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venerdì 1 marzo 2024

Autostima

Ieri poi mi è tornata voglia di andara avanti con Rawls e così ne ho letto un nuovo capitoletto: “67. Rispetto di di sé, eccellenza e vergogna”.

Già in passato aveva accennato all’importanza del “rispetto di sé” (e degli altri) e all’epoca (v. Doveri e divagazioni naturali) mi aveva stupito.
Rawls aveva definito il rispetto di sé come un fattore determinante per la felicità umana: affinché questo sia possibile è necessario il rispetto di tutti verso il prossimo.
Per questo Rawls inserisce i seguenti doveri nella sua concezione di società ben organizzata:
“[…] invece ho trovato molto interessante il dovere di rispetto del prossimo.
Questo dovere si manifesta in due obblighi: 1. sforzarsi di comprendere il punto di vista altrui; 2. essere pronti a fornire onestamente le ragioni delle nostre azioni.
Anzi, voglio citare direttamente: «Il rispetto reciproco può essere mostrato in vari modi: con la nostra volontà di vedere la situazione degli altri nella prospettiva della loro concezione del proprio bene; e con l’essere pronti a fornire ragioni per le nostre azioni, in tutti i casi in cui esse influiscono concretamente sugli interessi altrui.» (*1)”

In effetti un argomento piuttosto attuale: personalmente mi sforzo di essere rispettoso verso gli altri nel senso di Rawls, ovvero cerco di capire il punto di vista altrui e di discutere le basi da cui derivano le rispettive posizioni ma in effetti non è sempre semplicissimo.

Eppure ancora non sono convinto che si tratti di un diritto (essere rispettati) e dovere (rispettare gli altri). Certo che se tutti ci provassero male non farebbe! Ma che sia un diritto/dovere? Bo…

Invece Rawls ritiene il “rispetto di sé” il bene primario “forse più importante” perché senza di esso non è possibile apprezzare la nostra vita.

Secondo Rawls l’autostima è rafforzata da: 1. il principio aristotelico del bene, ovvero dal fare ciò che si è bravi a fare e che stimola al massimo le nostre capacità; 2. dall’apprezzamento ricevuto dagli altri.

Sul primo punto non ho niente da dire: del resto Aristotele ci capisce abbastanza di filosofia!
Sul secondo invece non saprei: di sicuro se c’è l’apprezzamento degli altri alla nostra autostima male non potrà fare. Ma mi pare che far dipendere la nostra autostima dall’esterno sia rischioso: voglio dire che se non vi è apprezzamento esterno la nostra autostima non dovrebbe esserne intaccata. L’apprezzamento degli altri dovrebbe essere un qualcosa che se c’è bene, se non c’è pazienza.

Del resto come si può obbligare le persone ad apprezzare qualcosa che non capiscono? Vogliamo dell’ipocrisia intellettuale? La massa non ha il palato fine e capisce il giusto: piacere alla massa significa aver prodotto un qualcosa di grezzo e non troppo sofisticato. Lo sanno bene gli artisti di nicchia o troppo avanti per la loro epoca. Un esempio famoso che conoscono tutti: Van Gogh. In vita nessuno comprava i suoi quadri perché troppo diversi dallo stile del tempo.
Scrive per esempio il Leopardi nelle “Operette morali”: «Né anche ho in animo di narrare quegl'impedimenti che hanno origine dalla fortuna propria dello scrittore, ed eziandio dal semplice caso, o da leggerissime cagioni: i quali non di rado fanno che alcuni scritti degni di somma lode, e frutto di sudori infiniti, sono perpetuamente esclusi dalla celebrità, o stati pure in luce per breve tempo, cadano e si dileguano interamente dalla memoria degli uomini; dove che altri scritti o inferiori di pregio, o non superiori a quelli, vengono e si conservano in grande onore.» (*2)
Oppure ecco un aforisma di Bufalino: «Chi scrive per il suo tempo, disperi di sopravvivergli.»

Ma è colpa della popolazione se non capisce? Io non credo.
E sempre il Leopardi, per esempio, scrive «...laddove gli spiriti sommi e singolari, che si danno alla speculazione di quest'universo sensibile all'uomo o intelligibile, ed al rintracciamento del vero, camminano, anzi talora corrono, velocemente, e quasi senza misura alcuna. E non per questo è possibile che il mondo, in vederli procedere così spediti, affretti il cammino tanto, che giunga con loro o poco più tardi di loro, colà dove essi per ultimo si rimangono. Anzi non esce del suo passo; e non si conduce alcune volte a questo o a quel termine, se non solamente in ispazio di uno o di più secoli da poi che qualche alto spirito vi si fu condotto.» (*2)

Se in questa incapacità della gente comune di capire quello che va oltre il limitato orizzonte della cultura del tempo non vi è colpa allora non vi può essere neppure obbligo o dovere.
Certo Rawls ha probabilmente in mente il rispetto reciproco fra la popolazione comune, senza cioè considerare i “casi limite” che si allontanano troppo dalla media: ma i principi per avere senso devono essere assoluti, sempre validi cioè. Se si ammettono delle eccezioni non sono più dei principi.

In effetti poi Rawls “fiuta” il problema: non tutti possono esprimere se stessi creativamente nel proprio lavoro. Come fa l’operaio o l’impiegato a essere ammirato dagli altri per ciò che fa?
La soluzione di Rawls è che tutti abbiano un passatempo nel quale eccellere: in questa maniera saranno ammirati dalla cerchia degli altri appassionati allo stesso gioco o quel che è!
A me pare di sognare eppure Rawls scrive: «Quello che è necessario, dunque, è che ci sia per ciascuna persona almeno una comunità di interessi condivisi alla quale essa appartenga e dove i suoi tentativi siano convalidati dai suoi consociati.» (*3)
Il mio ironico suggerimento a margine è: «[KGB] Allora per legge tutti dovrebbero avere 2 hobby (o più!) in maniera da dare soddisfazione a tutti!!»
Pensavo infatti che per essere “ammirati” si deve essere almeno meglio della media, ovvero almeno metà dei partecipanti al medesimo passatempo devono essere peggiori dalla persona da ammirare. Affinché questo sia lontanamente possibile è necessario che ogni persona, accanto al proprio passatempo principale ne abbia molti altri in cui faccia schifo! Vabbè, sono io forse un po’ troppo razionale/matematico…

Insomma continuo a essere dell’idea che la propria autostima debba provenire da noi stessi e non dagli altri: essa semmai non dovrebbe basarsi sulla qualità di ciò che facciamo ma dalla consapevolezza di operare nella speranza del bene e del giusto.

Conclusione: non so, forse sono io troppo sensibile a questo argomento. Abituato a non essere compreso/apprezzato anche dai familiari più stretti mi sono abituato fin dall’infanzia ad avere un rispetto di me autosufficiente. E infatti non vedo contraddizione nell’avere una grande autostima di me stesso e, contemporaneamente, la consapevolezza di non essere particolarmente apprezzato dagli altri (litote!): a volte, in base all’umore, ciò mi può causare irritazione altre volte lo trovo divertente...

Nota (*1): tratto da “Una teoria della giustizia” di John Rawls, (E.) Feltrinelli, 2021, trad. Ugo Santini, pag. 325.
Nota (*2): tratto dalla versione delle “Operette morali” scaricabile dal sito LiberLiber.it
Nota (*3): tratto da “Una teoria della giustizia” di John Rawls, (E.) Feltrinelli, 2021, trad. Ugo Santini, pag. 418-419.

12 commenti:

  1. Il passaggio che manca è il "prima" e il "dopo".
    Ovvero, il "rispetto" che puoi dare prima di conoscere una persona consiste nel "beneficio del dubbio", cioè dai a tutti la possibilità di provare quanto valgono, senza pre-giudizio. Invece il "rispetto" che puoi dare dopo avere conosciuto una persona è funzione di quello che è stato provato. Non ha senso "rispettare" una persona che prova di valere poco o nulla. Subentra la "tolleranza" che è tutto un altro paio di maniche.

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    1. Non sono completamente d’accordo: il rispetto dovrebbe esistere a prescindere da quanto viene detto/fatto e non in base al nostro proprio giudizio. Questo perché si dovrebbe partire dall’ipotesi di non sapere tutto e di non essere quindi dei giudici perfetti.
      Poi certo questo è in teoria e in pratica non è facile: io, per esempio, faccio fatica a rispettare le persone stupide anche se so che non è colpa loro e che magari hanno tante altre qualità che io non ho.

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  2. Ottima la conclusione che condivido appieno.
    L'autostima dà forza, serenità e ci permette di resistere alle intemperie (a volte veri e propri fortunali) che arrivano dall'esterno, dalla gregarietà.
    La convinzione dell'agire per il bene, per il giusto.
    Ora sono tempi arcobalenghi nei quali la inversione bene - male è la norma, le mode cretine, malate vengono imposte in modo bigotto per ottenere il Mondo Nuovo, un mondo di frantumati, sradicati, mangianti cibo frankenstein, senza madre, padre, con lingue misere e inquinate, gli antiodiatori che trasudano odio, gli antifascisti più violenti dei fascisti, con la etica al contrario, accogliona, secondo la quale gli invasi dovrebbero sottomettersi agli invasori, le eccezioni fatte norma, la ugualizzazione di tutto e il suo contrario.

    Sono sempre più pecora nera in questo mondo. E solo.
    Me ne fotto: meglio solo che mal accompagnato!
    Poi ridacchio di questi poracci che seguono istericamente le più sceme mode, la loro autostima prossima allo zero, è stabile e forte come una fiammella di candela.
    Più problemi hanno, più vogliono risolvere i presunti tuoi.
    Li osservo un po' stranito e li lascio andare col loro furore sinistro, cretino.

    UUiC

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    1. Grazie per il supporto: sento già la mia autostima crescere! ;-)

      Il problema è che la media delle persone ha un'intelligenza media, con una cultura media e una visione del mondo media. Inoltre non solo è nella media ma è anche manipolata dai media! ;-)

      Chi per vari motivi non è nella media (per intelligenza o cultura o carattere etc.) non viene compreso.
      È inevitabile. In genere si tratta di minoranze ma oggi sempre di più, avendo buttato a mare la libertà di pensiero e il rispetto per le opinioni diverse dalle nostre, le minoranze stanno divenendo anche tutte quelle persone che su temi specifici la pensano diversamente dalla narrativa dominante supportata coralmente dai media...

      Anche io mi sento pecora nera: in genere mi sembra che la stupidità sia dilagante. Lo troverei divertente se non fosse che poi le decisioni politiche cretine penalizzano anche me...

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  3. Sui punti di vista: potrò anche capirlo (raramente comprenderlo) ma... il mondo ha molti contesti nei quali vige la somma zero.
    Semplicemente gli interessi tuoi confliggono coi miei. In questo caso non solo non cambierò punto di vista, ma farò di tutto affinché prevalgono i miei.
    Il politicamente corretto e, prima, ancora indietro, fino al cristianesimo, poi le varie pseudo religioni progressiste, hanno tentato di eliminare il Mors tua vita mea che fa parte della realtà.
    La lotta contro i mulini a vento non porta a nulla di buono.
    Quindi arriva la domanda: posso avere rispetto per coloro che agiscono contro i miei Interessi insinuando, inoltre, che sia io il brutto cattivo cacca diavolo?

    Sono quelli che per i loro interessi mi stanno creando le banlieue intorno, a loro gli utili, la bontà, a me i problemi da guerra civile in strada o sul treno.
    Fanc*lo!
    UUiC

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    1. Il problema di fondo è che l'uomo è sempre stato tirato da due forze contrapposte (come la centripeta e la centrifuga!). Una spinge a collaborare col prossimo l'altra a competere. Il confine è quello del nostro gruppo di riferimento: all'interno del nostro gruppo ci si aiuta, con quelli all'esterno di esso si compete.

      Il problema che avverte è che all'interno del gruppo stato si sta iniziando a lottare contro alcuni (spesso la maggioranza) suoi membri. Vi è un tradimento del gruppo contro i suoi membri che, proprio per la natura umana evoluta per far collaborare insieme chi è sulla stessa barca, è poco tollerato.

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    2. Nel discorso degli "interessi" manca un passaggio. Come sempre.
      In linea teorica due interessi che confliggono si può trovare un compromesso, che accontenta e scontenta ognuna delle due parti però consente di evitare lo stallo o peggio, la guerriglia. Lo dice uno che non ha il compromesso nelle sue corde ma ne capisce la ragione d'essere.
      Il guaio è che l'uomo non vive di solo pane, non tutto si riconduce a una mera questione quantitativa, di "interesse".
      C'è la famosa "morale", tanto in positivo che in negativo, che obbliga le persone a fare cose anche contro il proprio o altrui interesse.
      Per esempio, io potrei benissimo rubare le caramelle ai bambini.
      Perché non lo faccio?
      Certo, perché chiamerebbero la Polizia ma prima ancora perché ho una "morale" che mi obbliga piuttosto a togliermi il pane di bocca per darlo ai bimbi.
      Non è il conflitto di interesse che fa la differenza, perché, come dico sempre, se ci limitiamo a questioni quantitative, pratiche, si può arrivare ad un accordo anche coi lestofanti, secondo la logica del minore dei mali. E' la "morale" che fa la differenza perché certi "valori", certi "principi" non sono negoziabili.
      Non sono negoziabili perché da questi valori e principi dipende la identità.
      Io sono io non per la somma dei miei interessi ma per la somma dei miei valori e principi.
      Io sono io anche quando nessuno mi vede, anzi, sono io proprio quando nessuno mi vede e sono io a decidere se rubare le caramelle ai bambini.
      Nel bene e nel male, qui torniamo alla questione del "rispetto".

      Le violazioni del "Politicamente Corretto" non riguardano gli interessi, a me non importa quanto mi costa la "accoglienza".
      Quello che conta è che abolendo il principio della cittadinanza perché ognuno è libero di andare e venire, si cancellano ipso facto i concetti di Popolo e Nazione, che, a parte il costo che hanno avuto, sono condizione necessaria per la "democrazia" cioè per consentire a me di auto-determinarmi. Se vivo in un "super-stato" gestito da una "agenzia", di fatto sono schiavo e devo ballare quando altri fanno suonare la musichina. A me non importa nulla dei vizi e degli agi che mi sono consentiti, mi importa che devo chiedere il permesso. Cioè che mi trovo nella condizione dei miei avi schiavi di Franza e Spagna ma contenti che se magna.

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    3. Quindi torniamo al discorso sulla "democrazia".
      La parola ha significato diverso a seconda di chi la usa. Per il compagno "democratico" significa l'asservimento della "base" da parte della "classe dirigente". Nell'interesse della "base", ovviamente, che come i bambini ha bisogno di essere tutelata da se stessa oltre che dal mostro sotto il letto. Per il compagno "democratico" significa anche che tutti devono essere ugualmente miserabili, cioè che si debba obbligare il minimo comune denominatore. Se ci sono tot guerci, si deve cavare un occhio a tutti. Per chi non dormiva a scuola "democrazia" è una parola che non può venire senza l'alter ego, che è "aristocrazia", cioè il governo dei molti contro il governo dei pochi. Ironicamente è il contrario del compagno, che vuole dare a tutti la possibilità di essere ugualmente miserabili. La "democrazia" in origine voleva dare a tutti la possibilità di essere come i "nobili", cioè decidere di se stessi. Quando la condizione compagna, come abbiamo visto, è quella di essere soggetti alle decisioni altrui. La "democrazia" se vuole sostituire la "aristocrazia" deve dimostrarsi ugualmente capace o virtuosa, quindi per essere cittadino di una democrazia ti devi condurre in un modo enormemente più difficoltoso di una persona soggetta ad altri che deve solo eseguire e non deve avere ne morale ne responsabilità, come una macchina animata. Credo fosse Mao a dire che il "proletario" deve essere tenuto sotto minaccia del fucile perché ha la tendenza a volere diventare un "borghese". Ecco, la "democrazia" esiste perché il "borghese" diventi "aristocratico" nel suo piccolo.

      Questo non te lo dicono a scuola perché avrebbe la conseguenza che ognuno deve sforzarsi di diventare un cavaliere della Tavola Rotonda o un filosofo antico invece di accomodarsi nella "base" di lavoratori-consumatori e "uno vale uno".

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  4. Discussione interessante.
    Esistono anche interessi ideologici, etici, morali, politici.
    Quelli per cui gli islamici ritengono giusto che le donne di loro proprietà rimangano 'gnoranti (beh, qui non molta differenza con i maschi, che c'hanno la crapa farcita solo di quello che sentono il venerdì), diciamo, ancora più 'gnoranti, in casa, a fare figli, senza reddito e quindi con zero autonomia.

    Non ci vuole molto per capire che questo interesse morale è sospinto, come ogni precetto o divieto morali, da ragioni alquanto pratiche, ovvero la conquista demografica dei territori.
    Se penso alla scuola del "6 politico" ora riverniciata come "inklusiva" è un metodo per distruggere l'unico ascensore sociale e realizzare una fabbrica che produce ignoranti, stupidi, incompetenti ugualizzati, tutti certificati col un pezzo di carta, uno degli scopi delle castalie progressiste che intendono arrivare al Mondo Nuovo.
    Nessuno rimanga indietro è lo stesso che dire "nessuno veda bene come un aquila, rimanete tutti guerci".

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    1. Non ho ancora letto attentamente i commenti di Anonimo qui sopra quindi questa mia risposta potrebbe essere parziale non essendo a conoscenza dell'intero contesto...

      Sì, l'istruzione o la sua mancanza, sono uno strumento potente. Chi lo controlla lo può usare per il bene o per il male.
      Da questo punto di vista l'attacco alla scuola, soprattutto al suo ruolo formativo, non sembra essere casuale.

      Io di solito (Epitome e qui sul blog) scrivo che lo scopo attuale della scuola è preparare lavoratori (senza troppe ambizioni) consumatori e non cittadini responsabili e autonomi. Più in generale l'uomo, e quindi lo studente, è visto come un prodotto da costruire e non come un individuo con una volontà propria.

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    2. Coso, non capisco il senso di introdurre una idea ambigua e confusa come "interesse morale".
      Sono due concetti evidentemente antitetici, perché "interesse" sta per "utile" o "guadagno" mentre "morale" attiene alla distinzione tra "bene" e "male".
      Sono concetti antitetici che agiscono uno come freno inibitore dell'altro.

      Nell'esempio che hai fatto mi pare che ci sia una errata percezione e quindi analisi dello stato delle cose.
      Il fatto che le donne siano soggette e chiuse in un gineceo è perfettamente lecito anzi auspicabile, quando ci sono abbastanza risorse per cui si può fare a meno del contributo fattivo delle donne. E' lecito perché agli uomini è chiesto di sacrificarsi e questo sacrificio deve essere compensato dalla propagazione dei loro geni. E' auspicabile perché le donne non sono una risorsa spendibile, al contrario degli uomini, quindi vengono "tesaurizzate" allo stesso modo, che ne so, delle scorte di grano. C'è il granaio e c'è il donnaio.

      Ancora, l'idea della "parità" tra i generi contraddice lo stato delle cose, esistono due generi con specifiche e ruoli diversi per il solito discorso della differenza di potenziale che fa muovere l'universo. Evidentemente funziona, perché non ci sarebbe stato nessun problema ad evolvere una specie ermafrodita.

      Circa la "ignoranza" delle donne, storicamente non è mai stato cosi, perché le donne nel gineceo avevano tempo per le attività artistiche ed intellettuali. Mentre Odisseo si trova alla guerra di Troia, la moglie Penelope è nella reggia a tessere. Oppure, vedi le geisha giapponesi, che intrattenevano gli uomini con musica, danza, poesie e altri manierismi. Tanto che gli uomini "colti" in passato spesso e volentieri erano omosessuali che si davano alle arti in una specie di "emulazione" delle donne. Poi considera che le donne sono programmate per le relazioni e per curare gli altri, cosa che le rende depositarie della "cultura interna" della comunità.

      Qui secondo me dobbiamo introdurre un altro concetto.
      Il cavaliere, l'anima ben nata, cerca di eccellere tra i suoi pari. Cercherà una donna che eccella tra le sue pari, quindi che sia bellissima ma che sia anche colta e dotata di talento. Oppure cercherà un travestito, che per certi versi è la "donna ideale". Il troglodita invece non conosce altro che lo stimolo e la reazione meccanica allo stimolo. Nella donna cercherà solo quello, stimolo e reazione meccanica. Ne consegue che tutto quello che non serve al meccanismo è di intralcio. Al punto che il troglodita può anche distinguere a fatica tra la donna e la bestia. Vedi bene che non c'è "interesse morale" ma c'è assenza di morale. Al troglodita non serve la morale, dato il funzionamento meccanico, tutto è su base quantitativa.

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    3. Sempre molto interessante. :)
      UUiC

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