Mesi fa ebbi un lungo scambio epistolare a proposito dell'opportunità o meno di dire bugie “a fin di bene”. Visto che quotidianamente ci troviamo di fronte a dover scegliere se mentire o meno credo che il mio punta di vista possa interessare anche ai miei lettori.
Il mio interlocutore pensava che, in determinate circostanze, la verità potesse fare “più male che bene”.
Io, un po' anche per amor di discussione, mi ero arroccato su una posizione più intransigente: “è sempre sbagliato dire bugie seppure a fin di bene”.
Prima di presentare la mia argomentazione voglio proporre una riflessione.
Come facciamo le nostre scelte? Come decidiamo cosa sia meglio per noi?
Ci basiamo su due elementi: da una parte i nostri valori, gli ideali, le speranze e le nostre priorità (fattore “interno”) dall'altra tutto l'insieme degli eventi che accadono direttamente a noi o intorno a noi (fattore “esterno”).
Quattro osservazioni: 1) nessuno meglio di se stesso conosce il proprio fattore interno; 2) l'elemento esterno non è mai totalmente noto; 3) è preferibile conoscere al meglio l'elemento esterno per poter prendere le nostre decisioni; 4) anche quando si prende la decisione teoricamente migliore (considerati logicamente, ammesso che sia possibile, i fattori interni ed esterni) può sempre accadere che la sorte cambi le carte in tavola con esiti catastrofici.
Dal mio punto di vista il mentire, seppur a “fin di bene”, presenta i seguenti problemi: chi ci dice quale sia il “bene” per il nostro prossimo? Abbiamo una visione comunque parziale del suo fattore esterno e, al massimo, possiamo intuire il suo fattore interno. Come possiamo quindi credere di sapere i pensieri e le potenziali decisioni altrui?
In pratica chi mente “a fin di bene” si immagina quale siano le priorità e gli ideali dell'altra persona e, pur con una conoscenza parziale dei fattori interni ed esterni, anticipa la decisione della vittima della bugia. Si immagina cioè quali sarebbero le reazioni della controparte nel caso le dicesse la verità e nel caso le dicesse la bugia. Ovviamente tutto questo senza nessuna riprova di prevedere correttamente queste reazioni.
Esempio classico: “B” ha un tumore incurabile ma “A” gli dice che sta bene per, ad esempio, “non farlo preoccupare inutilmente”. “B” quindi vive gli ultimi mesi prima che la malattia si renda manifesta come se niente fosse: ma come fa “A” ad essere sicuro che “B”, sapendo di aver poco tempo a disposizione, non avrebbe preferito fare un viaggio in un paese lontano, scrivere un libro o qualsiasi altra cosa? In questo esempio “A” non era a conoscenza di un'ambizione segreta di “B”, cioè non ne conosceva uno dei fattori interni. Sarebbe però facile fare un altro esempio dove “A” prende la decisione sbagliata non conoscendo un fattore esterno noto invece a “B”.
Il nocciolo della questione è quindi che una persona non potrà mai calarsi perfettamente nei panni di un'altra tanto da poter giudicare con assoluta sicurezza né quale sia il “suo bene” né quali sarebbero le sue decisioni.
Ma, per assurdo, immaginiamo pure di essere estremamente empatici e di conoscere benissimo l'altra persona tanto da essere sicuri di indovinare correttamente le sue reazioni; scegliamo quindi di dire una particolare bugia in maniera che la nostra vittima abbia una certa reazione (per il suo bene, ovviamente). Ma cosa affermava la mia quarta osservazione? Essa diceva che comunque il fattore fortuna è imprevedibile e, anche in caso di decisione TEORICAMENTE perfetta, tutto può poi andare storto.
Un esempio: “A” sa che se dicesse a “B” la verità allora “B” andrebbe a giocare tutti i suoi soldi al casinò; se invece “A” dicesse una bugia allora “B” investirebbe i suoi soldi in banca. “A” decide che il “bene” di “B” è investire i soldi in banca e così gli dice la bugia.
La banca fa investire a “B” tutti i suoi risparmi in azioni Pavialat che pochi mesi dopo fallisce. “B” perde tutti i suoi soldi. Cosa sarebbe successo se “B” avesse giocato al casinò? Probabilmente li avrebbe ugualmente persi ma non possiamo averne la certezza assoluta.
Il punto è che “A” si è arrogato il diritto di scegliere per “B” e, seppur con le migliori intenzioni, lo ha fatto rovinare.
In conclusione dicendo una bugia non permettiamo all'altra persona di prendere al meglio le sue scelte ma, soprattutto, pecchiamo di superbia perché ci illudiamo di conoscere (e saper prevedere le decisioni) di un'altra persona e così pure di quale possa essere il “suo bene”. Inoltre ci assumiamo una responsabilità che non ci spetta facendo fare una scelta invece che un'altra senza poi nemmeno poter aver la garanzia che le cose andranno come ci eravamo immaginati (a causa del fattore imprevedibile della sorte).
Il post sentenza
1 ora fa
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