È da un po’ che non scrivo di “The framers’ coup” di Klarman ma, zitto zitto, sebbene alla mia usuale lentezza, sto proseguendone la lettura.
Proprio ieri ho finito di leggere la sezione sul processo di ratifica della costituzione della Carolina del Nord e, incidentalmente, mi ha ispirato delle riflessioni interessanti.
La prima cosa da sapere è che la Carolina del Nord NON ratificò la nuova costituzione! I motivi sono molteplici ma la cosa interessante è che tale decisione fu completamente, o quasi come vedremo, ininfluente. Infatti era già stato raggiunto e superato il numero minimo di stati che l’avevano approvata ed era quindi già entrata in vigore. Mentre la Carolina del Nord era ancora impegnata nelle discussioni per la ratifica gli altri stati che l’avevano adottata stavano organizzando la prima legislatura.
Ma la mancata ratifica si rivelò ininfluente anche in un altro senso: molte ex colonie erano state in bilico (mi vengono in mente le importantissime Virginia e New York ma anche il Massachusetts) ed è probabile che se solo un altro stato avesse bocciato la nuova costituzione esse ne avrebbero seguito l’esempio.
La prima regola che si può inferire da questa vicenda è che le diverse ratifiche che avvennero progressivamente contemporaneamente alterarono la logica del dibattito: per esempio lo stato di New York (non la città stessa) era fortemente contrario alla costituzione ma mentre ancora la possibile ratifica, magari sotto condizione, veniva discussa ci fu la decisiva approvazione da parte della Virginia. A quel punto, proprio per non essere tagliata fuori dalle fondamentali decisioni che sarebbero state prese dalla prima legislatura, anche New York la ratificò.
Ne consegue che, per evitare di influenzarsi a vicenda, i vari stati avrebbero dovuto votare l’eventuale ratifica più o meno contemporaneamente. In questo furono molto bravi i federalisti che, a seconda della convenienza locale, accelerarono (quando erano in vantaggio) o rallentarono (quando in svantaggio) i lavori delle convezioni nei diversi stati ottenendo così una specie di effetto valanga.
A cosa si deve questa più efficace strategia politica? Probabilmente alla migliore coordinazione complessiva dei federalisti e al genio politico di Madison. Ma questa è una mia valutazione quindi prendetela con le molle.
Detto questo penso che il voto negativo della Carolina del Nord fu comunque utile per un altro motivo. Molti stati avevano ratificato la costituzione allegandovi “suggerimenti” su varie deficienze soprattutto di natura democratica. Queste “difficoltà” avrebbero dovuto essere risolte dalla prima legislatura con opportune integrazioni (la carta dei diritti, “Bill of rights”). Ecco: credo che l’atteggiamento di attesa alla finestra della Carolina del Nord dovette essere un forte incentivo per realizzare concretamente le modifiche promesse. Altrimenti gli USA si sarebbero trovati senza un “pezzo” e che sarebbe stato difficoltoso da gestire: trovo difficile ipotizzare una guerra di conquista (sebbene fosse stata velatamente minacciata) ma la Carolina del Nord isolata e da sola avrebbe potuto tornare nell’orbita del Regno Unito; insomma sarebbe stata un grosso problema.
Invece, realizzate le modifiche sperate, anche la Carolina del Nord ratificò la costituzione.
Comunque la parte finale del libro è proprio sulla stesura della carta dei diritti e sono sicuro che, se questa mia teoria ha un minimo di senso, sicuramente verrà menzionata. Vedremo...
Vi fu poi un’altra ex colonia che non approvò subito la costituzione: il Rhode Island che però, come forse sapete, era ed è molto piccolo e quindi sostanzialmente ininfluente.
Nel Rhode Island la resistenza alla nuova costituzione fu massima perché maggiore era la democrazia dell’ex colonia.
Qui infatti i debiti di guerra erano stati pagati con la “temutissima” moneta cartacea. Come ho spiegato in precedenti pezzi per sovvenzionare la guerra di indipendenza le ex-colonie avevano emesso delle obbligazioni con le quali avevano anche pagato in parte il proprio esercito. Alla fine della guerra con la crisi monetaria il valore di queste obbligazioni si abbassò notevolmente e vennero quindi comprate a una frazione del loro valore nominale dai più ricchi. E i delegati dell’assemblea di Filadelfia venivano proprio da queste classi sociali che avevano tutto l'interesse affinché le obbligazioni venissero pienamente rimborsate.
Inoltre il Rhode Island aveva anche aiutato i cittadini indebitati forzando delle condizioni a loro favorevoli verso i creditori. Altro “terrore” dei padri fondatori…
Qui si vede emergere un’altra regola: la democrazia funziona bene in piccolo, quando la distanza fra governo e popolazione rappresentata è poca. In genere la gente conosce meglio le problematiche del proprio territorio che quelle del proprio stato…
Altro aspetto interessante è che le resistenze alla costituzione, nella loro essenza democratiche, furono tacciate come immorali dalla maggioranza degli altri stati. L’uso del denaro cartaceo per il pagamento delle obbligazioni era considerato simile al non voler onorare gli impegni presi.
Può darsi che l’indignazione fosse in buona fede però io vi vedo anche uno schema che ormai mi è familiare: in mancanza di argomenti concreti la discussione si sposta nell’ambito più indistinto della morale. Come al solito lo abbiamo visto durante la pandemia quando i governi occidentali incitavano all’odio, adducendo motivazioni pseudo-morali e pseudo-scientifiche, verso chi rifiutava di piegarsi al ricatto del vaccino. Il non vaccinato era dipinto come l’infame egoista che pensava solo a se stesso e che propagava la malattia. Adesso inizia a emergere, almeno mi pare, la verità anche fra i più…
Traduco al volo una nota del libro dove è riassunto ciò che il governatore Fenner del Rhode Island scrisse a Washington per spiegargli le ragioni del suo stato:
«Secondo Fenner, la legislatura del Rhode Island non era riuscita a ottenere sufficienti tasse per supportare le obbligazioni emesse durante la guerra in grado di sostenere il valore dei servizi e delle proprietà personali portando così a un vasto declino del loro valore di mercato. Molti degli originali possessori avevano poi venduto le proprie obbligazioni a una frazione del loro valore nominale ai più ricchi, agli speculatori, agli affaristi della comunità, che avevano approfittato del prezzo basso di allora. La seguente decisione della legislatura di alzare le tasse per pagare gli interessi su queste obbligazioni aveva portato a discussioni sulla ragionevolezza e giustizia di far pagare le obbligazioni alla collettività più di quanto erano costate ai compratori. Perché molti degli acquirenti erano stati strumentali nel deprezzamento delle obbligazioni e al momento dell’acquisto avevano ipotizzato l’incertezza del loro rimborso per indurre gli originali possessori a separarsene a un basso prezzo. Molti abitanti del Rhode Island erano irritati per l’aumento delle tasse e chiedevano una politica di discriminazione in favore dei possessori originali delle obbligazioni e la liquidazione di quelle che erano state trasferite.» (*1)
Questa è politica a favore della popolazione e a sfavore degli speculatori: qualcosa di impensabile oggi. Anzi di “immorale”: adesso il profitto è ritenuto buono e giusto comunque esso venga realizzato ed è quindi immorale impedirlo per qualsiasi motivo.
Conclusione: difficile trarne una. Credo però che la lezione più importante sia come l’evoluzione del contesto possa influenzare una decisione che, in teoria, dovrebbe essere indipendente da esso. Da qui l’importanza della contemporaneità della decisione che anch’io avevo sottostimato.
Nota (*1): Tratto da “The framers’ coup” di Michael J. Klarman, (E.) Oxford University Press, 2016, pag. 517.
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1 ora fa
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