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domenica 26 febbraio 2023

Contro pendoli e cicli

L’uomo, nasce, cresce, vive e muore. Con i figli si illude che la sua vita prosegua: vi intravede un ciclo. Che non per nulla chiamiamo il “ciclo della vita”.
Ogni giorno il sole sorge all’alba, illumina la nostra parte di pianeta, poi tramonta. È il ciclo del giorno.
Ma poi abbiamo anche le stagioni: dopo l’inverno c’è la rinascita della primavera, il trionfo dell’estate e il lento declino dell’autunno e poi via da capo con l’inverno.

Gli antichi pensavano infatti che il tempo fosse ciclico: i norreni credevano che dopo la battaglia finale del ragnarok la terra sarebbe rinata, che ci sarebbe stata una nuova stirpe di dei generata dall’unico sopravvissuto (quello con una mano sola, non ricordo il nome), nuove popolazioni etc.
Ma anche gli gnostici credevano che il tempo fosse ciclico: all’apocatastasi il fuoco distrugge tutto ma dalle ceneri nasce un nuovo ciclo.
Sono abbastanza sicuro che anche gli indiani abbiano dei cicli nella religione induista. E le reincarnazioni del Buddha? Anche queste sono dei cicli.
Addirittura abbiamo l’uroboro, il circolo del serpente che ingoia la propria coda, che simboleggia con grande efficacia espressiva il tempo ciclico.
O se vogliamo andare in ambito scientifico posso citare la legge fondamentale della biogenetica: l’ontogenesi riassume in sé le tappe della filogenesi. Cicli che si ripetono, che si sdoppiano e che si sovrappongono.

Credo che la maggior parte delle popolazioni antiche credesse nel tempo ciclico: nulla ha una vera fine, tutto ritorna, tutto rinasce.
È la mitologia cristiana che diffonde in occidente l’idea del tempo lineare: Dio ha creato l’universo ma, col giudizio universale, tutto avrà termine. I dannati resteranno tali per il resto dell’eternità (con buona pace di Origine) mentre tutte le altre anime godranno della beatitudine perfetta in comunione con Dio.

Tutta questa lunga introduzione è per sottolineare come l’uomo sembri essere quasi biologicamente attratto dall’idea dei cicli. Credo che abbia la tendenza a cercare di ricondurre tutti i fenomeni a un ciclo: del resto ciò che non è un ciclo non si ripete, è un evento quindi che non merita di essere compreso o studiato perché la sua conoscenza non ci sarà utile dato che non si verificherà più.

Suppongo che, come tutte le cose che ci vengono così istintive, normalmente la riduzione all’analogia del ciclo ci sia utile (psicologia evolutiva): ci aiuti cioè a capire meglio il nostro mondo e la nostra realtà.

Eppure io diffido di questi automatismi: se il 99% delle volte sono corretti non significa che lo siano sempre. È quindi importante essere pronti a capire quando siamo di fronte all’1% dei casi dove l’analogia del ciclo non è utile ma fuorviante. Quando si ode il suono degli zoccoli bisogna essere pronti ad aspettarci la zebra mantenendo, ovviamente, la consapevolezza che in genere si tratterà di un semplice cavallo.

Specialmente gli storici (ma probabilmente, sebbene in misura diversa, ciò deve essere vero in tutte le scienze non esatte) mi sembrano attratti dai cicli. Non so: forse gli storici si sentono degli studiosi del tempo e lo immaginano come i rotismi di un orologio. Ingranaggi e lancette che ruotano, come cicli appunto. A volte, quando l’analogia di un singolo ciclo non è sufficiente per spiegare bene una situazione, si immaginano che essa sia il frutto dell’effetto concomitante di più cicli che si sommano fra loro.
Questo atteggiamento mi ricorda quello degli astronomi del seicento, pre Keplero per intenderci, che per spiegare il moto apparente dei pianeti nel cielo si erano inventati la teoria degli epicicli. Su Wikipedia troverete immagini che spiegano più facilmente di molte parole in cosa consistesse tale spiegazione. Il punto è che sarebbe bastato cambiare prospettiva, passare da una visione geocentrica a una eliocentrica, per semplificare e comprendere le diverse orbite dei pianeti.

Ma quali sono concretamente i pericoli di pensare per cicli?
Io ho individuato diversi problemi ma non sono sicuro di averli trovati tutti: comunque è una base di partenza.

Nel recente Frattaglie di febbraio avevo evidenziato un primo possibile limite.
L’immagine del ciclo o del pendolo porta con sé un senso di ineluttabilità, una specie di inerzia del movimento contro la quale, alla fine, è impossibile resistere o combattere.
Probabilmente spesso è effettivamente così ma non lo è sempre. L’impero romano sembrava destinato alla dissoluzione nel III secolo. Se la storia fosse andata diversamente e l’impero fosse caduto nel 276 d.C. gli storici avrebbero trovato conferma che il suo ciclo era “finito” e che il suo crollo era inevitabile. Eppure l’impero si riprese e addirittura prosperò per altri due secoli circa. Due secoli possono sembrarci un periodo breve ma se lo traducete in generazioni umane potete capire che molte di queste poterono vivere un’esistenza relativamente tranquilla e serena (per il tempo!) nella consapevolezza della forza e protezione dello stato romano.

Un altro problema è che l’immagine del pendolo o del ciclo talvolta può sembrarci addirittura autoesplicativa.
Non si vanno più a ricercare eventuali ragioni profonde di un fenomeno ma ci limitiamo a dire “è una fase del ciclo”. La logica del ciclo sembra spiegare tutto ma a volte è solo apparenza.

Talvolta può invece portare a dare troppo rilievo ai fattori evidenziati dalla metafora ciclica e, contemporaneamente, a sottostimare il ruolo delle novità nella situazione specifica.
Cioè i fattori che hanno un corrispettivo diretto nell’analogia assumono un’importanza preponderante rispetto a quelli che non si rispecchiano in essa e che, quasi automaticamente, vengono considerati secondari.

Infine la metafora del ciclo porta a previsioni spesso errate sul futuro.
Si è portati infatti a immaginarci il futuro come il prolungamento della traiettoria descritta dal ciclo: ma questo sarebbe corretto se l’analogia fosse accurata mentre invece, come ho scritto, si sopravvaluta l’importante di alcuni fattori e si minimizza quella di altri...

Insomma riassumendo i problemi di concentrarsi troppo nell’analogia ciclica sono:
1. confondere la dinamica e i reali rapporti di forza.
2. considerare ineluttabile ciò che potrebbe non esserlo.
3. non considerare/cercare altri motivi al di fuori dell’analogia ciclica.
4. sottovalutare alcuni fattori e sopravvalutarne altri.
5. previsione errata del futuro basata su ciclo.

Conclusione: e queste sono le ragioni per cui non sopporto i ciclisti che la domenica occupano l’intera sede stradale e fingono di non vedere le macchine incolonnate alle loro spalle.

2 commenti:

  1. Cicli o linearità?
    Io propendo per i primi anche se, per via della 2a legge della termodinamica, è come se la curva (co)sinusoidale fosse smussata, via via in ampiezza, da una limitante che la faccia tendere a zero a +infinito.
    In ogni caso mai linearità: certamente la interazione reciproca di innumerevoli cicli introduce ciò che ci appare come aspetto caotico.

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    1. Non mi fraintendere! Non intendo nessuna dicotomia assoluta fra ciclicità e linearità: anzi credo che la ciclicità sia la norma ma che sia fondamentale essere pronti ad accorgersi quando questa non sia l’interpretazione più corretta (vedi il detto sufi “Se senti rumore di zoccoli pensa alla zebra”: il 99,9% delle volte sarà un cavallo ma si deve mantenere l’elasticità mentale necessaria ad aspettarsi l’improbabile, cioè una zebra).
      Il pericolo è voler ricondurre tutto a cicli. Vabbè è inutile che ti ripeta qui quanto ho già scritto nel pezzo!

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