Il libro Caligula di Maria Grazia Siliato (v. Caligvla) di cui ho scritto ieri è stato fonte anche di numerosi spunti: però, piuttosto che appesantire la mia “recensione”, ho preferito parlarne in un pezzo a parte...
Il primo caso è una frase che mi è piaciuta: normalmente quando trovo citazioni di questo genere in un testo antico le pubblico senza esitazione. Mi affascina infatti constatare come gli uomini siano sempre uguali a se stessi e, anche dopo migliaia di anni, certe constatazioni psicologiche, sociali o politiche continuino a essere validissime. In questo caso l'autrice è una contemporanea e quindi manca la conferma del tempo però...
«Ma si sapeva che l'annuncio di un provvedimento spesso calma il popolo come se lo si compisse davvero e, poiché la quiete dei Romani era urgentemente necessaria, applaudirono anch'essi a cuor leggero.»
Interessantissimo è poi l'accenno alla centesima rerum venalium, in pratica un'IVA dell'1%, che aveva scatenato fortissimi malumori perché, ovviamente, colpiva i consumi delle classi più povere...
Per la cronaca Caligola l'abolì. Le informazioni sull'attività di questo imperatore furono sistematicamente cancellate ma tracce di cosa fece sono rimaste nelle monete commemorative.
A pagina 308 l'autrice affronta invece un argomento che mi sta molto a cuore e di cui parlavo anche con mio zio.
Si tratta del cambiamento di mentalità dei Romani che da popolo di tradizioni contadine e frugali inizia a venire trasformato dalle ricchezze che affluiscono da ogni angolo dell'impero.
Quando avvenne esattamente questo cambiamento? Ovviamente non ha senso parlare di una data esatta: si tratta di un'evoluzione che, come un'onda, attraversa i valori di diverse generazioni; eppure devono esistere degli episodi chiave che hanno influenzato la società (*1).
Mi dispiace ammetterlo ma non ricordo l'opinione di mio zio al riguardo: sicuramente per lui il vero e proprio imperialismo nacque dopo la sconfitta di Cartagine ma questo cambiamento non coincide esattamente con quello di cui parlo io...
Secondo me il passaggio si ebbe all'epoca di Augusto: Augusto, durante la guerra civile (32 a.C.) contro Marco Antonio, facendo appello alla “romanità” riuscì a reclutare numerosi volontari per combattere contro il suo avversario; quando però, all'indomani del disastro di Teutoburgo (9 d.C.), cercò di fare lo stesso non ottenne la risposta desiderata...
L'autrice fa invece dire a un Seneca indignato («Molti ormai preferiscono vedere il disordine negli affari dello Stato che nei riccioli dei loro capelli») che proprio in quegli anni (intorno al 40 d.C.) la società romana sta cambiando sostanzialmente. Ed effettivamente in altre parti del libro i militari che personificano i vecchi ideali romani non provengono da Roma ma da altre zone dell'Italia: mi pare ragionevole pensare che, allora come adesso, i cambiamenti venissero prima adottati dalle élite al potere per poi propagarsi alle zone più periferiche.
Altra frase: «...le invenzioni inverosimili godono del costante privilegio d'essere immediatamente credute.»
Viene anche citato il lago Nemorensis dal quale ha idealmente inizio il viaggio attraverso la mitologia di James Frazer (v. Il ramo d'oro) e infatti nelle note l'autrice lo ricorda in maniere un po' sprezzante scrivendo «Lo studio delle misteriose rovine nemorensi fu complicato e sviato da una leggenda fantasiosa, su cui un avvocato inglese con passione di etnologo e mitologo – si chiamava James Frazer – scrisse molte pagine...».
Beh... mi pare un giudizio severo visto che le “molte pagine” sono considerate un “contributo fondamentale all'antropologia culturale e alla storia delle religioni” (da Wikipedia.it).
Nota (*1): Mi riferisco a qualcosa di analogo al cambiamento di mentalità nei confronti del terrorismo degli statunitensi dopo l'11 settembre...
giovedì 2 gennaio 2014
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