Prima di esporre la mia ultima teoria racconterò un paio di esperienze dirette.
Qualche mese fa mi capitò di assistere a un discorso (non politico) del sindaco di un paese vicino a dove abito. Questa persona, ascoltandolo parlare, mi fece un'ottima impressione. Eppure so che ha fatto molte scelte a dir poco discutibili (*1) e, per questo, lo considero un pessimo sindaco.
Il sindaco ha (ad occhio!) sui 30-35 anni.
Qualche settimana fa ho conosciuto l'amministratore del palazzo dove viveva mio zio. Basandomi sulle poche parole scambiate mi ha fatto una buona impressione. Eppure so, per esperienza diretta, che ne ha combinate diverse poco chiare negli ultimi anni.
L'amministratore ha (ad occhio) sui 40 anni.
Considerati insieme questi due episodi mi è venuto da supporre che il mio istinto nel giudicare le persone non fosse più buono come prima. Come si può ricavare dal post Caos ordinato, dove spiego che è (o almeno era!) difficile fregarmi, ho sempre pensato di essere piuttosto bravo a “leggere” le persone.
Eppure, come illustrato nei due precedenti esempi, se avessi dovuto giudicare quelle due persone solamente attraverso la prima impressione superficiale, mi sarei clamorosamente sbagliato.
La teoria che mi accingo ad esporre vuol proprio cercare di spiegare come mai la mia “lettura” non sembri più essere affidabile al 100%.
Io credo che durante l'adolescenza, nel periodo in cui si esce dall'isolamento dell'infanzia per intrecciare le prime “vere” relazioni sociali, non si impara solamente quello che ci viene insegnato a scuola ma anche un qualcosa di cui non ci si rende conto.
Si impara cioè a “leggere” le espressioni e i comportamenti dei nostri coetanei. Si impara a riconoscere e a saper interpretare correttamente tutti quei messaggi non prettamente verbali (pause, sorrisi, sguardi, esitazioni, gesti...) che comunque vengono scambiati durante un incontro faccia a faccia. Contemporaneamente anche noi, come per un meccanismo di difesa, iniziamo a mascherare, più o meno bene, i nostri pensieri ed emozioni per non essere “trasparenti” ai nostri coetanei.
Questo particolare apprendimento, oltre che a basarsi sui compagni coi quali interagiamo ogni giorno, ha come riferimento gli adulti che però impariamo a leggere ma non tendiamo ad emulare.
La conseguenza è che siamo in grado, in base alla nostra abilità innata, di interpretare più o meno correttamente il comportamento sia dei nostri pari età che delle persone più anziane ma, via via che passano gli anni, riusciamo sempre peggio a “leggere” le persone più giovani. Per questo motivo, volendo, un giovane ha maggiori possibilità di ingannare un anziano: non si tratta di intelligenza o maggiori conoscenze ma del linguaggio non verbale; il giovane è in grado di interpretare correttamente il più anziano mentre questo non riesce a vedere attraverso la dissimulazione del più giovane. Insomma è un po' come giocare a poker riuscendo a sbirciare le carte dell'avversario.
Oltretutto questa teoria spiega bene anche il motivo per cui i genitori perdono l'abilità di capire i propri figli quando questi crescono.
Conclusione: nella fanciullezza siamo trasparenti e sinceri poi, a partire dalla preadolescenza, si impara a costruire le proprie barriere, a dissimulare e a mentire. Questa è la vera perdita dell'innocenza.
Nota (*1): Potete prendere per buona questa mia affermazione perché comunque non è importante ai fini del post.
Il figlio della Concetta
21 minuti fa
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