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giovedì 23 febbraio 2023

Epitome vs Mill & Rawls

Nel pezzo di oggi voglio mostrare come la mia teoria (*1) mi aiuti a orientarmi quando mi trovo di fronte a una nuova problematica.
Posto davanti a un problema, come tutti del resto, penso alle mie conoscenze su soggetti simili o affini: la differenza è che la mia teoria è adesso molto ben strutturata e quindi non h più solo la vaga idea di pensarla in un certo modo ma ho ben chiaro in mente tutto un sistema di relazioni che collega insieme ogni singola riflessione.
Questa struttura di conoscenze e relazioni mi permette poi di giungere rapidamente a delle conclusioni che, anni fa, mi avrebbero preso settimane.

Stamani stavo leggendo “Una teoria della giustizia”, il capitolo 37 intitolato “Limitazione al principio di partecipazione”, dove Rawls spiega quando si possa limitare la libertà di partecipazione e, più in generale, quella politica.
Per la cronaca con libertà o principio di partecipazione Rawls intende che la maggioranza semplice del parlamento decide su tutto. A mio avviso una definizione disorientante ma questa è.
A sua volta con libertà politica intende che ogni persona deve avere lo stesso potere politico delle altre. Bo, di nuovo una definizione che mi suona strana ma anche in questo caso il testo è chiaro.

Riguardo alla libertà di partecipazione Rawls afferma che questa può essere limitata solo per proteggere le altre libertà (e del resto questo è il suo criterio generale). Anzi arriva ad affermare che dato che l’obiettivo della libertà di partecipazione è solo quello di garantire le altre libertà allora essa la si può limitare quanto si vuole se l’effetto che si ottiene è la completa tutela di queste ultime.

Più interessante è la giustificazione di libertà politiche ineguali. Anche in questo caso tale differenziazione è permessa solo se la parte con meno libertà viene sufficientemente risarcita per la sua perdita. È in fondo una particolare applicazione del principio di differenza: la priorità della struttura della società deve essere quella di migliorare le condizioni di vita di chi sta peggio.

Ma in pratica cosa si intende con libertà politiche ineguali?
Rawls presenta un esempio basato su una proposta di Mill secondo il quale le persone più intelligenti e istruite alle elezioni dovrebbero avere un voto più pesante, cioè che valeva di più di quello delle altre. L’esempio è quello della nave: i passeggeri non dicono al capitano come tracciare la rotta perché sono consapevoli che ne sa più di loro e si fidano del suo giudizio; analogamente in un governo le persone più intelligenti sanno cosa è meglio per tutti e, per questo, il loro parere dovrebbe avere maggior peso. L’ideale per Mill sarebbe trovare un equilibrio fra il peso degli intelligenti in grado di indirizzare significativamente il governo e quello delle persone comuni sufficiente a evitare di venire oppresse.
Sorprendentemente Rawls afferma che il risultato di queste libertà politiche ineguali, se effettivamente fosse un miglior tenore di vita per chi sta peggio, allora sarebbe accettabile (*2).

Non so a voi ma a me l’approvazione di Rawls, almeno a livello teorico, delle libertà politiche ineguali non mi convince. Rawls è coerente con la sua teoria: SE chi starebbe peggio, grazie a questa ineguaglianza, finisse per stare meglio allora essa sarebbe accettabile. Me è un grosso “se”…

E qui entra in gioco l’utilità della mia teoria. Seguiamola grazie alle mie note a margine.
In fondo a pagina 230 Rawls inizia a presentare la teoria di Mill e io scrivo un commento neutro e puramente mnemonico: «Mill voto x intelligenti»
Nella pagina successiva Mill decanta le qualità degli intelligenti capaci, grazie alla loro saggezza, di comprendere cosa sia meglio per tutti. Qui mentre leggevo non ho potuto fare a meno di notare quanto Mill idealizzasse l’uomo intelligente e mi ha quindi ricordato il capitolo 1 della mia Epitome. Qui do una definizione negativa dell’uomo basata sui suoi limiti: quindi non sulle sue qualità ideali ma sui suoi difetti.
A margine di pagina 231 scrivo quindi: «[KGB] Mill crede troppo nella bontà e giustizia uomo. Non legata a intelligenza». In questo caso una nota per me a ricordarmi il primo capitolo dell’Epitome più una considerazione secondaria ma, mi pare, significativa: tutte le buone qualità elencate da Mill non mi sembrano strettamente legate all’intelligenza (con tutto ciò che ne deriva per la sua teoria).
A pagina 232 Rawls trae le proprie conclusioni e, come detto, afferma che se questa ineguaglianza politica va a vantaggio di chi sta peggio allora è accettabile e anzi preferibile al criterio di “una testa un voto”.
Nel frattempo io, in parallelo, ho maturato le conclusioni della mia premessa sintetizzata nel precedente commento. Annoto quindi: «[KGB] Diverso peso voto → necessita uomini giusti; peso uguale → necessita individuo fare proprio interesse» e a lato, a metà pagina: «cittadino ideale che non esiste...» (*3)

Quello che intendo dire è che il sistema proposta da Mill funziona solo con l’uomo/elettore idealizzato; al contrario nel sistema in cui ogni elettore ha un solo voto, egli deve votare egoisticamente secondo il proprio interesse: questo secondo tipo umano è invece realistico (*4)!

Guidato dalla mia epitome ho quindi immediatamente riconosciuto il limite pratico della proposta di Mill che invece Rawls, guidato dalla sua teoria astratta, non aveva potuto scartare.

Conclusione: mi rendo conto che il mio approccio alla teoria non è astratto quanto quello di Rawls con conseguenti pregi e difetti. In questo caso è un vantaggio in quanto mi permette immediatamente di riconoscere e comprendere una debolezza, mi pare decisiva, della proposta di Mill.

Nota (*1): quello che ho scritto nell’Epitome per capirci…
Nota (*2): ovviamente si tratta di considerazioni puramente teoriche che non considerano i problemi pratici di definire cosa sia l’intelligenza, come misurarla, come determinare il peso maggiore del voto etc.
Nota (*3): vabbè, mi fa come sempre fatica citare il testo originale ma voglio dare il contesto di questa mia seconda nota: «Come ha osservato Mill, il cittadino è chiamato a valutare interessi diversi dai suoi, e a essere guidato da una qualche concezione della giustizia e del bene comune, piuttosto che dalle sue proprie inclinazioni.» tratto da “Una teoria della giustizia” di John Rawls, (E.) Feltrinelli, 2021, trad. Ugo Santini, pag. 232.
Nota (*4): anche se, ovviamente, non è detto che riesca a scegliere cosa effettivamente sia meglio per lui: ma questo è un altro problema.

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