “sudditi” andava già bene...], mettendosi d'accordo, si ribellassero: era meglio che avessero su di loro idee divergenti.»
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