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mercoledì 27 marzo 2024

Il nazionalismo

Ieri sera sono finalmente tornato a leggere libri un po’ più impegnativi e le quattro paginette di Hobsbawm sono, come spesso accade, risultate essere le più interessanti.

Il capitolo che sto leggendo affronta un altro epomito dell’ottocento: il nazionalismo.
E mentre per il precedente, sul socialismo, avevo delle vaghe idee sulla sua storia, in questo caso ho trovato più di una sorpresa.

Il punto di partenza è questo: «Oggi siamo talmente abituati a definire una nazione in termini etnico-linguistici, da dimenticare che questa definizione fu sostanzialmente inventata nel secondo Ottocento.» (*1)
In particolare l’idea che una lingua comune creasse la nazionalità fu creata a tavolino dagli intellettuali: la gente comune non se ne preoccupava e usava la lingua che gli faceva più comodo. In questo caso è significativo l’esempio degli USA in cui etnie diverse imparano la stessa lingua non per divenire parte della nazione ma semplicemente perché la parlano tutti.

Altra idea identificata con il nazionalismo è quella di uno specifico territorio sull’esempio portato dalla rivoluzione francese.
In seguito propone l’esempio estremo del nazionalismo sionistico che, non a caso, nasce proprio in quegli anni: esso auspica il ritorno a una lingua non più usata (l’ebraico) al posto del correntemente parlato yiddish e a un territorio che per Herzl (il fondatore del sionismo) avrebbe anche potuto non avere un legame storico con la popolazione (quindi avrebbe anche potuto non essere la Palestina) ma che era fondamentale che esistesse: cioè non si è nazione senza un proprio territorio.

Sicuramente Hobsbawm scriverà anche del nazionalismo italiano e tedesco ma ancora non ci sono arrivato. Comunque mi sembra che nel caso del nostro paese prevalga l’ideale linguistico e territoriale piuttosto che quello etnico.

L’altra grande teoria su quale fosse la definizione di nazione era infine quella che le persone appartengono alla nazione a cui sentono di appartenere. Mi chiedo se questa possa applicarsi agli italiani dell’Ottocento: non agli intellettuali ma alla gente comune (contadini)…

Rileggendo quanto scritto mi accorgo di essere stato un po’ confuso: ciò è normale però. In queste pagine l’autore cerca di dare un’idea dei vari concetti (protomiti) che tutti insieme, in percentuali diverse nei vari paesi, andarono a sovrapporsi fra loro per formare l’ epomito della nazione.
La mia terminologia in questo caso è particolarmente utile perché vedremo che proprio l’ideale della nazione sarà usato per stabilizzare la società: sarà quindi usato da equimito in perfetto accordo con le mie definizioni.
Con la diffusione della democrazia infatti il popolo non ubbidisce più automaticamente al potere come avveniva in passato: esso deve essere persuaso e, a questo scopo, indebolitosi lo strumento della religione risulterà invece particolarmente efficace quello di nazione. Si chiederanno quindi sacrifici al popolo in nome della patria.
Alla fine è sempre la stessa zolfa: vi ricordate la tiritera “ce lo chiede l’Europa?” tanto di moda ancora solo pochi anni fa e con la quale, un pezzettino per volta, abbiamo smantellato lo stato sociale italiano?

In realtà, come spiega Hobsbawm, il concetto di nazione era decisamente vago ed embrionale: il legame affettivo ed emotivo della popolazione era legato agli immediati dintorni, ben conosciuti e vissuti, alla cerchia dei famigliari e degli amici, ai luoghi e persone del “posto” insomma. È il nazionalismo che si appropria di questi sentimenti per estenderli al luogo immensamente più vasto della nazione e della sua popolazione: si è cercato cioè di trasferire i sentimenti che si provano per il “padre” alla “patria”. Non a caso in italiano e spagnolo si ha “paese” come sinonimo di “nazione” che, come sappiamo indica anche il villaggio o la piccola città dove si vive.

Ecco, in definitiva il nazionalismo va a estendere i comuni sentimenti di affetto per la propria famiglia e i luoghi dove si vive al resto della popolazione e a tutto il territorio dello stato. Insomma una costruzione artificiale che, come tutte le idee nate dall’alto, ha delle motivazioni estremamente ciniche.
L’autore cita infatti tale Pilsudski (capo dopo il 1918 della nuova Polonia) che disse «È lo Stato che fa la nazione, non la nazione lo Stato.» (*2) Frase che a me ricorda “Abbiamo fatto l'Italia, adesso dobbiamo fare gli italiani” di D’Azeglio (o era Cavour?!).

E quali sono gli strumenti usati dallo Stato per plasmare nelle forme volute la propria popolazione?
1. I tribunali, le leggi.
2. La burocrazia.
3. La scuola (elementare).

In particolare riguardo la scuola l’autore scrive: «Per lo Stato, la scuola aveva un ulteriore ed essenziale vantaggio: insegnava ai bambini a essere buoni sudditi e cittadini. Fino al trionfo della televisione, non ci fu mezzo di propaganda laico paragonabile all’aula scolastica.» (*3)
Chiaramente anch’io avevo intuito il valore propagandistico della scuola ma averne la conferma così forte e assoluta di uno storico che si basa su dati certi e non sulla propria fantasia come me è stata una scossa: ne approfitterò per aggiornare opportunamente la mia Epitome sottolineando qua e là dove necessario!

Hobsbawm non mette nell’elenco i quotidiani: probabilmente ha ragione dato che è il popolo, e non gli intellettuali o comunque la minoranza più istruita, a dover essere trasformato in nazione.

Una nota curiosa e divertente è che in questi decenni in cui il protomito della nazionalità diviene così fondamentale i vari monarchi si trovano presi in contropiede e sono costretti a “travestirsi” nei panni della popolazione che governano: la maggior parte dell’alta nobiltà europea infatti, comunque tutta imparentata, era di origine tedesca e, per esempio, non sempre parlava bene la lingua del proprio popolo. Al riguardo vidi un divertente video su YouTube qualche settimana fa che ora, ovviamente, non ritrovo ma il seguente è comunque piuttosto piacevole: Why are so many European royal families German? (Short Animated Documentary)

Ancora Hobsbawm non ha accennato alla cultura (e di cui la lingua comunque fa parte) che a me sembrerebbe il primo fattore caratterizzante una nazione ma sono sicuro che lo farà nel prosieguo. Che poi certo, quando la maggioranza della popolazione non ha frequntato neppure le elementari, che cosa potrà essere? Cibo, lingua, usanze e tradizioni, religione...

Conclusione: protomito nazione creato (abbastanza) a tavolino per controllare la popolazione.

PS: chiaramente ho trovato adesso il video di cui ho accennato: Royal DNA Test - What is the Genetic Heritage of the Monarchs of Europe?

Nota (*1): “L’età degli imperi” di Hobsbawm, (E.) Laterza, 2005, tradotto da Franco Salvatorelli, pag. 169.
Nota (*2): ibidem, pag. 171.
Nota (*3): ibidem, pag. 174.

5 commenti:

  1. A riprova che sei un [inserisci il termine che preferisci per uno che non sa dove ha gli sfinteri].
    Il concetto di Nazione non è stato inventato nell'Ottocento.
    E' molto più arcaico e storicamente si definisce per opposizione ad un nemico comune.
    I casi ovvi sono l'Ellade delle Guerre Persiane o la Roma repubblicana, dove, contrariamente alla vulgata massonico-globalista che ripeti anche tu facendo il contro-esempio degli USA, non eri "cittadino" se non eri nato nella città da genitori cittadini.
    Cioè ateniese si nasce, non si diventa.
    Gli Ateniesi parlano il dialetto attico, che diventerà la lingua convenzionale dell'Ellade solo in epoca alessandrina.
    La storia di Atene non è tanto quella di una città di mercanti quanto la storia dell'ascesa e della caduta della egemonia ateniese che si determina per opposizione, con la rivolta degli Joni in Asia Minore, le due invasioni persiane, la Guerra del Peloponneso.
    Nella Roma repubblicana la stessa cosa, esistono due "autorità", il Senato, composto dai proprietari terrieri, che giocoforza ereditano e la plebe, rappresentata dai Tribuni. Ancora, la "nazionalità" coincide con la nascita da un punto di vista topologico, non con la lingua o la "etnia" e, come dice il Prodi che ride mentre smantella l'Italia, lo Stato si concretizza in due funzioni, battere moneta cioè l'erario, le tasse, le spese e armare un esercito, quindi la leva obbligatoria, che in epoca classica dipendeva materialmente dal censo.
    Ancora, Roma si definisce in opposizione con i suoi nemici, gli Etruschi da cui si deve emancipare, i Celti, i Cartaginesi, le colonie greche.
    In tempi più recenti, ho già citato la Milano del 1176 i cui abitanti hanno il coraggio di opporsi in armi all'esercito imperiale affiancato dai contingenti delle città-stato "lealiste".
    Oppure, per vedere dimensioni "continentali" invece che cittadine, la Francia opposta agli invasori "inglesi" nella Guerra dei Cent'anni. Incidentalmente, Riccardo Cuor di Leone era "francese", parlava "francese", da cui l'equivoco di fondo e la disputa dinastica.

    Non è un caso che la Storia sia negata e quindi ignota. Prima il "marxismo" che interpreta tutti i fenomeni attraverso la "guerra di classe", poi la dottrina massonica dello "eterno istante presente" e dello "uomo unico".

    In entrambi i casi per introdurre il "nuovo" devi cancellare il vecchio. Eccoci al fatto che tu leggi dei testi e li ingoi come il cefalo ingoia la mollica di pane.

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    1. Premessa: ero tentato di censurare parzialmente il commento di Anonimo al quale rispondo adesso. Pensavo di copiarlo, sostituire “sfinteri” con tante “XXX”, e pubblicarlo a mia volta come anonimo.
      Poi ho deciso di non farlo, primariamente perché sono pigro e sarebbe stato troppo lavoro per me, secondariamente se Anonimo non si vergogna di quello che scrive perché dovrei farlo io per lui?

      Come detto rispondo al commento di Anonimo del 28 marzo 2024.

      Lasciando perdere i “saluti” iniziali e finali alla mia persona (che in realtà trovo talmente assurdi da farmi ridere!) il resto del testo era piuttosto interessante e con una sua validità.

      Diciamo che vi è però un errore di fondo: nel pezzo in questione riepilogavo quanto avevo letto del libro di Hobsbawm “L’età degli imperi”. Che il concetto di “nazione” nasca nel XIX secolo e si estremizzi nel XX lo scrivi Hobsbawm, non lo dico io. Non capisco quindi perché Anonimo accusi di me di un presunto errore storico che non avrei fatto io personalmente.
      L’unica possibilità che mi viene a mente è che Anonimo mi accusi di aver frainteso o mal riportato le parole di Hobsbawm. Ma in realtà sono piuttosto sicuro di aver ben capito il concetto dato che vi era un intero capitolo dedicato a esso.

      Secondariamente gli esempi storici riportati da Anonimo non mi convincono.
      Non credo sia un caso che non si senta mai parlare di “nazione ateniese” o “nazione romana”. Quando poi si passa all’impero romano (ma forse qui Anonimo si limitava a considerare la repubblica) si ha la negazione della nazione: l’impero aggrega insieme nazioni diverse (pensate per esempio all’impero asburgico).
      Poi è chiaro che in ogni epoca dei concetti tipici del nazionalismo potevano essere presenti in una certa popolazione: ma dovrebbero essere tutti presenti contemporaneamente per avere propriamente l’idea di nazione. E poi conta anche l’intensità di questi ideali.
      Per esempio mi si potrebbe obiettare che nel V secolo a.C. in Grecia vi fosse il concetto di nazione durante le guerre contro la Persia. Ma, a mio parere, si trattava di un’ideale abbastanza forte da unire le varie città contro il nemico comune ma troppo debole per unirle insieme passato il pericolo.
      Un antico greco prima si vedeva come ateniese (o spartano, o tebano etc.) e solo poi secondariamente come greco. Al contrario durante il risorgimento (magari anche erroneamente) almeno una fetta significativa di popolazione prima si considerava italiana e secondariamente come milanese, bresciana, fiorentina o romana. Insomma l’ideale di nazione era tanto forte da portare alcune persone a offrirsi volontarie per andare a combattere per esso.

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  2. Questa è una pagina interessante che meriterebbe molte osservazioni.
    Ora fingerò di non sapere che Obstbaum fu comunista.
    Allora, diciamo che ciò che va di moda, ora, nel pensiero unico ortodosso, è la narrazione e il mito della società aperta, antinazionale e antinazionalististica.
    Allora per usare un'espressione non francese, ma efficace, per quanto sia un eufemismo, le società aperte sono una cagata pazzesca.
    E' sufficiente recarsi presso le stazioni di qualsiasi capoluogo e osservare la distopia, l'inferno che ciò che è opposto, antitetico, al nazionalismo, ha realizzato e imposto alle nostre vite.
    Se i risultati dello anti-nazionalismo sono la guerra civile sottocasa, ecco, allora, come male minore io mi tengo volentieri ciò che quelli indicano come nazionalismo.

    Qui potremo passare alla anti-tesi, ovvero a chi giova la frantumazione deflagrante tutti-contro-tutti che si sta realizzando con lo anti-nazionalismo.

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    1. Onestamente qui riassumevo solo il pensiero di Hobsbawm che si limita ad analizzare la nascita del "nazionalismo" com'è inteso ancora oggi: non mi ero posto l'idea del significato antitetico dell'antinazionalismo/globalismo.

      Nella mia Epitome affronto il problema da un punto di vista più generale e arrivo alla conclusione che il potere vuole una società meno coesa possibile e, quindi, più debole. In questa ottica lego i tanti tentativi di frammentarla.

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